Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Nell’ambito della rassegna culturale “ RIPARLIAMO DEGLI ANNI ’70” si terrà venerdì 24 aprile alle ore 18.00 presso la sede della testata giornalistica online Brundisium.net in via Colonne 46 la presentazione del libro “Operazione Peci, storia di un sequestro mediatico” di Giorgio Guidelli, giornalista de “Il Resto del Carlino”, giovane studioso del fenomeno eversivo. In un’epoca mediatica come quella in cui viviamo, Guidelli è stato il primo che a distanza di 24 anni dai fatti, ha ricordato un evento così tragico denunciando l’elemento spettacolare ricercato e voluto a tutti i costi da Giovanni Senzani, artefice e mente dell’azione. Diretta web a questo link L’ossessione dei mass media ed il tentativo di piegare i mezzi di comunicazione di massa ai propri obiettivi hanno fatto si che l’azione contro il fratello del pentito numero uno si tramutasse in barbarie indiscriminata, sintomo di una degenerazione ormai fuori controllo. Con il suo lavoro Giorgio Guidelli ha fatto riemergere il ricordo sbiadito di fatti che tutte le TV avevano rifiutato persino di narrare per un recupero del passato sentito come esigenza del presente. Una serata importante per saper guardare e interpretare i fatti di ieri mantenendo sempre un occhio di riguardo per quello che sarà. Il rapimento di Roberto Peci è contestualizzato nella vicenda che ha come protagonisti i “fratelli Peci”, due ragazzi marchigiani che partendo dalle lotte sociali della loro provincia decidono di fare le prime azioni dimostrative contro obiettivi politici. I più eclatanti sono una irruzione nella sede della CONFAPI ed una nella sede della DC di Ancona. Patrizio, il fratello più grande, fa il salto e si trasferisce a Torino diventando brigatista a tutti gli effetti, uno del vertice. Benché abbia scritto un libro recentemente riedito ( Io, l’infame) i dubbi sulla sua figura non sono ancora del tutto svaniti. Stefano Grassi, nel suo “ Dizionario sul caso Moro”, ricorda come Patrizio Peci abbia svolto il servizio militare nei Carabinieri, i dubbi sulla teoria del “doppio arresto” e del suo utilizzo come infiltrato dal 15 dicembre 1979 al 19 febbraio 1980 (data ufficiale del suo arresto) non sono stati chiariti anche a causa del fatto che le versioni raccontate dai protagonisti sulla dinamica dell’arresto, non coincidono. E poi nella tragedia di Roberto Peci c’è Giovanni Senzani, le cui coincidenze nei contatti con persone riconducibili ai Servizi Segreti sono state ricordate nella stessa sentenza per il Processo per il rapimento di Roberto Peci.. Insomma. Ce ne sarà per parlare di altri meccanismi particolarmente “intoccabili” di quegli anni.
Ieri sera alla bella trasmissione di Serena Dandini " Parla con me" era presente la scrittrice Anna Negri, che presentava il suo romanzo "Con un piede impigliato nella storia". Anna Negri è persona di grandi capacità e talento. Basta dare un'occhiata all sua voce su WikipediaForse per questo mi ha colpito molto una sua frase, pronunciata con aria particolarmente seccata, a sottolineare una citazione (forse l'ennesima) che la Dandini ha fatto in relazione al padre, forse più famoso di lei, Toni Negri. Anna Negri ha commentato un'affermazione della Dandini con un " ma non si riesce a fare un'intervista senza nominarlo quell'individuo là?". La Dandini, in evidente imbarazzo, ha voltato pagina e ha iniziato a parlare del libro. Toni Negri ha una grande personalità, una forte presenza, a detta di chi ci ha parlato (come Aldo Grandi che è stato con lui in contatto per il libro " La generazione degli anni perduti. Storie di Potere Operaio") si crede ancora il centro della rivoluzione mondiale. Forse è per questo che una figlia non da meno per talento ed intelligenza può sentirsi soffocata da tanta personalità? O forse, come tutti i figli di personaggi celebri, non ne può più di essere continuamente ricondotta al padre?
