Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Mi è capitato di leggere una serie di commenti su un’inchiesta di qualche anno fa il cui senso profondo non è stato ancora colto da nessuno. Mi permetto di fare un piccolo intervento, dato che ritengo di conoscere un po' meglio di tutti la vicenda. Al di là delle ricostruzioni di cronaca che a distanza di 30 anni possono anche essere condizionate da elementi esterni, io credo che NESSUNO abbia compreso a fondo l'importanza della questione. Che non è se hanno aperto la macchina così o cosà, se c’era tizio o caio, se tizio ha detto una cosa o un’altra. Ma è l’orario. Già nel 1980, in Commissione Moro, Signorile indicò l’orario in cui seppe assieme a Cossiga del ritrovamento del cadavere di Moro alle 11. E lo disse quasi a ridosso dei fatti e di fronte a persone che non erano le ultime arrivate (ad esempio c’era il Sen. Flamigni tra i commissari). Nessuno obiettò nulla sull’orario. Io sarei saltato sulla sedia, per esempio… Per tanti anni mi sono posto il problema di trovare un riscontro a quella dichiarazione di Signorile: non era facile in quanto l’unica strada era riuscire a trovare un testimone diretto. Per caso incrociai Raso e mi stupì il fatto che non avesse scritto nel suo libro proprio l’orario in cui fu chiamato ad intervenire. Quando glielo chiesi e mi disse che era poco prima delle 11, capii che forse c’era una possibilità. Per lui l'orario non era un problema e per molto tempo gli ho lasciato credere che fosse vero che la telefonata di Morucci fosse stata fatta nel primo mattino (di questo era convinto). Il Maresciallo Circhetta ricorda perfettamente il momento in cui ricevette la chiamata dalla centrale in cui gli venne chiesto di rientrare urgentemente a Roma. Lo ricorda perché stava facendo addestramento a circa un’ora di distanza dalla capitale: guardò l’orologio ed erano le 11. Lo ha ribadito con grande lucidità anche il 9 maggio scorso nella trasmissione "Radio Anch’io" che lo ha intervistato nuovamente. Tutti i colleghi di Raso che facevano parte del gruppo all’epoca hanno confermato l’orario e anche dei superiori di Raso Un’agenzia delle 9.35 informa della visita di Signorile al Viminale. L’Onorevole ha sempre confermato sia l’orario, sia la circostanza dell’invito di Cossiga per il caffè a quell’orario. Nei servizi dei TG di quel 29/06/2013, il sottosegretario Darida dice che lui stesso accompagnò Cossiga in via Caetani verso le 12, e sostiene di ricordarlo bene. Ora le 12 non saranno le 11 ma nemmeno le 14 in cui il Ministro si vide in via Caetani ripreso dalle telecamere. Qualcuno prima delle 14, evidentemente, Raso deve averlo visto. E dato che l’orario credo sia ormai un dato di fatto, allora le domande che ci dovremmo porre sono altre: 1) Come facevano le Istituzioni a sapere che lì, a quell’ora (le 11) c’era un’anonima macchina rossa che conteneva “la nota personalità”? 2) Come mai la notizia non la diede lo Stato (ad esempio il Ministero dell’Interno) ma si attese la famosa telefonata delle 12.13? 3) A cosa servì quel lasso di tempo in cui il cadavere del povero Moro fu tenuto in ostaggio dallo Stato? Queste domande, secondo me, portano diritti alla questione principale di tutta la vicenda: cosa realmente fece lo Stato per liberare il prigioniero, quali personaggi furono coinvolti, con quali obiettivi e con che risultati agirono. Perché è questo il vero dubbio che ho sempre avuto: che lo Stato, più dei brigatisti, non ci abbia raccontato quasi nulla e quel poco sia da catalogare in un mare di frottole. E quell’orario e ciò che successe nelle due ore successive, per me ne sono un concreto indizio.
A distanza di 36 anni dai fatti, e nonostante processi, Commissioni Parlamentari, perizie e analisi di ogni genere ritenevo che il mistero sulla fantomatica presenza di un superkiller in via Fani la mattina del 16 marzo ’78 fosse chiarito e archiviato.
E’ vero che sulla recente saggistica la questione è ancora riportata in quasi tutte le nuove pubblicazioni, ma che se ne potesse fare ancora un titolone francamente non lo ritenevo più possibile.
Ma così non è, purtroppo.
In breve.
Sin dai primi anni successivi all’agguato, quando si diffusero le prime perizie e si ebbe accesso alle testimonianze di chi assistette al rapimento dell’On. Moro, fu ipotizzata la presenza di un killer molto preparato che avrebbe fatto quasi tutto il lavoro militare da solo. Con la conseguenza logica che non si potesse trattare di uno dei brigatisti noti in quanto quell’abilità richiedeva uno specifico addestramento ed un allenamento continuo.
