Io credo che la novità vera sia questa. Ma non ho sentito nessuno che, nei tanti articoli, commenti e critiche, l'abbia colta. Salvo un attento e preparato giovane storico che risponde al nome di Giacomo Pacini, che ne ha colto una parte significativa.
Oggi abbiamo la certezza che lo Stato seppe della morte di Moro e della R4 molto prima delle 12.13.
I dati di fatto (non subordinabili a ragionamenti del perché solo ora, cui prodest, e via dicendo) sono molti: Signorile che parla di quell'orario a Cossiga vivo (2008) e che lo ribadisce nei contatti successivi, Raso che dice di essere stato prelevato prima di essere partito per raggiungere il suo superiore alle 11 orario in cui aveva appuntamento, Circhetta che conferma che al suo rientro Raso (che era di turno) non c'era ed era stato chiamato per un intervento al centro.
Last but not least, le foto che ci presentano una situazione molto diversa da quella che apparve agli occhi di tutti alle 13.30. Se poi ci mettiamo anche che Darida dice al TG2 di aver accompagnato Cossiga in via Caetani tra le 11 e le 12 (non certo le 14, orario ufficiale) io penso che si possa concludere che il problema c'è. E senza ombra di dubbio.
E pure grosso.
E che sia grosso ce lo confermano tre documenti secretatati che, con molta probabilità, parlano proprio di quello che successe quella mattina prima del ritrovamento del cadavere di Moro. Che senso avrebbe avuto, diversamente, secretare una mappa di via Caetani ed una lettera del I distretto di Polizia al Ministro che fu quello che intervenne quella mattina?
Ripartiamo da qui, per favore, se interessa andare a fondo. Non buttiamola in rissa, non parliamo di misteri ma evidenziamo un problema. Magari va a finire che quella mattina Signorile, Raso e Circhetta non si erano accorti che da un paio di mesi era in vigore l'ora legale, ma approfondiamo.
E lo dico, ovviamente, a chi può essere in grado di farlo. Altrimenti nelle prossime occasioni di giornate della memoria, non parliamo di sostegno dello Stato alla ricerca della verità. Soprattutto quando si presentano occasioni concrete di poterlo fare.
La richiesta di precisazione inviata da Paolo Cucchiarelli al blog di Aldo Giannuli
Segnalo che l’inchiesta sui due anti sabotatori del caso Moro è - dal commento di Giannuli non lo si puo’ capire - di Paolo Cucchiarelli e di Manlio Castronuovo ed è stata pubblicata in contemporanea sul sito dell’Ansa, sulla rete dell’Ansa (in sintesi) e sul sito di Castronuovo www.vuotoaperdere.org.
Insieme abbiamo trovato i due anti sabotatori, trovato e parlato con altre persone intervenute quella mattina, realizzato il servizio fotografico a corredo e steso l’inchiesta.
Il Gen. Antonio Cornacchia ha rilasciato una dichiarazione di smentita della testimonianza di Raso e Circhetta sull'orario di arrivo e di intervento in via Caetani. Ma non deve essersi accorto di non aver smentino nè Raso né Circhetta. Vediamo perché.
Lui dice di essere stato avvisato alle 13.20, che era in piazza Ippolito Nievo (poco distante) e che quando è giunto non c'era nessuno e che la macchina era chiusa. Ha chiamato gli artificieri che dopo essere giunti si sarebbero messi a lavorare sul cofano anteriore mentre lui armato di piede di porco aprì il portabagagli della R4 scoprendo il cadavere di Moro. Inoltre afferma: "Se quelli erano già stati lì prima di me, non lo so. Ma quando sono arrivato io, la Renault era chiusa e non c’era ancora nessuno. Su questo non ci piove"
Eh, no Generale. Non ci pioverà, ma c'è neve abbondante.
Se lei ammette di essere arrivato almeno alle 13.30 e che la macchina era chiusa, come spiega questa foto? Si vede chiaramente lo sportello aperto, il sedile posteriore manipolato (come da racconto di Raso) e il portellone posteriore chiuso ed integro. Ingrandendo la foto si vede chiaramente che non c'è nessun segno di effrazione (la lamiera della Renault è particolarmente sottile e un piede di porco avrebbe lasciato bozzi e conseguenti fessure).
L'operatore GBR è giunto sul posto allle 13.40 e Franco Alfano ha scritto nel suo libro che al suo arrivo dovette farsi largo con fatica tra la folla finché riuscì a trovare un varco e superare i cordoni di sicurezza ai varchi di via Caetani.
Per cui alle 13.30 non poteva non esserci nessuno sul posto. Ma soprattutto lei non è in condizione di smentire Raso in quanto, sono sue parole, "se quelli erano già stati lì prima di me, non lo so".
Come fa a smentire una cosa che non ha visto? Ce lo spieghi, cortesemente, perchè come metodo investigativo ci pare molto interessante. Oserei dire, innovativo.