Il secondo incontro della rassegna " Riparliamo degli anni '70" è andato abbastanza bene. Purtroppo la contemporanea mostra su Fellini ha sottratto un po' di persone che via mail avevano dato conferma della loro presenza. Il ringraziamento per l'amico Giorgio Guidelli non ha confini. L'ho già detto in sede di presentazione dell'evento. Ha fatto una follia, un tour de force che forse non si farebbe neanche per una "morosa". Una faticaccia che però ha offerto a tutti noi la possibilità di conoscere ed ascoltare un grande divulgatore, uno che per passione ruba le notti al proprio sonno perché, quando al giornale ha terminato l'ultimo articolo di cronaca per l'edizione del giorno dopo, spesso passa la notte in redazione a cercare nell'archivio o a scrivere per i suoi lavori sugli anni '70. Ed il grazie va anche per una clamorosa bomba che ci ha portato sul caso Peci, una di quelle che se fosse stata detta al TG1, il direttore sarebbe stato costretto alla pensione anticipata Il sempre presente e propositivo Pino De Luca ha ben immortalato la giovane immagine di Giorgio in un post per il suo blog Diario di bordo. Io credo che Giorgio Guidelli avrà apprezzato e ci avrà perdonati se il non numeroso pubblico non è stato all'altezza di altre occasioni, ma la competenza e la dialettica che è derivata dall'incontro mi auguro lo abbiano ripagato. Naturalmente l'invito per tutti è di restare "sintonizzati" sulle sue parole seguendo il suo seguitissimo blog Parole di piombo sul sito del giornale per il quale lavora. Avremo modo di sentirlo ancora e di avere notizia del suo prossimo, esplosivo lavoro.
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Terzo appuntamento con la rassegna " Riparliamo degli anni '70". Un nome, una garanzia: Giuseppe Ferrara, un sovversivo rompiballe per un potere che non vuol parlare dei suoi problemi (mafia, P2, storia irrisolta, affari loschi) ma preferisce farci credere che il grande dramma italiano siano gli extracomunitari (basta guardarli per essere derubati o stuprati) o il pericolo islamico. Se Ferrara è sempre stato un sovversivo, la cosa ridicola (o tragica) è che lo è stato sia per i governi degli anni '70, sia per quelli degli anni '80-90, sia per quelli odierni, tanto da non far uscire un film come " Guido che sfidò le Brigate Rosse" forse perché, come dice Ferrara, "lo Stato sta dalla parte delle Brigate Rosse". Questo mi suona più strano e quasi quasi mi fa pensare che alla fine "la marca" può anche cambiare ma lo stabilimento di produzione è sempre lo stesso. Scusatemi il paragone markettaro (nel senso di persona di marketing...) Ferrara ci ha fatto vedere l'ultima mezz'ora del film e l'atmosfera in sala è stata toccante. Un anziano spettatore (e per questo più saggio di noi) che è giunto a Brindisi da Matera (wow) non ha trattenuto le lacrime nonostante pensava dopo tanti anni di poter guardare gli avvenimenti con maggiore freddezza. Il dibattito è stato meno lungo del solito, anche perché il film è stato eloquente, ha dato molte risposte e il pubblico ha voluto approfondire le vicende artistiche di un Maestro come Ferrara. Peccato per la defezione all'ultimo momento di Leo Caroli, la sua presenza avrebbe portato un contributo diretto per capire meglio anche come il sindacato ha affrontato in questi anni la vicenda e come si pone di fronte ai nuovi simpatizzanti dei brigatisti di trent'anni fa (definirli eredi mi sembra davvero azzardato). Ferrara ci ha parlato di un suo nuovo lavoro che definisce il "Gomorrino", perché parlerà di camorra. E ne parlerà a modo suo come ha già fatto per la mafia in "Giovanni Falcone" e "Cento giorni a Palermo". Il film ha un solo problema. I finanziamenti. Certo per chi può contare sui contatti giusti, è facile trovare i soldi per realizzare un mediocre film su cose note e stranote (basta leggere i libri e le interviste dei protagonisti che quelle stesse persone che prendono i soldi per fare il film vorrebbero far zittire). Per uno come Ferrara, però, le cose sono diverse perché quando si è contro, si è contro. Io sono pronto a scommettere che i soldi per il suo progetto sulla camorra non li troverà mai. E se li troverà succederà come per il film su Guido Rossa. Dovrà organizzarsi un suo giro di proiezioni, contanto su tanti (per fortuna) amici disposti a veicolare il suo verbo. Anche questo è il nostro strano Paese.