Da quali elementi nasce questa ricostruzione? Sostanzialmente da due tasselli che sono stati erroneamente assemblati:
- un testimone che avrebbe visto uno degli aggressori sparare con molta padronanza e precisione
- la presenza sul luogo dell’eccidio di 49 bossoli attribuibili ad una sola arma su un totale di 91 esplosi da parte dei brigatisti
Il testimone Si chiama Pietro Lalli, si definì esperto di armi e raccontò di aver visto uno degli assalitori, posizionato in corrispondenza della FIAT 130 dove viaggiava Moro, sparare due raffiche: una prima più corta ed indirizzata verso la 130 l’altra, più lunga, verso l’Alfetta di scorta
Assistetti allo sparo di due raffiche complete. La prima un po’ più corta della seconda a distanza ravvicinata rispetto al bersaglio che era una 130 blu. La seconda raffica, più lunga, fu estesa anche all’Alfetta chiara che seguiva la 130 e fu consentita da uno sbalzo all’indietro dello sparatore che in tal modo allargò il raggio d’azione e quindi di tiro. Quello che mi colpì in maniera impressionante fu la estrema padronanza di detto sparatore nell’uso preciso e determinato dell’arma. Esprimo un giudizio ma doveva essere uno particolarmente addestrato. Sparava avendo la mano sinistra poggiata sulla canna dell’arma [con il che deduco doveva trattarsi di un mitra non munito di flangi fiamma] e con la destra, imbracciato il mitra, tirava con calma e determinazione convinto di quello che faceva.
Questa è l’esatta posizione dalla quale il test Pietro Lalli assistette alla scena. Poco meno di 120 metri. L’auto rossa che si intravede in mezzo alla carreggiata non ha ancora raggiunto lo stop dove era fermo Alessandro Marini che era a ridosso della scena e che non ha mai notato quanto descritto da Lalli.
La distanza dalla quale il testimone vide la scena è di circa 120 metri su una strada in salita: la visuale non era sicuramente ideale né paragonabile a quella di un altro testimone importante, Alessandro Marini, che era fermo con il suo motorino proprio allo stop a pochi metri dal massacro. Lalli vide un killer che sparava verso la 130, poi se ne allontanò leggermente per riprendere a sparare. In un’altra deposizione aggiunse il particolare che nel fare questo balzo all’indietro il killer perse il berretto. Se ci atteniamo a quanto accertato in sede processuale, il testimone vide esattamente ciò che fece Valerio Morucci nel corso dell’azione, che lo stesso ha più volte raccontato: dopo aver esploso una prima raffica, il mitra si inceppò, e fu costretto ad allontanarsi leggermente dalla sua posizione per non ostacolare i compagni nel tentativo di sbloccarlo. Pochi secondi dopo Morucci riprese a sparare, ma sempre sulla FIAT 130, non sull’Alfetta.
I bossoli La prima perizia fu effettuata a ridosso dell’eccidio e in molti punti i periti furono “possibilistici” perché non potettero fare delle valutazioni balistiche oggettive. Ad esempio, proprio in relazione ai bossoli recuperati sul terreno, precisarono che la loro posizione potesse essere stata involontariamente spostata dai tanti curiosi che si riversarono sul luogo prima dei transennamenti e che avrebbero potuto anche sottrarre qualcosa a titolo di souvenir.
La cosa importantissima da sottolineare è che tale perizia fu effettuata senza che i periti avessero la possibilità di confrontare i reperti con delle armi ma potendo solo effettuare delle ipotesi. E da queste loro ipotesi essi stabiliscono che in via Fani quella mattina spararono 5 armi brigatiste, su almeno 3 delle quali i periti hanno “dubbi non risolti”:
Come si nota dall’originale della perizia, l’arma incriminata di aver sparato 49 colpi sarebbe una Beretta MP12 la qual cosa fu successivamente smentita. La seconda perizia fu condotta nel 1993 dagli ingegneri Domenico Salza e Pietro Benedetti e si rese necessaria in quanto fu rinvenuto nel bagagliaio dell’Alfetta un proiettile “9 corto” non compatibile con le armi ipotizzate nella prima perizia. Questo fece sospettare la presenza di una nuova arma e vi fu quindi la necessità di nuove indagini di approfondimento. La differenza fondamentale fu che Salza e Benedetti potettero lavorare avendo la disponibilità di molte armi sequestrate nei covi o in occasione degli arresti (ad esempio, la Smith & Wesson fu sequestrata a Prospero Gallinari al momento del suo arresto).
