Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
In questi giorni mi è capitato di parlare spesso con altri appassionati di storia degli anni ’70. Persone che sacrificano il proprio tempo libero e le proprie famiglie per cercare di capire meglio cosa ha attraversato l’Italia nei cosiddetti “anni di piombo”. E al centro di quegli anni, come tutto a se richiamare, il caso Moro. Ciascuno la vede a modo suo. Ciascuno interpreta gli stessi elementi in mille sfumature diverse. Ciascuno ha l’abilità di riuscire a convincerti che i suoi elementi “reggono” nella propria ricostruzione. Nelle interminabili discussioni, si salta di palo in frasca, si parte da via Fani per giungere alle aree limitrofe a Roma, per tornare a via Fani e finire al materialismo storico applicato alla classe operaia delle grandi fabbriche degli anni ’70. Mi sembra di essere una rana, che salto dopo salto, percorre le sponde del lago come un improbabile canguro reatino. Ma mi sembra anche di essere in una grande caccia al tesoro in cui qualcuno, da un livello superiore, dirige gli indizi e si diverte ad osservare come si allontanano dalla meta i partecipanti, utilizzando la nota legge di Truman “Se non li puoi convincere, confondili”. Ma solo perché il gioco prevede un unico vincitore che, come premio, avrà il privilegio di accedere a tale esclusivo livello. E per rappresentare questa sensazione non mi è venuto di meglio che il trovarmi in un campo di gigli che impregnano l’aria con un profumo che non è un profumo, intensi come un olezzo che non è una puzza ma che ti resta dentro per un tempo indefinito. Eleganti, dal fusto eretto, dalle importanti proprietà medicali e che, nell’iconografia religiosa rappresentano la purezza. Ricordiamoci, però, quanto Shakespeare sottolineò sui gigli: “ Quando marciscono i gigli mandano un puzzo più ingrato che quello della malerba”. A buon intenditor…
Nelle scorse settimane mi hanno molto colpito una serie di esternazioni del "solito" picconatore Emerito Sen. Francesco Cossiga sull'eventuale ruolo di potenze straniere negli attacchi sferrati al nostro Premier con l'obiettivo di minarne la credibilità morale agli occhi di un popolo (a suo dire) innamorato del proprio leader e per questo inattaccabile dal punto di vista politico. Alludo, ovviamente, alle vicende legate a Villa Certosa, alle feste organizzate ed alle finalità delle stesse. > Leggi l'articolo di Marco Cazora< Subito dopo l'ex Presidente della repubblica, anche il Ministro Bossi ha sollevato il problema, oltretutto rincarando la dose ed arrivando ad accusare i servizi di intelligence di aver, in passato, messo delle bombe. A me è sembrato strano che nessun magistrato abbia inteso convocare il senatur per verificare, data la gravità della sua affermazione, quali fossero in merito le informazioni in suo possesso. Ma tant'è, siamo in Italia... Riporto le due dichiarazioni in questione e rimando ad uno speciale di approfondimento per il resto dei lanci di agenzia.