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Mario Sossi è uno dei casi in cui la celebrità arriva certamente più per merito di una disavventura personale che per i suoi trascorsi professionali. Chi tra i meno giovani non ricorda il suo rapimento da parte di un gruppo rivoluzionario denominato Brigate Rosse che ancora in tanti definivano sedicenti? E chi, tra quelli che hanno frequentato le posizioni più estremiste, non ricorda lo slogan “ Sossi fascista sei il primo della lista”? Tutte cose che a distanza di 35 anni dovrebbero far sorridere. E, invece, l’irriducibile Sossi prima dichiara che non ha la minima intenzione di conoscere e stringere la mano al suo carceriere Franceschini, poi si candida con il movimento di Alessandra Mussolini. Ma non si ritiene soddisfatto perché ritiene che la deriva a sinistra del Pdl sia sotto gli occhi di tutti, e che Forza Nuova sia l’unica soluzione per tenere fede ai valori della vera destra. Forza Nuova. Già. Formazione di estrema destra fondata nel 1997 da Roberto Fiore, personaggio che negli stessi anni in cui Franceschini rapiva e “processava” Sossi da sinistra, era tra i fondatori di Terza Posizione che agiva in opposizione (da destra) al MSI, la cui politica era ritenuta reazionaria. Un’organizzazione speculare alle BR che contrastavano da sinistra il PCI in quanto portatore di una politica troppo prudente giudicata riformista. Le notizie sono due. Una nuova ed una vecchia. Quella nuova è che la prima parte dello slogan degli extraparlamentari non doveva essere tanto azzardata e che Sossi a forza di spostarsi a destra rischia di risbucare a sinistra (per la teoria sulla circolarità della politica). Quella vecchia è che di questi tempi in cui in molti passano il tempo a contare le apparizioni in pubblico degli ex brigatisti, deve essere sfuggito il passato del fondatore di un partito che concorrerà alle elezioni europee e che nel 2008 era addirittura candidato alla Presidenza del Consiglio. Trattasi di persona condannata per banda armata in primo grado a 5 anni e in secondo a 3 e mezzo. Che ha trascorso un lungo periodo di latitanza all’estero e che infine non è andato in carcere perché è arrivata la prescrizione. Che dichiara di essere stato “attivo in senso radicale” nella destra e che “c’era anche la spinta romantica di una gioventù alla ricerca di una verità”. In definitiva, secondo Fiore “non si può criminalizzare quel periodo”. Intervista sul Corriere della SeraE, infatti, non sono i periodi ad essere criminalizzati ma, come dice lo stesso termine, i criminali, cioè chi commette dei reati. E la banda armata è un reato. Lo stesso reato che oggi rende complicato ad uno come Renato Curcio persino scrivere un libro. Figuriamoci se volesse presentarsi alle elezioni… Che fine hanno fatto le associazioni delle vittime del terrorismo? E’ questo uno dei modi per ricordarne la memoria ed il sacrificio? Qualcuno mi ha fatto notare che, intanto, andrebbe aggiornato lo slogan: “Sossi fascista, sei il secondo della lista”
Nel gennaio del 2007 andai ad assistere ad una presentazione che Renato Curcio tenne nell’Università di Lecce del suo libro sulle carceri speciali. C’era una folla inaspettata, le TV di mezzo mondo (persino Sky) e fummo testimoni anche di un tentativo di aggressione di un gruppo di contestatori che iniziò ad urlare davanti alla porta dell’aula ove si teneva il dibattito ma fu, fortunatamente, subito allontanato da poliziotti in borghese. In questi giorni Curcio è tornato a Lecce per partecipare ad un’iniziativa di studi in commemorazione di George Lapassade, scomparso la scorsa estate, figura che ha ispirato non poco gli studi dello stesso Curcio e di un gruppo di studiosi di tutta Europa. Non potendo andare a Lecce, ho assistito al pomeriggio di studi tenutosi a Brindisi presso la sede Universitaria all’interno del vecchio ospedale “Di Summa”. Iniziativa destinata agli studenti, ma di studenti ce n’erano pochi. Destinata ai nostalgici, ma non ve n’era traccia. Allora penso: “adesso arriveranno i contestatori!”. Macchè, neanche quelli. Tempi davvero magri Questa volta tutto è filato liscio. O quasi. A protestare per la presenza del fondatore delle BR è stato Saverio Congedo, consigliere regionale del PDL e che ha sottolineato tre aspetti:
- l’Università del Salento invita il fondatore delle BR, mai pentito
- lo fa in prossimità del 9 maggio, ricorrenza dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle BR
- secondo Congedo, resterebbero «un mistero i meriti accademici e le qualità culturali di Renato Curcio, che evidentemente merita tanto onore proprio per le prodezze che lo hanno reso noto alle cronache»
La prima osservazione è stata smentita dal Rettore La Forgia che attribuirebbe l’ideazione e l’organizzazione dell’evento al Prof. Fumarola (interessante il fatto che un prof. potrebbe organizzare in Università un evento al netto dei pareri dei consigli di Facoltà). La seconda osservazione rappresenta già una variante. La prossimità con la data del 9 maggio e la conseguente non opportunità per uno come Curcio di apparire in pubblico. Quindi suggerirei a Curcio di iniziare a pensare di fare un po’ di ferie arretrate e di concentrarle nel periodo 13 marzo-13 maggio onde evitare imbarazzanti sovrapposizioni con i 55 giorni più tragici della Repubblica.