L’analisi comparativa dei proiettili con le armi sequestrate permise di sdoppiare quei 49 colpi che furono infatti ripartiti tra due mitra FNA 43. La perizia escluse anche la presenza di una settima arma perché si stabilì che il proiettile “9 corto” fu esploso da una delle armi sequestrate, erroneamente caricata, e di cui lo sparo ne causò l’inceppamento.
Un’altra cosa importante che si legge nelle perizie è che sia nei corpi dei componenti la scorta, sia nelle auto, sia in prossimità di esse sono stati repertati proiettili relativi ad armi diverse. E questo vuol dire una sola cosa: che non esiste un’unica arma che abbia sparato su entrambe le auto. Come, invece, appare scontato dal racconto di Pietro Lalli.
Per l’FNA 43, in particolare, la situazione è la seguente:
- l’FNA 43 sequestrato esplose colpi contro Leonardi e probabilmente Ricci in quanto furono trovati 4 proiettili nel cadavere del primo e 5 proiettili più tre frammenti nella FIAT 130. Ricci fu colpito da 8 proiettili che però ne attraversarono il corpo
- l’FNA 43 non sequestrato, invece, esplose almeno 7 colpi contro l’agente Iozzino mentre nell’Alfetta furono trovati altri 2 proiettili (uno nel bagagliaio ed uno nell’abitacolo) e sul piano stradale, accanto ad essa, altri due proiettili.
La misteriosa arma non sequestrata che viene ancora indicata come quella che esplose i 49 colpi, non sparò nemmeno da dove Pietro Lalli avrebbe visto il killer particolarmente esperto, ma da tutt’altra parte: in prossimità del “cancelletto superiore” nei pressi della Mini Cooper verde parcheggiata qualche metro prima di dove erano posti gli avieri. I suoi colpi furono indirizzati unicamente verso Iozzino e l’Alfetta di scorta.
Cosa dice l’esperto Della dinamica dell’agguato di via Fani e di questo presunto mistero, ho parlato molte volte con l’Ing. Benedetti (l’Ing. Salza morì pochi anni dopo la perizia). E fu lui, nel lontano 2003, a dirsi stupito che se ne parlasse ancora in quanto la cosa era stata ampiamente chiarita. Aggiunse che, poiché a 91 bossoli corrispondevano solo 68 proiettili e poiché i proiettili di un’arma automatica a canna lunga viaggiano a 170 m/s (oltre 600 Km/h) anche dopo essere stati deviati, molti andarono dispersi finendo chissà dove. Un’imperizia da parte degli aggressori, la cui mira poteva essere definita non certamente “infallibile”.
Cosa fece si che l’attacco andasse a buon fine se gli sparatori non erano addestrati a dovere?
Secondo Pietro Benedetti furono tre i fattori che ne resero possibile la riuscita: in primo luogo la sorpresa, in secondo luogo la distanza molto ravvicinata (3-4 metri, non di più) ed, infine, l’utilizzo di armi lunghe ed automatiche che rendono molto più semplice colpire il bersaglio da quelle distanze. E, nonostante ciò, il 25% dei proiettili furono sparati “a casaccio”.
Caso Moro: Formica, nuova tesi ininfluente, non aggiunge nullaRoma, 29 giu. (Adnkronos) - "Mi sembra molto strano. Dopo tutti questi anni dove si e' scandagliato tutto, ci sono state centinaia di inchieste, numerose commissioni, tanti processi, andare a scoprire ora, che il cadavere di Moro era stato visitato da Cossiga due ore prima dell'annuncio mi sembra una cosa ininfluente. Salvo che non si voglia dimostrare che le Br erano manovrate dal Viminale. O c'e' un'assurdita' di questo genere oppure non vedo l'interesse di questa notizia".Questa, sinceramente, me l’ero persa. Una smentita fin troppo frettolosa quella di Rino Formica, importante esponente di quel PSI che si era dato molto da fare nella seconda metà del sequestro Moro per rompere la ‘linea della fermezza’ e proporre un’iniziativa umanitaria intenta a salvare la vita di Aldo Moro. Iniziativa che di umanitario aveva ben poco, secondo un altro esponente socialista di primo piano come Gianni De Michelis, che nel giugno del 2013 in una puntata di ‘Porta a porta’ andata in onda in occasione della morte di Andreotti, rivelò che il vero fine dell’iniziativa di Craxi era di rompere il compromesso storico allontanando il PCI dall’area di governo. Sappiamo tutti come le cose andarono a finire e quale fu lo scenario politico degli anni ’80. Rino Formica non ha certamente letto l’inchiesta, perché se l’avesse fatto non gli sarebbe sfuggito un particolare non da poco: che il primo a parlare delle 11 come orario indicativo del messaggio ascoltato in diretta al