Lo Stato alle 11 in via Caetani. Perché porsi solo la più cretina delle domanda : <<perché ora? >>
Sembra il refrain di un successo dell’estate, il tormentone del ballo di San Pietro e Paolo… <<Ma perché solo adesso, dopo 35 anni e dopo che sia Cossiga che Andreotti non possono più replicare?>>. Semplicemente perché due persone si sono chieste come mai il primo anti-sabotatore giunto in Via Caetani sosteneva in alcune interviste (anche Tv) di essere arrivato davanti alla R4 alle 11 quando la telefonata delle Br è delle 12.13.
Prima di dare una risposta, può essere utile sottolineare un paradosso dell’informazione italiana. Esce una notizia importante (al di la delle verifiche che poi la magistratura farà) e il dibattito su cosa si incentra?
Sulla credibilità della notizia? No Sulle conseguenze che potrebbe avere su un problema aperto? Nemmeno. Su ulteriori elementi che si possono agganciare alla notizia? Neppure. E dove va a concentrarsi, invece? Sul perché è uscita la notizia solo adesso…
Siamo italiani, verrebbe da commentare.
E fa un certo effetto stamani alla rassegna stampa della terza rete radio sentire il Professor Sabbatucci, alfiere della schiera degli anti-dietriologi porsi la più cretina delle osservazioni: perché ora? Lo spieghiamo a lui e a tutti gli altri: perché nessuno è mai andato a parlare con gli anti-sabotatori che per primi arrivarono in Via Caetani. Perché nessuno li ha interrogati. Perché - da uomini dello Stato - si aspettavano che fosse questo a porsi il problema delle stridenti contraddizioni orarie. Entrambi gli artificieri ci hanno parlato negli stessi termini. Eravamo militari, eseguivamo gli ordini, non abbiamo mai fatto niente di male, siamo stati onesti e ligi nel nostro lavoro. Parentesi. E hanno rischiato di saltare in aria diverse volte per salvare altre vite. Chiusa parentesi. Non era loro compito andare dai giornalisti a parlare delle loro operazioni. Il problema se lo sarebbe dovuto porre qualcun altro.
Nello specifico. Raso fino all’intervista non era nemmeno al corrente del fatto che la telefonata delle BR fosse delle 12.13. Lui era convinto che alla segreteria di Moro (in realtà ad un assistente universitario) avessero telefonato la mattina presto. Tanto è vero che in un' intervista a Barbara Landi (Corriere Del Mezzogiorno 15 ottobre 2012) Raso parla delle 11 come orario di arrivo della volante 23 e delle 11.30 come arrivo in via Caetani. E in un commento su http://booklauncher.it/blog/?p=115 Vito Raso scrive testualmente <<non ero a conoscenza che la mattina di buon ora c’era stata la telefonata delle BR alla segreteria di Moro dove annunciavano di avere lasciato la Renault/4 con il corpo senza vita di Moro>>. Queste cose Raso le ha dette anche in tv senza che nessuno gli chiedesse: scusi alle 11? Ma se le Br chiamano per segnalare della R4 alle 12.13 come faceva lei ad essere li a quell'ora? Che fine hanno fatto i giornalisti il 16 ottobre del 2012? E ancora prima, nella primavera dello stesso anno, quando è uscito “La bomba umana”? Vito Raso, quando ha scritto il suo libro una volta andato in pensione, ha parlato di quella mattina ma dedicando poche pagine rispetto al racconto globale della sua vita. Semplicemente perché non sapeva.
Circhetta, invece, non si è mai posto il problema dell’orario perché di mestiere faceva altro e con grande professionalità (tra l’altro è stato il primo al mondo a disinnescare una lettera bomba perché nessuno aveva capito come funzionasse il congegno). E nel suo verbale non ha specificato nessun orario proprio perché per lui era una situazione di <<pubblico dominio>>. Al nostro primo incontro era molto stupito. Quando gli abbiamo detto che Raso ci aveva raccontato del suo intervento e del fatto che fosse il primo a essere andato sul luogo in quanto di turno, lui ha risposto: <<E’ vero, confermo>>. Poi gli abbiamo chiesto dell’orario. <<Lo ricordo perfettamente. Erano le 11>>. E ha aggiunto. <<Ma perché vi interessa tanto?>>. Abbiamo capito che non sapeva: <<Perché la telefonata di rivendicazione è arrivata alle 12.13…>>. E lui alzando le sopracciglia <<Allora c’è un problema>>. Quando poi gli abbiamo chiesto se aveva dei ricordi da aggiungere e ci ha accennato a dei fogli sui sedili che sembravano delle lettere (lui ne era convinto) forse neanche lui era consapevole di cosa stesse dicendo.