Il prof. Piero Fumarola
Per la terza osservazione, però, direi che Congedo ha mostrato non poca ignoranza (nel senso di ignorare i fatti essenziali per avvalorare la propria dichiarazione). Sospettare che i meriti di studio di Renato Curcio e Nicola Valentino siano un “risarcimento” per le prodezze che li hanno visti protagonisti vuol dire, essenzialmente, due cose: 1) che quello Stato (e io mi chiedo, perché non anche questo) ha foraggiato i crimini delle BR e dopo aver concordato delle pene poco congrue adesso restituisce delle indennità in cambio della fedeltà dei brigatisti 2) far finta di non sapere che Curcio è, sostanzialmente, un laureato in sociologia (ha rifiutato la tesi al contrario della moglie Mara Cagol che dopo la laurea salutò la commissione a pugno chiuso) e che ha compiuto studi commissionati da grosse aziende, che sono diventati libri riconosciuti all’interno delle facoltà universitarie. Chi vuole può riascoltare l’intervento di Curcio e Valentino (la qualità è quella che è perché preso da un MP3 non professionale). Magari confermerà le accuse di Congedo, o magari si ravvederà. Non è un mio problema. Io, da cittadino, osservo e pongo all’attenzione di altri cittadini come sia ancora, e sempre più possibile, utilizzare la storia comune degli anni ’70 (perché non dimentichiamoci che c’era anche una destra fascista e stragista) per strumentalizzare le divisioni di oggi. Un'ultima cosa. Ho approfittato per chiedere a Curcio di raccontarmi l'episodio della sua "richiesta" di pensione. E lui mi ha risposto, lapidariamente: "Assolutamente falsa. Pura invenzione". Beh, a questo punto mi piacerebbe sentire cosa ne pensi il giornalista che l'ha raccolta. Magari potrebbe farci riascoltare la registrazione del suo MP3. Sempre se non l'ha inavvertitamente cancellata o se le batterie non si erano appena esaurite...
Renato Curcio e Nicola Valentino
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Quarto appuntamento con la rassegna " Riparliamo degli anni '70" dedicato al caso Moro. Il pretesto è stato quello di parlare di Vuoto a perdere nell'anniversario della morte dello statista democristiano e della seconda giornata dedicata alle vittime del terrorismo. In realtà è stata l'occasione per ascoltare due punti di vista diversi: quelli di Marco Cazora (figlio dell'On. democristiano Benito) e di Alessandro Forlani (giornalista RAI che per il GRParlamento ha curato molte interviste sia in occasione del 25° che del 30° anniversario della vicenda Moro. Di fronte ad una platea molto attenta, come già è stato per le precedenti occasioni, il collegamento audio con Roma è stato il centro della serata. Cazora ci ha parlato delle informazioni raccolte dal padre ed offerte agli inquirenti e al ministro dell'Interno Cossiga, informazioni precise e inedite che però furono sottovalutate e messe da parte. Non sapremo mai se per superficialità o dolo. Forlani, invece, ci ha fornito un importante quadro cronicistico per approcciarsi alla vicenda e per lavorare sui fatti e sulle ipotesi. Insomma, una serata diversa, nella quale non si è parlato di misteri e di aspetti "tecnici" ma si è cercato di fornire dei punti di vista più complessivi che riguardano le trattative e le difficoltà per la ricerca di quei pezzi di verità cui tutti chiedono ma per i quali in molti non muovono un dito pur potendo... Spero che la scelta di non parlare del libro (se non nei brevi momenti di "caduta della linea per problemi tecnici") e di non allinearsi al coro dei misteri o presunti tali sia stata apprezzata dai presenti e da coloro che ascolteranno il tutto online. Colgo l'occasione per ringraziare molto l'amico Pino De Luca che sta rendendo queste serate più interessanti grazie al suo punto di vista ed alle sue graffianti osservazioni. Non è l'età, caro Pino, che ci rende differenti (come tu dici nel tuo blog) nei punti di vista e nelle "etichette". Credo che la cosa sia molto più complicata e spero di poterne parlare con te molto presto. Se poi in presenza anche di altri nostri amici, ancora meglio. Comunque grazie, e anche se ti definisci rompic*****ni ti assicuro che la tua presenza è quella necessaria dose di additivo per rendere tutto più stimolante.