Viminale relativo al ritrovamento del cadavere di Moro, fu proprio un suo collega di partito, Claudio Signorile. E gli altri protagonisti di quella mattina, non hanno fatto che confermare un qualcosa che proprio un socialista aveva tirato in ballo. Le improbabili conclusioni che tira in ballo Formica (“Salvo che non si voglia dimostrare che le Br erano manovrate dal Viminale”) sono talmente campate in aria da apparire devianti. Per la serie, se la conclusione è assurda allora lo saranno anche le ipotesi. Ma, se si vuol perseguire qualcosa e scoprirlo realmente, non si può procedere così. Si deve partire dai fatti. E il fatto fondamentale è che il numero due del PSI si trovava nell’ufficio del Ministro dell’Interno avendo ricevuto un invito che lo meravigliò molto in quanto non era solito frequentare Cossiga tanto da andare a prendere un caffè nel suo ufficio. Non fu, quindi, un semplice caffè ma una presenza pilotata in occasione di quella che sarebbe dovuta essere la fase finale di un progetto nel quale erano coinvolti gli stati generali di entrambi i partiti. E, verso le 11, la conclusione del progetto fu quella che sappiamo. Questi sono i fatti. Quali sono i problemi che si dovrebbero approfondire? Vediamoli sotto forma di domande:
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Perché Cossiga invitò Signorile nel suo ufficio a prendere un caffè?
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Perché, pur avendo saputo della tragica morte di Moro la notizia fu tenuta riservata all’opinione pubblica per molto tempo?
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Se non c’era nulla di male, perché è stata sempre accreditata la versione ufficiale in cui il tutto parte dopo la telefonata di Valerio Morucci al prof. Tritto?
Una conclusione più verosimile di quella cui arriva Formica è evidente se si mettono insieme i fatti. Ed è un problema molto grosso, non tanto per le BR, ma per lo Stato. Lascio ai lettori le conclusioni di questo ragionamento, invitando tutti ad esprimerle nei commenti.
Nel 44esimo anniversario della strage della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana, Paolo Cucchiarelli ha scritto un importante documento a commento della recente sentenza di archiviazione del filone di indagine scaturita a seguito della pubblicazione della suo libro-inchiesta "Il segreto di Piazza Fontana". La tesi di fondo dell'inchiesta di Cucchiarelli è riassumibile nella logica della doppia bomba, ossia un ordigno sostanzialmente innocuo che avrebbe dovuto esplodere a banca chiusa ed una seconda bomba, affiancata alla prima, posta invece da chi voleva il botto facendone ricadere la colpa su chi aveva posizionato il primo ordigno. Insomma, la logica delle operazioni "false flag" tipica dei servizi. Se ci mettiamo dentro che i colpevoli predeterminati sarebbero dovuti essere gli anarchici, l'operazione acquista una sua importante lettura, e cioè una risposta forte e reazionaria alla politica di apertura al centro-sinistra avviata dal '63 dall'allora Presidente del Consiglio Aldo Moro. Nel testo, Paolo Cucchiarelli, analizza le motivazioni della sentenza cercando di individuarne la logica di fondo che possiamo sintetizzare in questa frase: “ L'archiviazione decisa il 30 settembre dell'ultima inchiesta aperta, che tanti spunti innovativi conteneva, è avvenuta grazie ad una metodica, scientifica <> - da un punto di vista giuridico, naturalmente - scelta di saltare tutti i fatti”. Ritengo molto importante che oggi, nella ricorrenza della strage, si vada oltre la logica della disputa ideologica: siamo quasi a mezzo secolo di distanza dagli avvenimenti di quegli anni, se ognuno cerca di difendere il proprio orticello non riusciremo mai a scrivere la nostra storia in maniera tale da poter conservare una memoria da trasmettere alle future generazioni. E la storia la si scrive sui fatti, sui documenti, magari anche visti da diversi punti di vista. Ma sempre fatti e documenti restano. > Scarica l'articolo di Paolo Cucchiarelli<
Io credo che la novità vera sia questa. Ma non ho sentito nessuno che, nei tanti articoli, commenti e critiche, l'abbia colta. Salvo un attento e preparato giovane storico che risponde al nome di Giacomo Pacini, che ne ha colto una parte significativa.
Oggi abbiamo la certezza che lo Stato seppe della morte di Moro e della R4 molto prima delle 12.13.
