Immagine
 
 
"
Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato

George Orwell
"
 
\\ Home Page : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
In una nuova intervista rilasciata ad Euronews il 10 maggio scorso, l'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga torna a parlare dei 55 giorni e risponde alla domanda chiave sul sequestro Moro: "perché non fu salvato?"

Cossiga, in un colloquio in cui è apparso molto schietto e misurato, non fa che fornire una nuova conferma di quanto detto dal suo consulente Steve Pieczenik, che gli americani affiancarono all'allora Ministro dell'Interno per gestire al meglio la crisi politica in cui si trovò il nostro Paese all'indomani del rapimento di Aldo Moro.

In sintesi Moro non morì per effetto di una decisione presa da Cossiga o Andreotti (tesi spesso diffusa nell'opinione pubblica) ma perché non "crollasse lo stato".


Un'osservazione che, forse, può apparire una novità.
Cossiga ha sottolineato che se i socialisti avessero informato le autorità (in questo caso il Viminale) dei loro contatti, data l'importanza di tali personaggi, si sarebbe potuto scoprire il luogo dove i brigatisti avevano rinchiuso Moro.

«Ma davvero?» mi verrebbe da chiedere all'ex Presidente.

Recentemente, lo stesso Cossiga ha dichiarato all'ANSA un particolare relativo alla sera dell'8 maggio:
«Noi avevamo fatto un piano a reticolo. Avevamo suddiviso la città, il centro, in tanti quadrati. E la notte l'Esercito ci dava una mano per bloccare il settore e poi lo si passava al setaccio. Io avevo capito che se Moro era a Roma prima o poi lo si beccava. Infatti qualcuno nelle Br ha detto che la morte di Moro è stata affrettata perchè sentivano il cappio che li stringeva al collo».

Se i brigatisti hanno dovuto affrettare l'esecuzione del loro prigioniero (Maccari parlò addirittura di lampeggianti blu che si intravedevano a poche centinaia di metri da via Montalcini) evidentemente il "quadrato" che si stava per setacciare doveva essere quello giusto.
E allora mi chiedo se quell'operazione di polizia fu finalizzata ad individuare la "prigione del popolo" o se si trattò dell'ennesimo strumento di attuazione della strategia suggerita da Steve Pieczenik: fare pressione sulle BR affinché commettessero l'errore di uccidere il loro prigioniero.

In questa ottica diventa anche molto chiara l'affermazione che l'Avv. Giannino Guiso ha riportato in Commissione Stragi.

«Le BR sono arrivate ad uccidere Moro, a mio parere, perché sono state costrette a farlo;
quindi qualcuno le ha costrette a fare ciò»

Più chiaro di così...
Articolo (p)Link Commenti Commenti(1)  Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Manlio  21/05/2008, in Articoli (3037 letture)

Nel numero di Aprile di "Cronache e opinioni", mensile del Centro Italiano Femminile, è apparsa una interessantissima intervista di Paola Di Giulio al giornalista dell'ANSA Paolo Cucchiarelli incentrata sul trentennale della vicenda Moro e su quelli che, comunemente, vengono definiti "Misteri". Dall'agguato di via Fani alle foto scomparse, dalla giornata del 18 aprile alle trattative, dall'apertura degli archivi alle ultime ore del Presidente della DC.
> scarica il PDF <

La seconda polaroid di Moro nella "prigione del popolo"

L’idea di fondo di Cucchiarelli è che si è “verificata una concordanza di interessi a far si che nessun protagonista veda svelata al sua quota-parte di segreto” ed è per questo che le cose, con il tempo, diventano un mistero. In realtà in Italia non sono i misteri a reggere la prova del tempo, ma i “segreti concordati”.

Come fare a scardinare questo segreto?
Questo Cucchiarelli non lo dice nell’intervista, per ovvie ragioni di spazio.
Ma, come ha sottolineato in una recente intervista ad Alessandro Forlani su GRParlamento > ascoltala <, sarebbe necessario recuperare la tradizione ormai quasi persa del “giornalismo d’inchiesta”, avvalendosi di un serio e rigoroso metodo di raccolta dei fatti evitando di far si che debbano essere i fatti ad adattarsi alla propria ideologia. Al contrario sarebbe necessario tornare a far parlare i fatti. Perché è mettendo assieme i dati, trovando le connessioni logiche, e compiendo verifiche incrociate delle ipotesi che l’analisi finale può condurre a svelare il mistero.