Raso e Circhetta per molti anni, in occasione delle indagini e dei vari processi, si aspettavano una chiamata da parte dei magistrati, se non altro per il fatto di essere stati testimoni diretti. Finché si sono rassegnati e non ci hanno pensato più. Se a pochi anni di distanza fossero stati ascoltati da qualcuno e avessero, con la stessa naturalità con cui lo hanno detto a noi, parlato dell’orario del loro intervento non sarebbe cambiato nulla rispetto alle modalità con cui hanno parlato adesso, a 35 anni dai fatti. Perché quindi? Perché nessuno glielo ha chiesto!!!!
Come è nata e si è sviluppata l’inchiesta? Nel 2008 Paolo Cucchiarelli intervistò l’On. Claudio Signorile con l’intento di chiedergli delle ultime 48 ore, perché già nel 2008 s’era intuito che uno dei problemi erano proprio gli ultimi due giorni. Perché Cossiga il 7 maggio dice all’On. Cazora (che gli porta una concreta possibilità di liberare Moro con un blitz) di farsi i fatti propri perché tanto <<martedì ce lo ridanno vivo?>> Nel corso dell’intervista emerse questa novità interessante dell’orario, ma eravamo consapevoli che sarebbe stato difficile trovare dei riscontri. Questo fino al maggio 2012 quando, contattando Raso che aveva appena pubblicato il suo libro, emerse un altro tassello. E’ stato solo allora che ci siamo messi a cercare gli altri presenti quella mattina: abbiamo rintracciato Giovanni Circhetta e le foto di quella mattina per controllare se era vero che loro erano presenti sul luogo e se era vero che erano entrati nella R4 dalle porte laterali lasciando l'apertura del portellone posteriore solo come <<ultimo atto>> davanti alla telecamera di Gbr. E se persone che non si vedono dal 1986 (Raso lasciò il nucleo anti-sabotatori e nel ’92 Circhetta andò in pensione) confermano le stesse cose, ignari delle implicazioni, la cosa è da approfondire o no? Mettiamoci anche che abbiamo più volte risentito Claudio Signorile per chiedergli conferma (l’ultima il 4 maggio 2013) e che lui ha sempre ripetuto <<tra le 10 e le 11 si prende il caffè, alle 12 l’aperitivo” forse la faccenda acquista un significato in più? Sia Raso sia Circhetta sono stati due servitori dello Stato ligi al proprio dovere che non sono mai stati in cerca di gloria. E non lo sono tutt’ora. E non vogliono nemmeno esserlo. L’uno si è trasferito da Roma e vive a Viareggio dove si è risposato, l’altro si alterna tra Roma e Poggiardo (paese di origine dove dice di ricaricarsi) e passano la vita tra amici, bar e famiglia.
Non facciamo rientrare i fatti nel gioco della <<grande confusione deviante>>. Non bussiamo a coppe per rispondere a denari. Non giochiamo alle tre carte, non funziona. Noi abbiamo raccolto dei fatti e crediamo che se si vogliono criticare o smentire siano necessarie due condizioni, semplici semplici:
1) leggere l'inchiesta e magari approfondire 2) trovare dei dati oggettivi che smentiscano tre dichiarazioni convergenti oltre alle foto di quella mattinata.
Il resto è fuffa da <<bar dello sport>> che lasciamo a chi direttamente o indirettamente teme di confrontarsi con la più destabilizzante delle domande: perché?
Anche Franco Alfano (all'epoca dei fatti giornalista di GBR, la TV romana che fu artefice delle uniche riprese sul luogo del ritrovamento del cadavere di Moro, commenta e, a suo modo, smentisce.
Il giornalista di GBR. Quando, il 9 maggio del 1978, gli artificieri aprirono gli sportelli della R4 parcheggiata in via Caetani e scoprirono il cadavere di Aldo Moro, erano 'circa le 14'. Lo afferma Franco Alfano, giornalista di GBR, che era lì, con il suo operatore. «Nonostante i trentacinque anni trascorsi dal quel giorno, ho chiarissimi i particolari, compresi gli orari, che hanno scandito quelle tragiche ore. Particolari ed orari supportati peraltro dalle immagini incontrovertibili del ritrovamento del corpo dello statista democristiano che abbiamo girato con il nostro operatore della GBR -dice-. Prima l'attenta ricerca degli artificieri intorno alla Renault rossa di cui era stata segnalata la presenza con il corpo di Moron via Caetani dalla telefonata del brigatista Morucci al prof. Tritto. Quindi l'apertura degli sportelli laterali e poi del portellone posteriore dell'auto, sempre da parte degli artificieri». Prosegue: erano «presenti l'allora ministro dell'interno Cossiga, il suo capo di Gabinetto, numerosi funzionari della Polizia e ufficiali dei Carabinieri, uno degli antisabotatori sollevò delicatamente il lembo di una coperta che copriva il corpo di Moro. Solo allora si ebbe la certezza che si trattava del Presidente della DC. Erano circa le 14»
Ma questa sembra la notizia del secolo, non vi pare?
E chi ha mai dubitato che l'apertura di sportelli e portellone sia avvenuta attorno alle 14? Gli artificieri dicono un'altra cosa. Che a loro era stato richiesto l'intervento prima delle 11 del mattino e che Raso, poco dopo, aveva spostato la coperta (da dentro la macchina) e aveva trovato il corpo di Moro. E aveva informato Cossiga & C. che non sembrarono sorpresi.