I dati di fatto (non subordinabili a ragionamenti del perché solo ora, cui prodest, e via dicendo) sono molti: Signorile che parla di quell'orario a Cossiga vivo (2008) e che lo ribadisce nei contatti successivi, Raso che dice di essere stato prelevato prima di essere partito per raggiungere il suo superiore alle 11 orario in cui aveva appuntamento, Circhetta che conferma che al suo rientro Raso (che era di turno) non c'era ed era stato chiamato per un intervento al centro.
Last but not least, le foto che ci presentano una situazione molto diversa da quella che apparve agli occhi di tutti alle 13.30. Se poi ci mettiamo anche che Darida dice al TG2 di aver accompagnato Cossiga in via Caetani tra le 11 e le 12 (non certo le 14, orario ufficiale) io penso che si possa concludere che il problema c'è. E senza ombra di dubbio.
E pure grosso.
E che sia grosso ce lo confermano tre documenti secretatati che, con molta probabilità, parlano proprio di quello che successe quella mattina prima del ritrovamento del cadavere di Moro. Che senso avrebbe avuto, diversamente, secretare una mappa di via Caetani ed una lettera del I distretto di Polizia al Ministro che fu quello che intervenne quella mattina?
Ripartiamo da qui, per favore, se interessa andare a fondo. Non buttiamola in rissa, non parliamo di misteri ma evidenziamo un problema. Magari va a finire che quella mattina Signorile, Raso e Circhetta non si erano accorti che da un paio di mesi era in vigore l'ora legale, ma approfondiamo.
E lo dico, ovviamente, a chi può essere in grado di farlo. Altrimenti nelle prossime occasioni di giornate della memoria, non parliamo di sostegno dello Stato alla ricerca della verità. Soprattutto quando si presentano occasioni concrete di poterlo fare.
La richiesta di precisazione inviata da Paolo Cucchiarelli al blog di Aldo Giannuli Segnalo che l’inchiesta sui due anti sabotatori del caso Moro è - dal commento di Giannuli non lo si puo’ capire - di Paolo Cucchiarelli e di Manlio Castronuovo ed è stata pubblicata in contemporanea sul sito dell’Ansa, sulla rete dell’Ansa (in sintesi) e sul sito di Castronuovo www.vuotoaperdere.org. Insieme abbiamo trovato i due anti sabotatori, trovato e parlato con altre persone intervenute quella mattina, realizzato il servizio fotografico a corredo e steso l’inchiesta. Questo per semplice precisione. Paolo Cucchiarelli
Il Gen. Antonio Cornacchia ha rilasciato una dichiarazione di smentita della testimonianza di Raso e Circhetta sull'orario di arrivo e di intervento in via Caetani. Ma non deve essersi accorto di non aver smentino nè Raso né Circhetta. Vediamo perché. Lui dice di essere stato avvisato alle 13.20, che era in piazza Ippolito Nievo (poco distante) e che quando è giunto non c'era nessuno e che la macchina era chiusa. Ha chiamato gli artificieri che dopo essere giunti si sarebbero messi a lavorare sul cofano anteriore mentre lui armato di piede di porco aprì il portabagagli della R4 scoprendo il cadavere di Moro. Inoltre afferma: " Se quelli erano già stati lì prima di me, non lo so. Ma quando sono arrivato io, la Renault era chiusa e non c’era ancora nessuno. Su questo non ci piove" Eh, no Generale. Non ci pioverà, ma c'è neve abbondante. Se lei ammette di essere arrivato almeno alle 13.30 e che la macchina era chiusa, come spiega questa foto? Si vede chiaramente lo sportello aperto, il sedile posteriore manipolato (come da racconto di Raso) e il portellone posteriore chiuso ed integro. Ingrandendo la foto si vede chiaramente che non c'è nessun segno di effrazione (la lamiera della Renault è particolarmente sottile e un piede di porco avrebbe lasciato bozzi e conseguenti fessure). L'operatore GBR è giunto sul posto allle 13.40 e Franco Alfano ha scritto nel suo libro che al suo arrivo dovette farsi largo con fatica tra la folla finché riuscì a trovare un varco e superare i cordoni di sicurezza ai varchi di via Caetani. Per cui alle 13.30 non poteva non esserci nessuno sul posto. Ma soprattutto lei non è in condizione di smentire Raso in quanto, sono sue parole, "se quelli erano già stati lì prima di me, non lo so". Come fa a smentire una cosa che non ha visto? Ce lo spieghi, cortesemente, perchè come metodo investigativo ci pare molto interessante. Oserei dire, innovativo.