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Per scaricare il file MP3, qui Per chi volesse approfondire la vicenda politica e professionale di Benito Cazora, può ascoltare la trasmissione Pagine in frequenza di Alessandro Forlani ( qui) del 18 aprile 2008
Quinto appuntamento con la rassegna " Riparliamo degli anni '70" dedicato al bel libro di Gabriele Paradisi "Periodista, di la verdad!". Partendo da un blog nel lontano 2005, Paradisi ha realizzato un lavoro di analisi dell'informazione relativamente alla vicenda di Litvinenko, la cui morte a causa dell'avvelenamento da Polonio, ha rappresentato l'opportunità per i mezzi di informazione per "colpire" i lavori della Commissione d'Inchiesta sull'archivio Mitrokhin e sul suo presidente Paolo Guzzanti. Una serata molto intensa, che dopo un'attenta lettura dei fatti narrati nel testo, si è arricchita con molti interventi del pubblico, alcuni anche molto critici nei confronti dell'autore e della reale esistenza di una campagna "non basata sui fatti" di denigrazione della validità dell'operato della Mitrokhin. Paradisi ha condiviso con i presenti molte riflessioni e tutti noi abbiamo avuto la possibilità di conoscere il metodo che lo ha portato a vedere quelle piccole crepe nell'informazione che, se si ha il coraggio di scrutare da vicino, sono in grado di allargarsi e rivelare veri e propri misfatti accuratamente cammuffati e fatti passare come fatti indiscutibili. Credo che tutti abbiano apprezzato i contenuti profondi e piacevoli se l'incontro è durato oltre due ore e mezza. Purtroppo, l'ultima mezz'ora il mio MP3 ha deciso che lo spazio su disco era terminato. Ma le oltre due ore "on the air" potete "gustarle" come i prodotti brindisini che al termine di queste serate abbiamo avuto il piacere di condividere con i nostri ospiti.
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Questa sera nella trasmissione di Radio24 "Storiacce" condotta da Raffaella Calandra, è stata ospite Licia Pinelli moglie del cittadino che entrato in Questura il 12 dicembre 1969 ne uscì morto il 15 dicembre da una finestra del quarto piano. Non importa come (anche se la signora parla di "picchiato e creduto morto e buttato dalla finestra"). Quello che conta è che un cittadino innocente è entrato vivo in una Questura e ne sia uscito morto. Il 9 maggio il Presidente Napolitano ha celebrato la seconda giornata per le vittime del terrorismo ed ha invitato al Quirinale sia la vedova Calabresi che la vedova Pinelli. Se per Luigi Calabresi (commissario dalla cui stanza "volò" l'anarchico Pinelli) la storia parla di "morte per terrorismo", fino ad ora non si era mai avuto il coraggio di accostare la fine ddi Giuseppe Pinelli alla stessa causa. Con la conseguenza che se anche Pinelli deve essere considerato vittima del terrorismo, allora ad essere terrorista, per la prima volta, è stato riconosciuto lo Stato italiano. Non è cosa da poco e credo che il gesto di Napolitano sia stato dettato dalla volontà di non farsi trovare impreparato alla imminente scoperta della verità su Piazza Fontana. Perchè lui sa, e sanno anche Cossiga, Andreotti, i vertici dei servizi. E allora, forse, è meglio iniziare ad invitare i colpevoli a dire la verità, che i tempi sono maturi. Ma i tempi (come le pere) non maturano per caso. Se un albero si lascia senz'acqua, le pere seccano, ma se le si lasciano troppo tempo sul ramo va a finire che maturano e ti cascano in testa. Qui sotto l'intervista a Licia Pinelli rilasciata a Radio 24.