COSSIGA, SERVIZI VERIFICHINO SE C'E' STATA OPERAZIONE CONTRO L'ITALIA -29 giugno Adnkronos I Servizi segreti verifichino se da parte dell'intelligence di "Paesi 'alleati ed amici'", vi e' stata "un'operazione di 'intossicazione' e di 'disinformazione' dell'opinione pubblica italiana e internazionali ed anche a livello di altri Governi esteri, nei confronti del nostro Paese e del suo Governo, al fine di screditare all'interno e/o all'estero la sua politica estera e militare o di influire su di essa''. Lo chiede il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, in un'interpellanza ai ministri dell'Interno, dell'Economia e della Giustizia, in riferimento all'inchiesta condotta dalla Procura di Bari che fa riferimento anche a vicende private del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
BOSSI: I SERVIZI SEGRETI PRIMA USAVANO LE BOMBE, ORA USANO LE DONNE - L'INTERVENTO DI COSSIGA - 04 luglio Adnkronos Il leader della Lega Umberto Bossi ribadisce di non credere "a una sola parola" sulla vicenda delle feste private a Villa Certosa con le giovani donne organizzate dal presidente del Consiglio. "A volte penso a quello che è successo e mi sembra una roba tutta organizzata - ha detto Bossi parlando dal palco di una festa della Lega ad Arcore, a poche centinaia di metri dalla residenza di Silvio Berlusconi Villa San Martino - i Servizi sono quelli che organizzano tutte quelle porcate. Mi sembra quello che avveniva anni fa. Allora era peggio perchè usavano le bombe. Oggi, vabbè, usano le donne". Per Bossi "il fine è sempre lo stesso: destabilizzare i governi". "Berlusconi forse - ha proseguito Bossi - ha un solo difetto: che invece di farsi accompagnare dalla polizia normale si fa accompagnare dai Servizi segreti. Meglio farsi accompagnare dalla gente della Lega, come faccio io, e dalla polizia normale, dalla Digos. Farsi accompagnare dai Servizi, mah...".
In questi giorni mi è giunta un'interessante analisi di un osservatore acuto e competente come Marco Cazora, amico che da tanto tempo si occupa (per pura passione) di "osservare" le vicende italiane con la sensibilità di colui che ha approfondito molte vicende del passato. > Leggi l'articolo di Cazora< La domanda che voglio porre ai lettori è molto semplice: Cossiga quando chiede di verificare l'ingerenza straniera nelle vicende italiane, parla per esperienza diretta? Forse allude a tutto ciò che è avvenuto in Italia da Portella della Ginestra a Tangentopoli (vicenda, quest'ultima, che oltre al ricambio di una generazione di politici, lo costrinse alle dimissioni anticipate da Presidente della Repubblica)? La spiegazione alternativa, invece, sarebbe che il nostro Emerito si stia facendo troppo condizionare dai successi editoriali della coppia Steve Pieczenik-Tom Clancy. Sembra che almeno uno dei due si intenda molto di questi argomenti...
Dopo 28 anni di silenzio, grazie al film di Luigi Maria Perotti “ L’infame e suo fratello” (> leggi intervista a Perotti<) si torna a parlare del primo pentito delle BR, del fratello ucciso dopo 55 giorni di prigionia dalle BR di Senzani e, per la prima volta, entra in scena Roberta Peci, figlia di quel Roberto la cui tragedia fu ignorata dall’intera nazione. A differenza di quello che si era verificato nello stesso periodo per l’assessore campano della DC, Ciro Cirillo. > Leggi la news< Roberta chiede che al padre sia intitolata l’attuale via Boito, la strada nella quale Roberto fu rapito il 10 giugno del 1981. E’ un tentativo di non rimuovere la memoria, più che di ristabilire la verità. Poi Roberta, presente al sedicesimo Premio Libero Bizzarri DocFilmFest-Academy a San Benedetto del Tronto, si è lasciata andare ad altre dichiarazioni che in parte rappresentano dei messaggi ai soliti destinatari, in parte errori di valutazione storica dei fatti. «Roberto Peci non era militante delle Br - ha spiegato la figlia -. Non credeva nella violenza. È stato una vittima innocente delle Br», che ha pagato «un prezzo irragionevole, troppo alto. Era un'antennista di 25 anni, morto ammazzato come un cane».Premetto che la mia prima necessità è il rispetto verso dolore di una ragazza che nasce