Utilizzando questo metodo che Cucchiarelli insegna nelle aule di formazione ai giovani giornalisti, Valentina Magrin e Fabiana Muceli hanno svolto una dettagliata inchiesta (che è poi diventata la loro tesi in giornalismo investigativo) che è poi diventata anche un libro “La chiave di Cogne”. > leggi <

Credo che possa essere una strada giusta per giungere alla soluzione del “segreto di Moro”. In Vuoto a perdere (che non è un libro d’inchiesta) questo metodo è stato applicato (devo dire inconsapevolmente) per raccogliere e strutturare i fatti in un contesto non ideologico permettendo al lettore di poter “ascoltare” i fatti e analizzarli autonomamente.

Applicando il metodo suggerito da Cucchiarelli si potrà arrivare offrire alla nazione la verità che sta dietro al “segreto di Moro”? Molto probabilmente si.

In questa vicenda, però, occorrerà superare due ostacoli fondamentali:

1) Cucchiarelli a parte, c’è qualcuno disposto a mettere da parte le proprie teorie con il rischio di di vedersele, alla fine, capovolte completamente?
2) Siamo pronti, come Paese, a sapere fino in fondo la verità o questo provocherebbe ulteriore dolore e conseguenze istituzionali?
Articolo (p)Link Commenti Commenti(1)  Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Manlio  15/05/2008, in Pensieri liberi (6360 letture)
Ricevo e pubblico con molto piacere, questo articolo di un lettore che ha provato a ripercorrere lo spazio e la memoria tornando, dopo 30 anni, in via Montalcini.