Non facciamo rientrare i fatti nel gioco della "grande confusione deviante". Non bussiamo a coppe per rispondere a denari. Non giochiamo alle tre carte, non funziona. Noi abbiamo raccolto dei fatti e credo che se si vogliono criticare o smentire siano necessarie due condizioni, semplici semplici:
1) leggere l'inchiesta e magari approfondire 2) trovare dei dati oggettivi che smentiscano tre dichiarazioni convergenti (di persone che c'erano, intendo, non dichiarazioni alla >Macaluso<, per intenderci...)
Lei è un giornalista, Alfano. E' il suo mestiere. Legga, con calma. Non c'è fretta.
Dopo la pubblicazione dell'inchiesta su via Caetani, le prime reazioni politiche sono contrastranti.
Da un lato l'interrogazione parlamentare dell'On. Marco Carra (PD), che trovate in calce, la dichiarazione dubbiosa (giusto per essere ottimisti) dell'On. Emanuele Macaluso, uno dei dirigenti dell'ex PCI.
Commenta Macaluso: Roma, 29 giu. (Adnkronos) - La tesi ricostruita in un libro secondo la quale il cadavere di Aldo Moro sarebbe stato ritrovato in via Caetani oltre un'ora prima della telefonata delle Br non convince neanche un po' Emanuele Macaluso, senatore del Pci per diverse legislature. "Perche' queste cose vengono tirate fuori quando Cossiga e' morto? Non si potevano dire prima?", obietta Macaluso.
La risposta, caro Onorevole, è semplice, diremmo banale.
Circhetta e Raso sono stati due servitori dello Stato rispettivamente fino al '92 e fino al '98. Fin quando sono stati in servizio, avrebbero potuto parlare del loro operato solo davanti ai magistrati. E nessun magistrato ha mai pensato di andarli a sentire...
Andati in pensione, hanno qualche libertà in più. E Raso ha scritto un libro nel quale racconta tutto per filo e per segno ma omette la questione più importante. A che ora avviene il tutto? Un qualsiasi giornalista serio, sarebbe saltato sulla sedia e lo avrebbe chiamato. E io, che giornalista non sono, l'ho fatto. La stessa cosa ha fatto, paralleleamente, Paolo Cucchiarelli. Non è che abbia avuto problemi a parlare, ma ci ha fatto capire che non andava in cerca di gloria e quindi non voleva che se ne parlasse. Poi abbiamo avuto la possibilità di parlare con il suo capo Maresciallo Circhetta, che ci ha confermato la versione di Raso e, soprattutto, ha aggiunto i suoi ricordi.
E neanche lui, superati gli 80 anni ha mai mostrato, in tanti incontri, manie di protagonismo. Anzi si è mostrato sorpreso che qualcuno fosse andato a trovarlo. E non avendo fatto nulla di male, non ha avuto difficoltà a raccontare la sua esperienza di quella mattina.
Per concludere, caro Macaluso, le diremmo che se si vuole trovare qualcosa prima occorre cercarla.
********************************** Caso Moro: Carra (Pd), Procura di Roma indaghi su nuove rivelazioni
29 giugno 2013 - "Gli elementi emersi dall'inchiesta dell'Ansa e del sito www.vuotoaperdere.org sulla dinamica dei fatti avvenuti la mattina del 9 maggio 1978 meritano di essere adeguatamente valutati in sede investigativa all'interno di una quadro unitario che possa rivelare finalmente quanto accaduto nelle ore immediatamente precedenti l'assassinio di Moro. La Procura di Roma ha già aperto qualche settimana fa un nuovo fascicolo in seguito alla pubblicazione del libro del senatore Imposimato, ci auguriamo che queste nuove rivelazioni possono confluirvi ed essere oggetto dell'analisi degli inquirenti"ť. Così Marco Carra, deputato Pd.
C'è voluto un anno di lavoro assieme a Paolo Cucchiarelli per ricollocare nello spazio-tempo corretto ciò che accadde in via Caetani la mattina del 9 maggio '78, dopo che le BR abbandonarono la R4 con a bordo il cadavere dell'On. Moro.
Tante interviste, tanti riscontri, tanti focus su documenti di archivio che alla luce dei nuovi riscontri, non quadravano affatto. Di materiale di lavoro ne abbiamo raccolto tanto e il risultato è stato la costruzione di un interessante dossier che rimette insieme alcun elementi di un mosaico che appare più chiaro.
Non è vero che lo Stato seppe attraverso la telefonata al prof. Tritto, ma era al corrente di tutto e si recò sul posto molte ore prima della ricostruzione giudiziaria.
La domanda è: perchè?