Lo Stato alle 11 in via Caetani. Perché porsi solo la più cretina delle domanda : <<perché ora? >>Sembra il refrain di un successo dell’estate, il tormentone del ballo di San Pietro e Paolo… << Ma perché solo adesso, dopo 35 anni e dopo che sia Cossiga che Andreotti non possono più replicare?>>. Semplicemente perché due persone si sono chieste come mai il primo anti-sabotatore giunto in Via Caetani sosteneva in alcune interviste (anche Tv) di essere arrivato davanti alla R4 alle 11 quando la telefonata delle Br è delle 12.13. Prima di dare una risposta, può essere utile sottolineare un paradosso dell’informazione italiana. Esce una notizia importante (al di la delle verifiche che poi la magistratura farà) e il dibattito su cosa si incentra? Sulla credibilità della notizia? No Sulle conseguenze che potrebbe avere su un problema aperto? Nemmeno. Su ulteriori elementi che si possono agganciare alla notizia? Neppure. E dove va a concentrarsi, invece? Sul perché è uscita la notizia solo adesso… Siamo italiani, verrebbe da commentare. E fa un certo effetto stamani alla rassegna stampa della terza rete radio sentire il Professor Sabbatucci, alfiere della schiera degli anti-dietriologi porsi la più cretina delle osservazioni: perché ora? Lo spieghiamo a lui e a tutti gli altri: perché nessuno è mai andato a parlare con gli anti-sabotatori che per primi arrivarono in Via Caetani. Perché nessuno li ha interrogati. Perché - da uomini dello Stato - si aspettavano che fosse questo a porsi il problema delle stridenti contraddizioni orarie. Entrambi gli artificieri ci hanno parlato negli stessi termini. Eravamo militari, eseguivamo gli ordini, non abbiamo mai fatto niente di male, siamo stati onesti e ligi nel nostro lavoro. Parentesi. E hanno rischiato di saltare in aria diverse volte per salvare altre vite. Chiusa parentesi. Non era loro compito andare dai giornalisti a parlare delle loro operazioni. Il problema se lo sarebbe dovuto porre qualcun altro. Nello specifico. Raso fino all’intervista non era nemmeno al corrente del fatto che la telefonata delle BR fosse delle 12.13. Lui era convinto che alla segreteria di Moro (in realtà ad un assistente universitario) avessero telefonato la mattina presto. Tanto è vero che in un' intervista a Barbara Landi (Corriere Del Mezzogiorno 15 ottobre 2012) Raso parla delle 11 come orario di arrivo della volante 23 e delle 11.30 come arrivo in via Caetani. E in un commento su http://booklauncher.it/blog/?p=115 Vito Raso scrive testualmente <<non ero a conoscenza che la mattina di buon ora c’era stata la telefonata delle BR alla segreteria di Moro dove annunciavano di avere lasciato la Renault/4 con il corpo senza vita di Moro>>. Queste cose Raso le ha dette anche in tv senza che nessuno gli chiedesse: scusi alle 11? Ma se le Br chiamano per segnalare della R4 alle 12.13 come faceva lei ad essere li a quell'ora? Che fine hanno fatto i giornalisti il 16 ottobre del 2012? E ancora prima, nella primavera dello stesso anno, quando è uscito “La bomba umana”? Vito Raso, quando ha scritto il suo libro una volta andato in pensione, ha parlato di quella mattina ma dedicando poche pagine rispetto al racconto globale della sua vita. Semplicemente perché non sapeva. Circhetta, invece, non si è mai posto il problema dell’orario perché di mestiere faceva altro e con grande professionalità (tra l’altro è stato il primo al mondo a disinnescare una lettera bomba perché nessuno aveva capito come funzionasse il congegno). E nel suo verbale non ha specificato nessun orario proprio perché per lui era una situazione di <<pubblico dominio>>. Al nostro primo incontro era molto stupito. Quando gli abbiamo detto che Raso ci aveva raccontato del suo intervento e del fatto che fosse il primo a essere andato sul luogo in quanto di turno, lui ha risposto: <<E’ vero, confermo>>. Poi gli abbiamo chiesto dell’orario. <<Lo ricordo perfettamente. Erano le 11>>. E ha aggiunto. <<Ma perché vi interessa tanto?