Via Montalcini 8, Roma

di Patrizio J. Macci

Parto da una strada che si chiama Via Roma Libera, ai piedi della collina di Monteverde. Ho appena lasciato il caos di Trastevere e le sue strade sudice di vita. L'autobus che mi accompagna è uno scassone della Linea 44. Arranca, sgassa, sembra non farcela, poi sterza violentemente a sinistra ed imbocca la salita di Via Dandolo; è un nome che mi piace perchè rotola in bocca come una caramella e spazza via la polvere di Porta Portese. Comincio a immaginare quello che c'era trent'anni fa. Un mese fa sono venuto con un'amica architetto, laureata con una tesi sulla storia di questo quartiere. E' stata rassicurante: "Guarda, a parte gli edifici che avevano le facciate pulite (!) e le automobili decuplicate, il resto è tale e quale!!!".
Sembra di stare a S. Francisco: curve e saliscendi "a strappo", ville con giardini patronali e palazzotti della borghesia romana. Targhe ottonate scintillano sui portoni : avvocati, commercialisti, un notaio recentemente decaduto nelle cronache, un chirurgo estetico in voga. Consulto il block notes e rifletto su come abbiano potuto trasportare il corpo, senza vita e crivellato dai colpi d'arma da fuoco, nel portabagagli di una Renault 4 evitando sballottamenti e perdite di sangue: il mio lapis non riesce a scrivere di seguito per cinque secondi, eppure l'autobus procede e frena lentamente per raccogliere una piccola folla di studenti. Sono stranieri, inglesi o meglio americani, urlano e si lanciano appuntamenti serali. [continua a leggere]
E' rimasto un pertugio per sbirciare dal vetro la vettura è stracolma. Indovino il muso fascista del Palazzone delle Case Popolari, questo c'era eccome! Dominava dall'alto e se allungavi il collo potevi vedere il ferrobedò di Pasolini e il figlio di Tommaso che correva verso il Tevere.
Sciamano via tutti insieme come sono arrivati, appena superiamo uno splendido parco del quale non memorizzo il nome. Penso che loro no non c'erano, non erano ancora nati.
Siamo arrivati alla prima base della collina, c'è il Teatro Vascello e chissà che programmava in quei giorni maledetti. L'autobus si arresta completamente, il conducente impreca: la cosa è grave. C'è un tamponamento, una moto ed il centauro riversi a terra: si attendono soccorsi. Impossibile procedere o andare indietro. Impazzano i clacson, le sirene cominciano a ululare, salgono dall'ospedale S. Camillo.
Ne approfitto per scendere, siamo fermi proprio all'angolo con una stradina che affaccia su due ville vagamente anni settanta. Mi affaccio ed è tutto finito: un fazzoletto di giardino, due bambini un pallone da calcio ed un gatto. Sono lontano mille miglia da Roma e dalle Brigate Rosse.
Cristina è nata dopo il 9 maggio 1978, però forse i suoi genitori si conoscevano, avevano gia cominciato a "fare l'amore". Mi ha detto che lo chiederà alla madre appena sarà a casa, ride divertita: l'idea la intriga assai. Di Moro conosce poco, che è molto di più di quello che la maggior parte dei ventenni impareranno mai.
Ho accettato di portarla, ha una borsa piena di obiettivi e macchinette fotografiche digitali. Mi ha convinto: "prendiamo qualche istantanea" ha detto, pixel spalmati su un monitor evocheranno fantasmi e demoni nascosti dalle probabili ristrutturazioni estetiche.
Incrociamo Piazza S. Giovanni di Dio, ci sono i binari del tram come allora, l'autobus sobbalza e chissà come si sono guardati in faccia i due terroristi se davvero l'hanno attraversata: il pensiero corre all'uomo nel bagagliaio, l'adrenalina che sale mentre la mano stringe la calibro 9 che è fredda maledettamente gelida, anche se siamo a maggio ed è gia esplosa l’estate.
Sale un uomo col borsello accessorio maschile in voga negli anni '70, questo potrebbe essere arrivato con la sua macchina del tempo ed aver parcheggiato nelle strisce blu dopo aver esposto il tagliando orario. Ci avviciniamo, siamo su Via dei Colli Portuensi i negozi si diradano scorgo in uno squarcio il Gazometro lontanissimo, Viale Marconi con le banche comode per essere rapinate una dietro l'altra, la Banda della Magliana aveva intuito. Improvvisamente spariscono i negozi e ci sono solo abitazioni, palazzi senza nessuno spazio commerciale, la corsia stradale si restringe c'è uno spartitraffico con la terra e qualche ciuffo d'erba che ce la mette tutta per uscire fuori. Consulto l'orologio, è quasi mezzoggiorno. A quest'ora Aldo Moro è gia fantasma.
Siamo rimasti noi due e il conducente, la mia fotografa cerca disperatamente qualcosa che non trova dentro la sua borsa da Mary Poppins. Mi sono distratto e l'autobus piega violentemente a destra, altri due secondi ed avremmo buttato giu il muro e la targa di marmo con scritto Via Camillo Montalcini. Frena, ci lascia sul piazzale, l’autista scende e corre ad accendere la sigaretta che stringeva fra le mani da almeno un quarto d'ora. Chissà se il capolinea era proprio qui?? Poi penso no, non c'era e recito a mente dal “Manuale del perfetto brigatista, norme di sicurezza e stile di lavoro”:
(...) la casa deve essere scelta con particolare cura: la STRADA deve prestarsi ad un facile controllo da parte del militante e ad un controllo scoperto da parte del potere; cioè possibilmente non deve essere vicina a bar, luoghi pubblici di vario genere: negozi, istituti, magazzini, fermate d'autobus ecc."
La villa pubblica prospicente ha il parco che degrada verso la Portuense. E’ riportata nei giornali dell'epoca come “prato con sterpaglie”, ma era gia Villa Bonelli.
L'atmosfera è sospesa, sembra di essere a Catania. Un Tomasi di Lampedusa, annoiato e vestito di bianco, potrebbe vergare il suo diario seduto su un divano di vimini. Il traffico di Roma è un rombo lontano che posso scorgere dall'alto se strizzo gli occhi.
Il carcere del popolo è rimasto quello che abbiamo scrutato su fotoingrandimenti e vecchi documentari televisivi. C'è un muraglione che protegge il giardino, arriva fino al marciapiede. Una carrucola al secondo piano ed una corda che penzola, operai romeni portano via i calcinacci da un appartamento. Tutta la costruzione è una fortezza minacciosa in cima ad una montagna. Si intravedono le sbarre alla porta finestra che conduce in giardino.
L’appartamento ha un soggiorno spazioso ed illuminato, facciamo qualche scatto con il palazzo come sfondo. Sono stanco e contrariato mi sembra che non ci sia assolutamente altro da vedere, nulla che non sia stato scritto verbalizzato e digitalizzato. Cristina si muove rapida: avvita uno zoom, qualcuno dall'ultimo piano fa gestacci. L'anniversario ha reso la strada troppo celebre e oggi non siamo i primi a curiosare.
Seguo il muro dell’edificio abbracciandolo, sono praticamente a pochi centimetri dalla casa: se con un pugno potessi bucare la parete entrerei nella prigione di Moro, nella stanza del Presidente. Trevirgolaventiquattro metri quadri sono uno spazio troppo piccolo per uscirne senza i segni che l’anatomopatologo ha cercato invano. Rifletto sconsolato che i terroristi hanno mentito anche su questo.
Forse il Prigioniero non ha scorto la luce che filtrava dalla porta a vetri del giardino ma ha visto la finestra, l'unica che si affaccia a sud dove mani intelligenti hanno collocato una scrivania, c’è un libro aperto. Riesco addirittura a leggere il titolo, è un manuale scolastico di terza elementare. Uno scolaro consuma le ore dove è passata la Storia. Alzo gli occhi e fisso i vetri. Intuisco quello che nessuna delle foto che guarderemo la sera stessa fino a notte fonda è riuscita a fissare se non come sincopi digitali, riflessi di uno specchio che non riesci a interpretare.
Una mano di bambino ha incollato sui vetri due pupazzi, un personaggio di cartoon, una automobilina e un pesciolino.
Hai scritto dalla tua prigione: "Se ci fosse luce...".
Abbraccio la mia fotografa stremata che nel frattempo è crollata sul divano, le rimbocco il plaid e siedo sul pavimento davanti a lei. La luce dell’alba bussa alle imposte, le soffio in un orecchio: "Ti racconto il 16 Marzo 1978 e chi era Aldo Moro, un giorno lo spiegherai a tuo figlio".
Articolo (p)Link Commenti Commenti(4)  Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Manlio  14/05/2008, in Attualità (6316 letture)