Se il 18 aprile si ebbe una gran fretta nell'annunciare al mondo l'avvenuta esecuzione di Aldo Moro, come mai il 9 maggio calò un sipario di omertà che fermò lo spazio-tempo in via Caetani? Forse quella mattina lo Stato si attendeva una soluzione diversa ma qualcosa andò storto e fu necessario del tempo per capire e riordinare i pezzi del puzzle per ricostruire un quadro politicamente non destabilizzante? O forse era necessario assicurarsi il silenzio di qualcuno che sarebbe stato poi ampiamente ricompensato in futuro per evitare una débâcle politica?
Dare risposta a queste domande non è compito nostro, ovviamente. Ma un'osservazione va fatta, anzi, è d'obbligo.
Se le cose stavano come effettivamente ci è stato fatto credere e cioè che ci fu un "muro contro muro" e le uniche aperture si erano rivelate l'inziativa del PSI e il presunto intervento di Fanfani all Direzione della DC, la scoperta del cadavere non sarebbe stata affatto un problema. Dal punto di vista politico sarebbe stato il perfetto alibi per millantare una piccola concessione che, però, non sarebbe stata raccolta dai brigatisti.
E invece no. Ci fu la necessità di sequestrare il cadavere di Aldo Moro per avere il tempo di mettere a posto qualcosa che non aveva funzionato, un inghippo che mandò all'aria un'operazione che era pronta a scattare (un blitz per la liberazione di Moro? Lo scambio dietro una contropartita che, a quel punto, andava fermata?).
Ripartiamo da qui. E chi ne ha la possibilità, ragioni a ritroso. Come disse Moro "le cose saranno chiare. Saranno chiare presto"
Per leggere l'inchiesta in PDF torna alla >home<, clicca sulla fotografia dell'inchiesta e segui le istruzioni.
Un regalo aggiuntivo: la telefonata con l'On. Claudio Signorile del 4 maggio 2013 nella quale si parla proprio di quella mattina del 9 maggio e della sua visita al Ministro Cossiga. Il colloquio è avvenuto durante la presentazione del libro "La zona franca" di Alessandro Forlani del quale e con il quale abbiamo avuto già avuto modo di parlare qui
E' in libreria in questi giorni un nuovo, interessante testo sul caso Moro. "La zona franca - come è fallita la trattativa segreta che doveva salvare Aldo Moro" (Castelvecchi) scritto da Alessandro Forlani, un giornalista RAI che cura la trasmissione settimanale "Pagine in frequenza" che si occupa di politica ed attualità in libreria.
E' un giornalista che ha due grandi doti: una grande cultura, che gli permette di cogliere in profondità il senso di tante cose che a molti sfuggono ed una straordinaria capacità di divulgazione grazie ad uno stile (sia parlato che scritto) scorrevole, limpido e chiaro. Aggiungiamoci anche che è un giornalista onesto, uno di quelli che fa bene il proprio lavoro e non sta ai giochi di prestigio dell'asservimento a questo o quel potere, e potremmo dire che è uno dei prototipi del giornalista modello.
Dieci anni fa, in occasione del 25° anniversario dell'agguato di via Fani, confezionò uno speciale radiofonico con interviste e schede di approfondimento che durò tutta la giornata.
Un lavoro interessante che ampliò nel 2008, in occasione del trentennale, con nuove interviste e nuove trasmissioni tematiche dedicate alla vicenda Moro.
Da questo enorme lavoro radiofonico ne è venuto fuori un bellissimo libro che si concentra su un aspetto ancora poco esplorato della vicenda: la trattativa Stato-BR per liberare Aldo Moro.
Un libro basato su testimonianze, alcune inedite, senza dietrologia. Si attiene ai fatti e a ciò che tanti protagonisti hanno detto nel tempo.
E la conclusione delle 334 pagine del corposo lavoro di Forlani è molto semplice: una trattativ ci fu, eccome, ma all'ultimo momento (proprio le ultime ore) qualcosa andò storto e le BR uccisero il prigioniero quando tutto era predisposto affinchè venisse liberato.
Alessandro Forlani presenterà il suo libro il 3 maggio a Lecce (libreria Feltrinelli, via Cavallotti, ore 19.30) e il 4 maggio a Brindisi (palazzo Nervegna, ore 18.00) e avremo modo di approfondire la questione. Per il momento propongo a tutti i lettori che non potranno essere presenti ai due eventi, le riflessioni dell'autore sul suo lavoro e sulla questione da lui affrontata.
Per ogni nuovo libro sul caso Moro si dice sempre che "è un libro diverso dagli altri". La zona franca, lo è davvero?
Le centinaia di pubblicazioni sul caso Moro hanno evidenziato molti aspetti ancora oscuri. Non sappiamo quanti fossero gli attentatori di via Fani. Non sappiamo chi ha commissionato il falso comunicato del lago della Duchessa, che segna uno snodo fondamentale nei 55 giorni. Soprattutto però restava, non solo senza spiegazione, ma non era nemmeno stato raccontato il quadro delle trattative, che potevano salvare Moro e che invece sono fallite in extremis. Il mio libro prova a raccontare quelle trattative. E' però un libro che più che dare risposte, pone domande.