>>. Abbiamo capito che non sapeva: <<Perché la telefonata di rivendicazione è arrivata alle 12.13…>>. E lui alzando le sopracciglia <<Allora c’è un problema>>. Quando poi gli abbiamo chiesto se aveva dei ricordi da aggiungere e ci ha accennato a dei fogli sui sedili che sembravano delle lettere (lui ne era convinto) forse neanche lui era consapevole di cosa stesse dicendo. Raso e Circhetta per molti anni, in occasione delle indagini e dei vari processi, si aspettavano una chiamata da parte dei magistrati, se non altro per il fatto di essere stati testimoni diretti. Finché si sono rassegnati e non ci hanno pensato più. Se a pochi anni di distanza fossero stati ascoltati da qualcuno e avessero, con la stessa naturalità con cui lo hanno detto a noi, parlato dell’orario del loro intervento non sarebbe cambiato nulla rispetto alle modalità con cui hanno parlato adesso, a 35 anni dai fatti. Perché quindi? Perché nessuno glielo ha chiesto!!!! Come è nata e si è sviluppata l’inchiesta? Nel 2008 Paolo Cucchiarelli intervistò l’On. Claudio Signorile con l’intento di chiedergli delle ultime 48 ore, perché già nel 2008 s’era intuito che uno dei problemi erano proprio gli ultimi due giorni. Perché Cossiga il 7 maggio dice all’On. Cazora (che gli porta una concreta possibilità di liberare Moro con un blitz) di farsi i fatti propri perché tanto <<martedì ce lo ridanno vivo?>> Nel corso dell’intervista emerse questa novità interessante dell’orario, ma eravamo consapevoli che sarebbe stato difficile trovare dei riscontri. Questo fino al maggio 2012 quando, contattando Raso che aveva appena pubblicato il suo libro, emerse un altro tassello. E’ stato solo allora che ci siamo messi a cercare gli altri presenti quella mattina: abbiamo rintracciato Giovanni Circhetta e le foto di quella mattina per controllare se era vero che loro erano presenti sul luogo e se era vero che erano entrati nella R4 dalle porte laterali lasciando l'apertura del portellone posteriore solo come <<ultimo atto>> davanti alla telecamera di Gbr. E se persone che non si vedono dal 1986 (Raso lasciò il nucleo anti-sabotatori e nel ’92 Circhetta andò in pensione) confermano le stesse cose, ignari delle implicazioni, la cosa è da approfondire o no? Mettiamoci anche che abbiamo più volte risentito Claudio Signorile per chiedergli conferma (l’ultima il 4 maggio 2013) e che lui ha sempre ripetuto <<tra le 10 e le 11 si prende il caffè, alle 12 l’aperitivo” forse la faccenda acquista un significato in più? Sia Raso sia Circhetta sono stati due servitori dello Stato ligi al proprio dovere che non sono mai stati in cerca di gloria. E non lo sono tutt’ora. E non vogliono nemmeno esserlo. L’uno si è trasferito da Roma e vive a Viareggio dove si è risposato, l’altro si alterna tra Roma e Poggiardo (paese di origine dove dice di ricaricarsi) e passano la vita tra amici, bar e famiglia. Non facciamo rientrare i fatti nel gioco della <<grande confusione deviante>>. Non bussiamo a coppe per rispondere a denari. Non giochiamo alle tre carte, non funziona. Noi abbiamo raccolto dei fatti e crediamo che se si vogliono criticare o smentire siano necessarie due condizioni, semplici semplici: 1) leggere l'inchiesta e magari approfondire 2) trovare dei dati oggettivi che smentiscano tre dichiarazioni convergenti oltre alle foto di quella mattinata. Il resto è fuffa da <<bar dello sport>> che lasciamo a chi direttamente o indirettamente teme di confrontarsi con la più destabilizzante delle domande: perché? Paolo Cucchiarelli Manlio Castronuovo
Manlio Castronuovo e Paolo Cucchiarelli
Anche Franco Alfano (all'epoca dei fatti giornalista di GBR, la TV romana che fu artefice delle uniche riprese sul luogo del ritrovamento del cadavere di Moro, commenta e, a suo modo, smentisce. Il giornalista di GBR. Quando, il 9 maggio del 1978, gli artificieri aprirono gli sportelli della R4 parcheggiata in via Caetani e scoprirono il cadavere di Aldo Moro, erano 'circa le 14'. Lo afferma Franco Alfano, giornalista di GBR, che era lì, con il suo operatore. «Nonostante i trentacinque anni trascorsi dal quel giorno, ho chiarissimi i particolari, compresi gli orari, che hanno scandito quelle tragiche ore. Particolari ed orari supportati peraltro dalle immagini incontrovertibili del ritrovamento del corpo dello statista democristiano che abbiamo girato con il nostro operatore della GBR -dice-. Prima l'attenta ricerca degli artificieri intorno alla Renault rossa di cui era stata segnalata la presenza con il corpo di Moron via Caetani dalla telefonata del brigatista Morucci al prof. Tritto. Quindi l'apertura degli sportelli laterali e poi del portellone posteriore dell'auto, sempre