Venerdi 9 maggio, in concomitanza con il trentesimo anniversario dell’uccisione di Aldo Moro e della prima giornata nazionale a memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi, il settimanale “Panorama” ha pubblicato un’intervista esclusiva a Luigi Cardullo, ex direttore del super carcere dell’Asinara.
Cardullo fa riferimento alle intercettazioni ambientali che il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva chiesto di effettuare per ascoltare i brigatisti detenuti nelle loro conversazioni all’interno degli spazi comuni.
Sebbene di queste intercettazioni ne sia venuta alla luce una sola (leggi il rapporto della DIGOS) che l’ex Direttore attribuisce ai brigatisti Naria e Fantazzini (?), Cardullo parla di un lungo periodo di ascolto durato dalla metà del ’78 alla fine del 1980, data in cui lasciò il carcere. Poco dopo cominciarono le sue grane giudiziarie finendo sotto inchiesta e condannato a 5 anni per corruzione e truffa, accuse dalle quali egli ha sempre proclamato la sua innocenza.

Le intercettazioni, chieste dal Generale Dalla Chiesa e dai capi dei servizi Grassini e Santovito, hanno dato la possibilità a Cardullo di venire a conoscenza di tre personaggi che erano in contatto con i vertici brigatisti ma che non sarebbero mai stati sfiorati da nessuna indagine. Questo, sottolinea Cardullo, nonostante delle informazioni raccolte furono informati sia Dalla Chiesa che i capi dei servizi.
       
Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giuseppe Santovito

Cardullo non si è preso la responsabilità di fare i nomi di questi personaggi ma ha fornito un identikit che solo avendo i paraocchi non è possibile collegare alle rispettive persone. Queste le descrizioni dettagliate che Cardullo ha riportato a Giovanni Fasanella.
Un senatore del PCI detto “il vecio”, deputato nel ’58 e senatore nel ’63, partigiano, dirigente internazionale del Soccorso Rosso. Una donna di cultura detta “la zia”, dirigente del Soccorso Rosso italiano, donna di cultura molto in vista. Un alto ed insospettabile magistrato che lavorava al Ministero della Giustizia nella stessa stanza del giudice D’Urso che fu assassinato in un paese arabo e la cui vicenda fu archiviata.