Molte testimonianze, la maggior parte inedite, raccolte in quasi 10 anni di lavoro. Quale tra queste ti ha impressionato di più?
Direi quella da cui sono partito e quella che ho raccolto per ultima. Io avevo curato un programma alla radio il 16 marzo 2003, per il venticinquesimo del delitto Moro, e avevo intervistato alcuni dei protagonisti di quella vicenda: il brigatista Gallinari, il collaboratore di Moro Guerzoni, qualche politico del tempo. Poi ai primi di maggio un tecnico del Gr mi ha detto che Padre Carlo Cremona, che allora teneva la rubrica sul Santo del giorno, mi voleva parlare. Andammo insieme a trovarlo e il Padre mi disse che lui nel '78 lavorava per Papa Paolo VI e che il 9 maggio era stato incaricato di aspettare una telefonata che avrebbe annunciato la liberazione negoziata di Moro. Da quella testimonianza, che ribaltava tutto quello che avevo imparato sul caso Moro, sono partito per cercarne altre, sempre di comprimari inascoltati. Cercai in particolare l'ex sottosegretario alla Difesa Franco Mazzola, che aveva scritto un romanzo sul tema delle trattative. Gli parlai più volte e alla fine lui mi disse che la trattativa c'era; che ne erano ben informati il presidente del Consiglio Andreotti e il ministro dell'Interno Cossiga e che la mattina del 9 maggio doveva avvenire in effetti uno scambio.
Attraverso tre trattative parallele che si sarebbero intrecciate quella mattina del 9 maggio lo Stato era giunto ad un accordo con le BR. Quali erano queste trattative?
Il Vaticano avrebbe versato alle Br una forte somma di denaro: tra i 10 e i 25 miliardi di Lire. Il maresciallo Tito avrebbe liberato 2, 3 o 4 militanti della Raf, ( le Br tedesche), e dato quindi ai brigatisti un riconoscimento politico a livello internazionale. In Italia il Capo dello Stato Leone avrebbe firmato un provvedimento di clemenza nei confronti di un estremista di sinistra e il presidente del Senato Fanfani avrebbe detto davanti alla Direzione Dc che la trattativa con le Br era legittima.
Sono venute alla luce a piccole dosi a molti anni di distanza. Eppure i protagonisti hanno raccontato spontaneamente i fatti di cui sono stati testimoni. Non ci si poteva pensare prima?
In realt?nbsp; tutti i testimoni da me intervistati avevano gi?nbsp; parlato pubblicamente. Padre Cremona aveva scritto un libro, in cui aveva gi?nbsp; raccontato la parte avuta quel giorno nel caso Moro, mazzola aveva scritto un romanzo, altri avevano parlato alla Commissione d'inchiesta sul caso Moro. Il punto è che le cose che avevano detto non erano mai state comparate e messe insieme in una storia coerente.
Per liberare Aldo Moro bastava che anche solo una di queste trattative andasse in porto o era necessario che si verificasse l'incastro?
Credo sia difficile dirlo. I brigatisti ripetevano da sempre che loro volevano un riconoscimento politico da parte democristiana. Le dichiarazioni di Fanfani quindi sarebbero state imprescindibili. Tuttavia noi non sappiamo nemmeno se le tre trattative fossero complementari o indipendenti.
Che ruolo aveva la Santa Sede?
Il Papa si era offerto come ostaggio nel caso del dirottamento aereo da parte della Raf nel '77 ed era assurdo che non si muovesse per Moro, che era suo amico dai tempi della Fuci negli anni '40. per di più la chiesa aveva condotto nel '74 la trattativa che portò alla liberazione di Sossi, rapito proprio dalle Br. La Santa Sede arrivò a contattare i brigatisti, offrendosi come mediatrice con lo Stato. Io pubblico la testimonianza di un prelato, che sostiene che Don Antonello Mennini incontrò addirittura Moro durante la prigionia. Forse il Vaticano si occupò solo di pagare un riscatto, perché sapeva che il versante politico era coperto da altri, ma non ci sono testimonianze di contatti tra gli attori delle tre trattative.
E l'iniziativa "istituzionale" che coinvolgeva il PSI e figure di peso come Leone e Fanfani?
Il Psi, come fin da subito dicevano i Radicali, e come soprattutto chiedeva lo stesso Moro nelle lettere, propose una trattativa umanitaria, ispirata al cosiddetto Lodo moro, l'accordo segreto stipulato dall'allora ministro degli Esteri Moro con i palestinesi nel '73. Lo Stato faceva una concessione di sua iniziativa, esercitando un potere come quello di "grazia", prerogativa del Capo dello Stato. Le Br avrebbero dovuto poi fare la loro parte, liberando il loro ostaggio. I socialisti sono fermi nel dire che i loro emissari avevano detto chiaramente ai brigatisti che il 9 maggio Fanfani avrebbe aperto alla trattativa.