da parte degli artificieri». Prosegue: erano «presenti l'allora ministro dell'interno Cossiga, il suo capo di Gabinetto, numerosi funzionari della Polizia e ufficiali dei Carabinieri, uno degli antisabotatori sollevò delicatamente il lembo di una coperta che copriva il corpo di Moro. Solo allora si ebbe la certezza che si trattava del Presidente della DC. Erano circa le 14»Ma questa sembra la notizia del secolo, non vi pare? E chi ha mai dubitato che l'apertura di sportelli e portellone sia avvenuta attorno alle 14? Gli artificieri dicono un'altra cosa. Che a loro era stato richiesto l'intervento prima delle 11 del mattino e che Raso, poco dopo, aveva spostato la coperta (da dentro la macchina) e aveva trovato il corpo di Moro. E aveva informato Cossiga & C. che non sembrarono sorpresi. Non facciamo rientrare i fatti nel gioco della "grande confusione deviante". Non bussiamo a coppe per rispondere a denari. Non giochiamo alle tre carte, non funziona. Noi abbiamo raccolto dei fatti e credo che se si vogliono criticare o smentire siano necessarie due condizioni, semplici semplici: 1) leggere l'inchiesta e magari approfondire 2) trovare dei dati oggettivi che smentiscano tre dichiarazioni convergenti (di persone che c'erano, intendo, non dichiarazioni alla > Macaluso<, per intenderci...) Lei è un giornalista, Alfano. E' il suo mestiere. Legga, con calma. Non c'è fretta.
Manlio Castronuovo e Paolo Cucchiarelli
Dopo la pubblicazione dell'inchiesta su via Caetani, le prime reazioni politiche sono contrastranti. Da un lato l'interrogazione parlamentare dell'On. Marco Carra (PD), che trovate in calce, la dichiarazione dubbiosa (giusto per essere ottimisti) dell'On. Emanuele Macaluso, uno dei dirigenti dell'ex PCI. Commenta Macaluso: Roma, 29 giu. (Adnkronos) - La tesi ricostruita in un libro secondo la quale il cadavere di Aldo Moro sarebbe stato ritrovato in via Caetani oltre un'ora prima della telefonata delle Br non convince neanche un po' Emanuele Macaluso, senatore del Pci per diverse legislature. " Perche' queste cose vengono tirate fuori quando Cossiga e' morto? Non si potevano dire prima?", obietta Macaluso. La risposta, caro Onorevole, è semplice, diremmo banale. Circhetta e Raso sono stati due servitori dello Stato rispettivamente fino al '92 e fino al '98. Fin quando sono stati in servizio, avrebbero potuto parlare del loro operato solo davanti ai magistrati. E nessun magistrato ha mai pensato di andarli a sentire... Andati in pensione, hanno qualche libertà in più. E Raso ha scritto un libro nel quale racconta tutto per filo e per segno ma omette la questione più importante. A che ora avviene il tutto? Un qualsiasi giornalista serio, sarebbe saltato sulla sedia e lo avrebbe chiamato. E io, che giornalista non sono, l'ho fatto. La stessa cosa ha fatto, paralleleamente, Paolo Cucchiarelli. Non è che abbia avuto problemi a parlare, ma ci ha fatto capire che non andava in cerca di gloria e quindi non voleva che se ne parlasse. Poi abbiamo avuto la possibilità di parlare con il suo capo Maresciallo Circhetta, che ci ha confermato la versione di Raso e, soprattutto, ha aggiunto i suoi ricordi. E neanche lui, superati gli 80 anni ha mai mostrato, in tanti incontri, manie di protagonismo. Anzi si è mostrato sorpreso che qualcuno fosse andato a trovarlo. E non avendo fatto nulla di male, non ha avuto difficoltà a raccontare la sua esperienza di quella mattina. Per concludere, caro Macaluso, le diremmo che se si vuole trovare qualcosa prima occorre cercarla. ********************************** Caso Moro: Carra (Pd), Procura di Roma indaghi su nuove rivelazioni 29 giugno 2013 - "Gli elementi emersi dall'inchiesta dell'Ansa e del sito www.vuotoaperdere.org sulla dinamica dei fatti avvenuti la mattina del 9 maggio 1978 meritano di essere adeguatamente valutati in sede investigativa all'interno di una quadro unitario che possa rivelare finalmente quanto accaduto nelle ore immediatamente precedenti l'assassinio di Moro. La Procura di Roma ha già aperto qualche settimana fa un nuovo fascicolo in seguito alla pubblicazione del libro del senatore Imposimato, ci auguriamo che queste nuove rivelazioni possono confluirvi ed essere oggetto dell'analisi degli inquirenti"ť. Così Marco Carra, deputato Pd.
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