Questa intervista ci pone di fronte ad una serie di problemi.
L’ovvietà sta nel fatto che qualcuno potrebbe essere tentato di iniziare la già vista crociata contro il culturame e gli intellettuali additandoli come causa e fattore di sviluppo del fenomeno della lotta armata nel nostro Paese. Mi sembra talmente banale che le BR avessero dei referenti molto in alto che sarei tentato di non perdere tempo ed andare oltre. Ma vi sembra che un’organizzazione che ambisce a fare la rivoluzione “costruisca la presa del potere” sull’operaio Cipputi e non si preoccupi di infiltrarsi nei Palazzi del Potere per costruire la propria rete di supporto?
E non mi scandalizza che delle persone che ricoprivano cariche importanti nello Stato (poche o molte, questo non sono in grado di stimarlo) abbiano potuto ritenere di appoggiare il progetto brigatista. Sicuramente non più di quanto mi possa indignare il fatto che, è questo è appurato e ampiamente documentato, altri personaggi chiave della nostra democrazia abbiano lavorato per conto di interessi ben diversi da quelli per cui hanno prestato giuramento (alludo ai vari depistaggi, alla massoneria, alla Gladio all’estero, ecc.).

Gli elementi più importanti che, secondo me, emergono dall’intervista sono almeno due.

In primo luogo, è giusto che un’intervista possa articolarsi sulla tecnica dell’indovinello facendo si che ad affermazioni così gravi non corrisponda un equivalente livello di assunzione di responsabilità? Sono certo che Fasanella abbia chiesto a Cardullo i nomi e tenderei ad escludere il fatto che l’ex Direttore non li abbia fatti in sede privata. Ma a questo punto è anche lecito chiedersi a cosa sia realmente servita questa intervista se non ad alzare l’ennesimo polverone che non contribuirà ad aggiungere chiarezza ma a scatenare nuove polemiche...
Per il momento nessuno ha ripreso la notizia. Non mi risulta che qualche giornale o qualche blog si sia espresso in merito.

In secondo luogo, la chiave per leggere la vicenda credo sia da ricercarsi nella frase “erano a conoscenza...”.
Se è vero che all’epoca l’antiterrorismo (e quindi Dalla Chiesa) aveva “pieni poteri” e quindi l’obbligo di riportare esclusivamente al Presidente del Consiglio e la stessa logica valeva per i servizi, ci chiediamo: “L’informazione non fu trasmessa o fu bloccata ai livelli più alti?”. E di conseguenza: “L’informazione non fu utilizzata perché qualcun altro era a sua volta filobrigatista o perché costoro non avevano interesse a scavare e risalire a certi livelli?”.

Cominciano a delinearsi scenari di cui si è sempre sospettata l'esistenza ma che sono sempre stati affrontati con troppa leggerezza, avvolgendo le responsabilità degli uomini di Stato dentro la facile coperta della "deviazione" o della "fermezza".
Per giustificare e per sotterrare.
Articolo (p)Link Commenti Commenti(0)  Storico Storico  Stampa Stampa
 
Il Sussidiario.net, intervista a Francesco Cossiga (02/05/2008)

La peculiarità del Sessantotto italiano, come notano diversi osservatori del fenomeno, è quella di essere durata un decennio. E il tramonto di quel decennio coincide con l’alba tragica degli anni bui della lotta armata. I violenti scontri del ’77, prima, e poi l’evento culmine degli “anni di piombo”: il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
Uno dei protagonisti indiscussi di quegli anni è Francesco Cossiga; o, meglio, “Kossiga”, con doppia esse in stile gotico (a richiamare le SS naziste). Così, infatti, figurava sui muri il nome dell’allora ministro degli Interni, dopo la repressione dei fatti di Bologna del 1977, quando negli scontri tra polizia e manifestanti perse la vita il militante di Lotta Continua Pierfrancesco Lorusso (gli scontri, vale la pena ricordarlo, furono generati dal tentativo, da parte di Autonomia Operaia, di interrompere un convegno organizzato dagli studenti Comunione e Liberazione; in seguito alla repressione, gli stessi “ciellini” furono fatti oggetto di una serie di minacce e attentati). L’anno successivo, poi, i 55 giorni del caso Moro; Francesco Cossiga era ancora ministro, e, dopo l’uccisione di Moro, rassegnò le dimissioni.
Allo stesso Cossiga ilsussidiario.net ha chiesto di riportare per un istante lo sguardo su quegli anni.

Presidente Cossiga, guardiamo al passaggio dal Sessantotto alla lotta armata: quali sono gli elementi di continuità e quali invece gli elementi di rottura? Il ’68, cioè, si evolve naturalmente in violenza (perché ideale già violento all’origine) o c’è stata in mezzo una frattura?