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Ancora una volta nel giro di pochi giorni, c'è chi se ne va in giro con la bomboletta a spray a tentare di emulare ciò che evidentemente ha avuto modo di leggere sui libri (perché dubito che possa trattarsi di persone che hanno vissuto quegli anni). E l'obiettivo, data la ricorrenza del 17 maggio, è ancora Luigi Calabresi, ucciso proprio il 17 maggio del 1972. Ecco, per la cronaca, i lanci delle principali agenzie nazionali "È il secondo episodio a Milano in tre giorni: dopo la scritta 'Calabresi assassino' comparsa sul muro esterno della chiesa di Santa Francesca Romana vicino a corso Buenos Aires, ieri è stata imbrattata la targa dedicata al commissario Luigi Calabresi, ucciso nel 1972. Sulla lapide di via Cherubini, posta dal comune di Milano nel 2007, è stato disegnato un cerchio con una 'A' al centro. La scritta è stata subito rimossa dagli operatori dell'Amsa. Il vicesindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato ha commentato così l'atto vandalico: » Segnali come questo non devono essere sottovalutati«. (Fonte ANSA)" ''Nella mattinata di ieri e' stata imbrattata la targa sulla lapide di via Cherubini dedicata al commissario Calabresi. Lapide che il Comune di Milano aveva scoperto nel maggio 2007. L'Amsa ha gia' provveduto a ripulire la scritta che recava un cerchio con una 'A' al centro''. Lo comunica Riccardo De Corato, vice sindaco di Milano. ''A distanza di soli due giorni dalla vergognosa scritta apparsa su una chiesa, in piazza Santa Francesca Romana -sottolinea De Corato- questo ennesimo affronto non puo' che inquietare. E' evidente che in certi ambienti e' stato mal digerito l'alto gesto di valore morale di cui si e' reso protagonista il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha promosso uno storico incontro tra la vedova Pinelli e la vedova Calabresi''. In questo modo ''si continuano ad alimentare infamie, falsita' e doppie verita' -conclude De Corato- soffiando sul fuoco su vicende che dal punto di vista giudiziario e storico sono chiuse. Segnali come questo non devono essere sottovalutati: gli anni di piombo non arrivarono dal nulla, ma furono l'approdo di continui messaggi di odio che alla fine sfociarono nella caccia all'uomo con le spranghe''. Fonte ADNKronos" Ora a me poco interessa giudicare la gravità morale del fatto in se. Ma vorrei fare due considerazioni, una politica l'altra storica. Quella politica. Gli anni di piombo, caro De Corato, non furono "l'approdo di continui messaggi di odio". Si vada a leggere la storia. Caso mai sono l'errata valutazione di un gruppo (neanche tanto esiguo) di giovani che lessero nel crescente clima di contestazione che stava alla base della società di allora e che coinvolgeva le lotte per la casa, per i servizi, per i diritti sul lavoro, per i diritti allo studio, al salario, e via dicendo, la possibilità che si potesse avviare un processo rivoluzionario. E, soprattutto, che tale processo poteva essere portato a compimento. Non alimentiamo il clima d'odio già pesante che viviamo di questi tempi, con paradossi come quello che una "A cerchiata" su una lapide potrebbe dare nuovo vigore a forze che spesso esistono solo nella mente chi ha interesse a strumentalizzare degli atti idioti e moralmente deprecabili. Quella storica. Per l'omicidio Calabresi esiste una verità giudiziaria ma non ancora una verità storica. Allora vorrei proporre un gioco (e sottolineo che di gioco si tratta) per "vedere l'effetto che fa". Ipotizziamo che la verità vera sulla fine di Calabresi non sia stata ancora scritta. Che, per esempio, sia Pinelli che Calabresi (le cui vedove il Presidente Napolitano ha recentemente invitato al Quirinale come vittime del terrorismo) siano vittime di Stato, che siano morte per uno stesso motivo e che chi ha deciso la morte del primo sia stato, di fatto, il mandante dell'omicidio del secondo. Una provocazione, la mia. Ma riflettiamo sull'importanza di una verità diversa e sconvolgente rispetto a quella, più comoda e rassicurante, che conosciamo. Ragioneremmo ancora così? Avremmo ancora degli idioti che a distanza di 37 anni imbrattano delle lapidi? O dei giovani (e vecchi nostalgici) che progettano attentati contro giuslavoristi? Dovremmo ancora invocare il pericolo terrorismo dietro ogni piccolo atto che oltre il teppismo è difficile catalogare? Di certo vivremmo meglio. E allora non fermiamoci. Andiamo avanti e cerchiamole (e chiediamole) quelle verità di Stato che tutti sappiamo ma che nessuno ha le prove per smascherare. E parliamone, parliamone, e parliamone ancora. Tutto sta a scoprirla la verità, non a scegliersela.
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