senza padre e che cresce portandosi appresso un aggravio di dolore per non potersi dare una giustificazione al fatto di non aver mai potuto ricevere una carezza dal genitore. Premesso questo, non mi sento di condividere il fatto che non essendo Roberto Peci un militante delle BR fosse un convinto non violento. L’aver assaltato la sede della Confapi di Ancona in quel contesto storico e con le tipiche modalità di una banda eversiva, voleva dire essere coscienti che da li in poi il grande salto era possibile. Ed infatti il fratello Patrizio quel salto lo fece. Che poi si possa essere convinto che quella non fosse la strada giusta, che avesse meditato di mettere su famiglia e di lavorare da antennista è un altro discorso. Non citando mai il nome dello zio Patrizio, Roberta rincara la dose: «Se il fratello di mio padre non si fosse pentito, Roberto Peci sarebbe ancora vivo […] non mi aspetto niente, non mi ha mai cercato. Come avrebbe potuto, se ancora sostiene che se potesse tornare indietro non cambierebbe nulla!». E’ bene ricordare come Patrizio Peci si sia rifatto una vita, ha un lavoro, viva sotto falsa identità ed è ancora protetto dai carabinieri. Lui e la sua famiglia, in questi 28 anni, si sono chiusi nel silenzio e tutti i privilegi di cui ha goduto appaiono motivati più dalla necessità di dare protezione ad un segreto che all’incolumità personale. Nei confronti di un ex brigatista pentito, lo Stato non si è mai preoccupato più di tanto dopo aver raccolto le sue, in molti casi misere, rivelazioni. Dai più fatte solo per il desiderio di evitare un ergastolo che da reali motivazioni di coscienza. Anzi, molti di essi, sono stati lasciati morire in carcere, massacrati dai compagni irriducibili, affogati nell’acqua del cesso, impiccati o sgozzati. Episodi ugualmente tragici a quelli di Roberto Peci. E allora sorge il sospetto, che dietro la storia dei fratelli Peci, ci sia qualcosa di ancora indicibile, autorizzato ad altissimi livelli, portato avanti senza scrupoli. Qualcosa che a distanza di 28 anni non può essere ancora rivelato apertamente.Se la famiglia Peci non ha potuto sfogare la propria rabbia e vedere assicurati alla giustizia anche coloro che causarono, con le loro scelte crudeli forse giustificate dal voler combattere con ogni mezzo e ad ogni costo il fenomeno brigatista, una vicenda terrificante come quella che vide protagonista Roberto, altri forse ritengono che i tempi siano maturi e iniziano ad assaporare il gusto delle proprie rivelazioni. E così, uno dei protagonisti di quella storia, decide di contattare un bravo e coraggioso giornalista, Giorgio Guidelli, raccontando quello che Giorgio ha raccontato a noi il 24 aprile scorso, leggendo le dichiarazioni testuali della sua fonte. > ascolta la serata sulla storia di Roberto Peci< Una roba da brividi che, ovviamente, nessuno raccoglierà perché nessuno vuole scottarsi le mani (o anche di peggio). E, infatti, 28 anni fa ai funerali di Roberto non vi fu nessuna rappresentanza istituzionale (ad eccezione di Boato e Pinto). Neanche come forma di ringraziamento e di vicinanza verso la famiglia di uno che aveva consentito a quello stesso Stato di colmare le lacune che avevano da sempre impedito un’efficace azione contro le BR. Lo Stato fu latitante durante il sequestro, abbandonando i Peci al loro destino, perché decise che la verità non valeva la vita di un operaio, mentre la sconfitta poteva essere messa in conto per liberare un assessore napoletano. Sempre a patto del silenzio, però. Perché anche Ciro Cirillo ha recentemente detto che anche Moro sarebbe potuto essere liberato se si fosse stati disponibili a pagare un riscatto come nel suo caso. Ma ha anche precisato di non voler aggiungere altro perché, pur avendo ottant’anni, ci tiene a morire di morte naturale. Insomma, cara Roberta Peci. Se fossi in te, penso che il modo migliore che avrei per ricordare ed onorare la memoria di mio padre sarebbe la ricerca della verità che, è vero, potrebbe rivelarsi molto amara, ma che restituirebbe giustizia a chi per quella morte non ha mai pagato il giusto prezzo.
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