Certamente c’è stata una frattura, perché solo una minima parte dei teorici e dei protagonisti del Sessantotto si è data poi alla lotta armata. Ma c’è anche un elemento di continuità: da una parte la “violenza” faceva parte della cultura del Sessantotto, almeno la “violenza” teorica contro il potere, contro le convenzioni, contro l’“autoritarismo” che veniva esercitato in diversi ambiti: nella società, nello Stato, nella scuola, nella famiglia e anche, per le frange cattoliche, nella Chiesa.

Lei ha dovuto gestire in prima persona il problema della violenza di quegli anni: ritiene la sua una posizione privilegiata o di svantaggio per capire il fenomeno?

Mi sono certamente trovato in una posizione che definirei tragicamente privilegiata



Cosa riafferma di ciò che ha fatto politicamente per arginare il fenomeno terroristico di quegli anni? Cosa invece rinnega, o non rifarebbe se tornasse indietro?

Credo di essermi comportato in fedeltà allo Stato e alla morale, e farei anche oggi le scelte che ho fatto allora. Mi è rimasta però una domanda, riguardo ai provvedimenti adottati in quegli anni: la dura repressione dei movimenti dell’Autonomia, culminati nella “rioccupazione” di Bologna del 1977 e nel fallimento del “convegno contro la repressione”, considerato che si trattava di movimenti che certo usavano la violenza ma non nelle forme e con l’intensità del terrorismo di sinistra, non può aver spinto gli stessi militanti dell’Autonomia verso la lotta armata?

Avere la responsabilità che lei ha avuto nel periodo più buio della storia della Repubblica è un peso difficilmente immaginabile per chi non l’ha vissuto: che cosa l’ha sorretta in questo? E soprattutto che cosa l’ha sorretta dopo la tragica capitolazione del rapimento Moro?

Anzitutto mi ha sorretto la volontà di servire lo Stato in solidarietà con i “ragazzi” delle forze dell’ordine e nel rispetto dei caduti e del dolore delle famiglie e la volontà di operare perché tutto avesse fine: e ciò secondo una coscienza formata religiosamente dalla Fede e laicamente dal “patriottismo repubblicano”. La morte di Moro, poi, l’ho vissuta come una mia sconfitta, ed anche come la dolorosa conseguenza di una scelta tragica, ma necessaria.

Che cosa ci portiamo ancora addosso di quegli anni?

Il dolore per i caduti e le famiglie offese, insieme anche al dolore per i militanti della lotta armata, che hanno gettato via la loro giovinezza.
E, infine, la mancata risposta alla domanda: «Perché è successo?»
Articolo (p)Link Commenti Commenti(0)  Storico Storico  Stampa Stampa
 
Pagine: 1

Vuoto a perdere
Se vuoi saperne di più sul libro, sui contenuti e altro materiale sul 'caso Moro'

 


Vuoto a perdere [Digital Edition]
Tutto un altro progetto

Titolo
Approfondimenti (11)
Articoli (2)
Attualita' (1)
Attualità (90)
Attualità (1)
Dal libro (1)
Eventi (7)
Giudiziario (5)
Interviste (21)
Libri (5)
Nuova Commissione Moro (6)
Pensieri liberi (12)
Politica (2)
Presentazioni (1)
Recensioni (1)
Storia (9)

