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Via Montalcini, 8 - Roma
Di Manlio (del 15/05/2008 @ 14:01:25, in Pensieri liberi, linkato 6360 volte)
Ricevo e pubblico con molto piacere, questo articolo di un lettore che ha provato a ripercorrere lo spazio e la memoria tornando, dopo 30 anni, in via Montalcini.

Via Montalcini 8, Roma

di Patrizio J. Macci

Parto da una strada che si chiama Via Roma Libera, ai piedi della collina di Monteverde. Ho appena lasciato il caos di Trastevere e le sue strade sudice di vita. L'autobus che mi accompagna è uno scassone della Linea 44. Arranca, sgassa, sembra non farcela, poi sterza violentemente a sinistra ed imbocca la salita di Via Dandolo; è un nome che mi piace perchè rotola in bocca come una caramella e spazza via la polvere di Porta Portese. Comincio a immaginare quello che c'era trent'anni fa. Un mese fa sono venuto con un'amica architetto, laureata con una tesi sulla storia di questo quartiere. E' stata rassicurante: "Guarda, a parte gli edifici che avevano le facciate pulite (!) e le automobili decuplicate, il resto è tale e quale!!!".
Sembra di stare a S. Francisco: curve e saliscendi "a strappo", ville con giardini patronali e palazzotti della borghesia romana. Targhe ottonate scintillano sui portoni : avvocati, commercialisti, un notaio recentemente decaduto nelle cronache, un chirurgo estetico in voga. Consulto il block notes e rifletto su come abbiano potuto trasportare il corpo, senza vita e crivellato dai colpi d'arma da fuoco, nel portabagagli di una Renault 4 evitando sballottamenti e perdite di sangue: il mio lapis non riesce a scrivere di seguito per cinque secondi, eppure l'autobus procede e frena lentamente per raccogliere una piccola folla di studenti. Sono stranieri, inglesi o meglio americani, urlano e si lanciano appuntamenti serali. [continua a leggere]
E' rimasto un pertugio per sbirciare dal vetro la vettura è stracolma. Indovino il muso fascista del Palazzone delle Case Popolari, questo c'era eccome! Dominava dall'alto e se allungavi il collo potevi vedere il ferrobedò di Pasolini e il figlio di Tommaso che correva verso il Tevere.
Sciamano via tutti insieme come sono arrivati, appena superiamo uno splendido parco del quale non memorizzo il nome. Penso che loro no non c'erano, non erano ancora nati.
Siamo arrivati alla prima base della collina, c'è il Teatro Vascello e chissà che programmava in quei giorni maledetti. L'autobus si arresta completamente, il conducente impreca: la cosa è grave. C'è un tamponamento, una moto ed il centauro riversi a terra: si attendono soccorsi. Impossibile procedere o andare indietro. Impazzano i clacson, le sirene cominciano a ululare, salgono dall'ospedale S. Camillo.
Ne approfitto per scendere, siamo fermi proprio all'angolo con una stradina che affaccia su due ville vagamente anni settanta. Mi affaccio ed è tutto finito: un fazzoletto di giardino, due bambini un pallone da calcio ed un gatto. Sono lontano mille miglia da Roma e dalle Brigate Rosse.
Cristina è nata dopo il 9 maggio 1978, però forse i suoi genitori si conoscevano, avevano gia cominciato a "fare l'amore". Mi ha detto che lo chiederà alla madre appena sarà a casa, ride divertita: l'idea la intriga assai. Di Moro conosce poco, che è molto di più di quello che la maggior parte dei ventenni impareranno mai.
Ho accettato di portarla, ha una borsa piena di obiettivi e macchinette fotografiche digitali. Mi ha convinto: "prendiamo qualche istantanea" ha detto, pixel spalmati su un monitor evocheranno fantasmi e demoni nascosti dalle probabili ristrutturazioni estetiche.
Incrociamo Piazza S. Giovanni di Dio, ci sono i binari del tram come allora, l'autobus sobbalza e chissà come si sono guardati in faccia i due terroristi se davvero l'hanno attraversata: il pensiero corre all'uomo nel bagagliaio, l'adrenalina che sale mentre la mano stringe la calibro 9 che è fredda maledettamente gelida, anche se siamo a maggio ed è gia esplosa l’estate.