Il peso maggiore, probabilmente, lo ebbe il coinvolgimento del Maresciallo Tito che avrebbe liberato alcuni detenuti della RAF e dato un riconoscimento politico internazionale, alle BR
Tito era amico di lunga data di Moro, che considerava un politico di idee a metà strada tra il socialismo ed il liberismo. Il presidente jugoslavo era molto anziano, ma ancora attivo. Si disse subito disponibile a fare da tramite e probabilmente ad aiutarlo furono i palestinesi del Fronte Popolare di Liberazione, un gruppo rivale dell'Olp, che contattò le Br e le informò dei termini dello scambio. L'agente segreto Stefano Giovannone, amico di Moro, attese invano a Beirut l'aereo con quelli della Raf. L'ammiraglio Martini, arrivato a Belgrado nel primo pomeriggio, arrivò fino alla cella dove erano rinchiusi i tedeschi, ma poi venne avvertito che Moro era gi?nbsp; morto e l'operazione era quindi annullata.
Cosa andò storto, secondo te?
E' quasi impossibile dare una risposta. Io pongo solo delle domande. I brigatisti sapevano che quel giorno lo Stato avrebbe ceduto; Moro scrive di essere libero, grazie alla generosità dei brigatisti: perché allora ucciderlo proprio quella mattina? Poniamo pure che lo abbiano ucciso nel garage di via Montalcini: perché portare il cadavere proprio di fianco al portone di palazzo Caetani? I vestiti di Moro recavano tracce di acqua marina e sabbia, provenienti dal litorale di Focene, vicino a Roma. I brigatisti dicono che si trattò di un depistaggio: ma perché andare a prendere acqua e sabbia proprio su quella spiaggia, vicino ad un luogo così strano e significativo come la Posta Vecchia?
Che ruolo ebbe, secondo te, la famiglia? Fece da collettore per le iniziative, avviò canali privati e riservati, restò a guardare?
Da quello che mi hanno detto i figli dello statista ucciso, la famiglia restò, come si dice, nell'occhio del ciclone. Si trovò in una situazione di paradossale calma, mentre tutto intorno a loro si muoveva in modo vorticoso.
Probabilmente qualcuno sapeva che all'ombra di chi si muoveva per salvare Moro c'era qualcun altro che tramava affinchè la cosa fallisse. Ad esempio l'On. Benito Cazora, cui tu dedichi un intero capitolo. Cosa fece Cazora e, soprattutto, perché nessuno lo prese sul serio?
E' appunto probabile che in tutti gli ambienti che si diedero da fare per la salvezza di Moro: la Chiesa, la Dc, i servizi segreti, i Ministeri, ci siano stati dei boicottatori, che alla fine siano riusciti a far fallire la trattativa, portando i brigatisti ad uccidere l'ostaggio più in fretta che potevano. L'onorevole Cazora oggi lo definiremmo un peone, un piccolo deputato laziale democristiano. Lui raccolse la proposta di un malavitoso, (che gli si presentò come un suo elettore), di fornirgli informazioni utili alla liberazione di Moro. Cazora venne portato a via Gradoli e gli venne detto che quella era "la zona calda". Il 7 maggio addirittura gli venne detto che, se non si interveniva subito, Moro sarebbe stato ucciso di lì a due giorni, come poi avvenne. Cazora riferì tutto al Viminale, dove Cossiga gli disse che "quello il 9 era libero". La trattativa quindi era talmente garantita, che il ministro poteva addirittura dare per acquisito il risultato con un peone, che gli stava facendo perdere del tempo. Alla fine però il peone Cazora ebbe ragione. Forse per questo non venne mai più preso in considerazione, perché quella figuraccia dello Stato andava rimossa dalla memoria.
Una trattativa non è una cosa negativa di per se, ma un gesto dello Stato che mette in ogni caso al primo posto la salvaguardia della vita dei propri cittadini. Eppure nel caso Moro la parola trattativa non può neanche essere pronunciata, ancora oggi a 35 anni di distanza. Perché, secondo te?
Credo che sarebbe ingenuo pensare che lo Stato non abbia mai trattato con le Br e con altri soggetti criminali, come si pretese di fare durante il sequestro Moro. Lo Stato trattò con le Br per gli altri sequestri, come trattò con i palestinesi nel '73 e con le mafie fin dallo sbarco americano nel '43. le trattative tra nemici, quando c'è una guerra, sono legittime. Non lo sono invece quando lo Stato si confronta con soggetti come i gruppi terroristici o organizzazioni criminali come le mafie. Presentando il mio libro a Milano, il giornalista Gianluigi Nuzzi ha detto che nel 2007 agenti segreti italiani hanno mediato tra le famiglie della Ndrangheta che si erano scontrate quell'estate nelle strade di Duisburg. In questi giorni poi è in corso un processo per la presunta trattativa con la mafia del '92. credo che se Moro fosse uscito vivo dalla prigione brigatista, di sicuro ci sarebbero state polemiche ed anche inchieste della magistratura. Forse il parlamento avrebbe dovuto intervenire con un provvedimento ad hoc. Certo sul piano morale una trattativa che ha come scopo quello di salvare una vita è più che legittima. Credo che tutto dipenda da quello che si offre in cambio e dagli strumenti che si utilizzano. Per la salvezza di Moro, lo Stato si sarebbe limitato ad un gesto di clemenza, che era nei poteri del Quirinale. Santa Sede e Jugoslavia sono stati esteri, il cui operato non è soggetto alla nostra giurisdizione.