Catalogati per mese:
Settembre 2007
Ottobre 2007
Novembre 2007
Dicembre 2007
Gennaio 2008
Febbraio 2008
Marzo 2008
Aprile 2008
Maggio 2008
Giugno 2008
Luglio 2008
Agosto 2008
Settembre 2008
Ottobre 2008
Novembre 2008
Dicembre 2008
Gennaio 2009
Febbraio 2009
Marzo 2009
Aprile 2009
Maggio 2009
Giugno 2009
Luglio 2009
Agosto 2009
Settembre 2009
Ottobre 2009
Novembre 2009
Dicembre 2009
Gennaio 2010
Febbraio 2010
Marzo 2010
Aprile 2010
Maggio 2010
Giugno 2010
Luglio 2010
Agosto 2010
Settembre 2010
Ottobre 2010
Novembre 2010
Dicembre 2010
Gennaio 2011
Febbraio 2011
Marzo 2011
Aprile 2011
Maggio 2011
Giugno 2011
Luglio 2011
Agosto 2011
Settembre 2011
Ottobre 2011
Novembre 2011
Dicembre 2011
Gennaio 2012
Febbraio 2012
Marzo 2012
Aprile 2012
Maggio 2012
Giugno 2012
Luglio 2012
Agosto 2012
Settembre 2012
Ottobre 2012
Novembre 2012
Dicembre 2012
Gennaio 2013
Febbraio 2013
Marzo 2013
Aprile 2013
Maggio 2013
Giugno 2013
Luglio 2013
Agosto 2013
Settembre 2013
Ottobre 2013
Novembre 2013
Dicembre 2013
Gennaio 2014
Febbraio 2014
Marzo 2014
Aprile 2014
Maggio 2014
Giugno 2014
Luglio 2014
Agosto 2014
Settembre 2014
Ottobre 2014
Novembre 2014
Dicembre 2014
Gennaio 2015
Febbraio 2015
Marzo 2015
Aprile 2015
Maggio 2015
Giugno 2015
Luglio 2015
Agosto 2015
Settembre 2015
Ottobre 2015
Novembre 2015
Dicembre 2015
Gennaio 2016
Febbraio 2016
Marzo 2016
Aprile 2016
Maggio 2016
Giugno 2016
Luglio 2016
Agosto 2016
Settembre 2016
Ottobre 2016
Novembre 2016
Dicembre 2016
Gennaio 2017
Febbraio 2017
Marzo 2017
Aprile 2017
Maggio 2017
Giugno 2017
Luglio 2017
Agosto 2017
Settembre 2017
Ottobre 2017
Novembre 2017
Dicembre 2017
Gennaio 2018
Febbraio 2018
Marzo 2018
Aprile 2018
Maggio 2018
Giugno 2018
Luglio 2018
Agosto 2018
Settembre 2018
Ottobre 2018
Novembre 2018
Dicembre 2018
Gennaio 2019
Febbraio 2019
Marzo 2019
Aprile 2019
Maggio 2019
Giugno 2019
Luglio 2019
Agosto 2019
Settembre 2019
Ottobre 2019
Novembre 2019
Dicembre 2019
Gennaio 2020
Febbraio 2020
Marzo 2020
Aprile 2020
Maggio 2020
Giugno 2020
Luglio 2020
Agosto 2020
Settembre 2020
Ottobre 2020
Novembre 2020
Dicembre 2020
Gennaio 2021
Febbraio 2021
Marzo 2021
Aprile 2021
Maggio 2021
Giugno 2021
Luglio 2021
Agosto 2021
Settembre 2021
Ottobre 2021
Novembre 2021
Dicembre 2021
Gennaio 2022
Febbraio 2022
Marzo 2022
Aprile 2022
Maggio 2022
Giugno 2022
Luglio 2022
Agosto 2022
Settembre 2022
Ottobre 2022
Novembre 2022
Dicembre 2022
Gennaio 2023
Febbraio 2023
Marzo 2023
Aprile 2023
Maggio 2023
Giugno 2023
Luglio 2023
Agosto 2023
Settembre 2023
Ottobre 2023
Novembre 2023
Dicembre 2023
Gennaio 2024
Febbraio 2024
Marzo 2024
Aprile 2024
Maggio 2024
Giugno 2024
Luglio 2024
Agosto 2024
Settembre 2024
Ottobre 2024
Novembre 2024

Gli interventi più cliccati

Ultimi commenti:
C'è una sorta di sortilegio, una sorta d...
21/12/2019 @ 23:40:50
Di Pereira
C'è una sorta di sortilegio, una sorta d...
21/12/2019 @ 23:38:56
Di Pereira
Domenico, credo di aver risposto ai tuoi...
17/07/2018 @ 10:27:14
Di Manlio2


Cerca per parola chiave
 

< novembre 2024 >
L
M
M
G
V
S
D
    
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
 
             

Titolo
Chiudere gli 'anni di piombo'?

 Sono già chiusi
 Non possono essere chiusi
 E' necessario chiudere
 Non so

Titolo
Al momento ... vuoto


Titolo
Conosci un sito nel quale si parla di anni '70, di lotta armata attraverso un dibattito aperto e democratico? Segnalalo. Sarò lieto di linkarlo tra i siti amici.