Sale un uomo col borsello accessorio maschile in voga negli anni '70, questo potrebbe essere arrivato con la sua macchina del tempo ed aver parcheggiato nelle strisce blu dopo aver esposto il tagliando orario. Ci avviciniamo, siamo su Via dei Colli Portuensi i negozi si diradano scorgo in uno squarcio il Gazometro lontanissimo, Viale Marconi con le banche comode per essere rapinate una dietro l'altra, la Banda della Magliana aveva intuito. Improvvisamente spariscono i negozi e ci sono solo abitazioni, palazzi senza nessuno spazio commerciale, la corsia stradale si restringe c'è uno spartitraffico con la terra e qualche ciuffo d'erba che ce la mette tutta per uscire fuori. Consulto l'orologio, è quasi mezzoggiorno. A quest'ora Aldo Moro è gia fantasma.
Siamo rimasti noi due e il conducente, la mia fotografa cerca disperatamente qualcosa che non trova dentro la sua borsa da Mary Poppins. Mi sono distratto e l'autobus piega violentemente a destra, altri due secondi ed avremmo buttato giu il muro e la targa di marmo con scritto Via Camillo Montalcini. Frena, ci lascia sul piazzale, l’autista scende e corre ad accendere la sigaretta che stringeva fra le mani da almeno un quarto d'ora. Chissà se il capolinea era proprio qui?? Poi penso no, non c'era e recito a mente dal “Manuale del perfetto brigatista, norme di sicurezza e stile di lavoro”:
(...) la casa deve essere scelta con particolare cura: la STRADA deve prestarsi ad un facile controllo da parte del militante e ad un controllo scoperto da parte del potere; cioè possibilmente non deve essere vicina a bar, luoghi pubblici di vario genere: negozi, istituti, magazzini, fermate d'autobus ecc."
La villa pubblica prospicente ha il parco che degrada verso la Portuense. E’ riportata nei giornali dell'epoca come “prato con sterpaglie”, ma era gia Villa Bonelli.
L'atmosfera è sospesa, sembra di essere a Catania. Un Tomasi di Lampedusa, annoiato e vestito di bianco, potrebbe vergare il suo diario seduto su un divano di vimini. Il traffico di Roma è un rombo lontano che posso scorgere dall'alto se strizzo gli occhi.
Il carcere del popolo è rimasto quello che abbiamo scrutato su fotoingrandimenti e vecchi documentari televisivi. C'è un muraglione che protegge il giardino, arriva fino al marciapiede. Una carrucola al secondo piano ed una corda che penzola, operai romeni portano via i calcinacci da un appartamento. Tutta la costruzione è una fortezza minacciosa in cima ad una montagna. Si intravedono le sbarre alla porta finestra che conduce in giardino.
L’appartamento ha un soggiorno spazioso ed illuminato, facciamo qualche scatto con il palazzo come sfondo. Sono stanco e contrariato mi sembra che non ci sia assolutamente altro da vedere, nulla che non sia stato scritto verbalizzato e digitalizzato. Cristina si muove rapida: avvita uno zoom, qualcuno dall'ultimo piano fa gestacci. L'anniversario ha reso la strada troppo celebre e oggi non siamo i primi a curiosare.
Seguo il muro dell’edificio abbracciandolo, sono praticamente a pochi centimetri dalla casa: se con un pugno potessi bucare la parete entrerei nella prigione di Moro, nella stanza del Presidente. Trevirgolaventiquattro metri quadri sono uno spazio troppo piccolo per uscirne senza i segni che l’anatomopatologo ha cercato invano. Rifletto sconsolato che i terroristi hanno mentito anche su questo.
Forse il Prigioniero non ha scorto la luce che filtrava dalla porta a vetri del giardino ma ha visto la finestra, l'unica che si affaccia a sud dove mani intelligenti hanno collocato una scrivania, c’è un libro aperto. Riesco addirittura a leggere il titolo, è un manuale scolastico di terza elementare. Uno scolaro consuma le ore dove è passata la Storia. Alzo gli occhi e fisso i vetri. Intuisco quello che nessuna delle foto che guarderemo la sera stessa fino a notte fonda è riuscita a fissare se non come sincopi digitali, riflessi di uno specchio che non riesci a interpretare.
Una mano di bambino ha incollato sui vetri due pupazzi, un personaggio di cartoon, una automobilina e un pesciolino.
Hai scritto dalla tua prigione: "Se ci fosse luce...".
Abbraccio la mia fotografa stremata che nel frattempo è crollata sul divano, le rimbocco il plaid e siedo sul pavimento davanti a lei. La luce dell’alba bussa alle imposte, le soffio in un orecchio: "Ti racconto il 16 Marzo 1978 e chi era Aldo Moro, un giorno lo spiegherai a tuo figlio".