E’ morto nella sua auto probabilmente colpito da un infarto mentre si recava al lavoro. Un destino macabro, come quello di Aldo Moro di cui Gallinari era stato carceriere, anche lui colpito al cuore ma da una raffica di mitra in un’auto.
Faceva ancora l’operaio, Prospero Gallinari, in una tipografia di Sesso, frazione di Reggio Emilia presso la quale aveva trovato ospitalità una volta uscito dal carcere. Era un brigatista della “prima ora”, un capo storico, uno di quelli che ha partecipato alla fondazione delle Brigate Rosse assieme ai suoi compagni di Reggio Emilia che si erano uniti agli altri gruppi provenienti da realtà come Trento e le fabbriche milanesi.
Una persona che lungo tutto il suo percorso di militante della lotta armata, di carcerato, di libero cittadino dopo la sospensione della pena arrivata nel ’94 per motivi di salute è stata coerente con la propria storia e quella dei suoi compagni. In tanti indicandolo come “il solidale di Moretti” hanno tentato di adombrare la sua militanza come quella di un “soldato agli ordini di chissà quali generali manovratori”. Nelle lunghe chiacchierate che ho avuto con lui mi diceva sempre: “chi parla sa benissimo di mentire e sa benissimo che io non replicherò mai”.
Non stava bene, Prospero, e sapeva che da cardiopatico combatteva contro una malattia che lo faceva soffrire e che lo impegnava molto. Quando gli chiedevo come stesse rispondeva con un sospiro e con un rassegnato “si lotta, come sempre”. Mi raccontava delle cure di cui avrebbe avuto bisogno ma che ogni volta si complicavano perché per sottoporsi ad esami e terapie era costretto ad andare fuori Reggio Emilia e per fare ciò aveva bisogno di permessi che allungavano i tempi.
Mi disse che gli sarebbe piaciuto poter avere il permesso di trasferirsi al sud almeno durante i mesi invernali perché il clima freddo e umido di Reggio gli creava molti problemi. Ma che ciò gli era sempre stato negato. E si, perché Gallinari era in regime di sospensione condizionale della pena e al di fuori della possibilità di andare a lavorare part-time, aveva a disposizione solo due ore giornaliere per provvedere alle piccole cose quotidiane. Ma aveva il divieto, ad esempio, di uscire da casa nelle ore serali. Ogni cosa extra, richiedeva permessi, non sempre concessi. Gallinari non era libero, come spesso si dice per dimostrare un trattamento di favore da parte dello Stato. E questo va ribadito ad onore di verità. Se non avesse avuto i problemi di salute che lo hanno portato alla morte, sarebbe rimasto in carcere.
Era disponibile a discutere con chi voleva parlare degli argomenti che lo riguardavano e che interessavano le BR per capire, per comprendere “le ragioni della lotta armata” e dei tanti giovani che ne hanno abbracciato l’ideologia. Ed anche di voler affrontare, per comprenderle realmente, le vicende delle BR dal punto di vista politico e non solo giudiziario. Qui sotto una registrazione tratta da RadioRadicale nella quale Gallinari spiega le ragioni del suo silenzio in aula.
Anche io, nel mio piccolo, mi ero avvicinato a lui per avere una testimonianza diretta, lontana dagli scoop e dal voler scavare nei presunti misteri o, peggio ancora, per ergermi a giudice di chissà quale tribunale delle anime. Ed è questa testimonianza, risalente al luglio del 2007, che voglio riproporre. Perché mi ha molto colpito conoscerlo al di fuori dello stereotipo che viene fuori attraverso i mass media.
E’ stata una persona coerente, che ha creduto nella possibilità di fare la rivoluzione, che ha perso riconoscendo la sconfitta, che ha pagato ma che non ha mai pensato di poter barattare la propria storia in cambio di privilegi (piccoli o grandi che fossero). Cosa che invece altri sono stati disposti a fare anche solo pochi minuti dopo essere stati arrestati.
Lo scorso 2 marzo, nell’ambito del processo ai due generali del ROS Mori e Obinu, è stato ascoltato Mons. Fabio Fabbri. Uno degli argomenti del processo è la famosa trattativa Stato-Mafia che tra il ‘92 ed il ’93 pare abbia portato ad uno scambio tra le parti che avrebbe portato ai boss mafiosi sotto 41bis notevoli alleggerimenti nelle condizioni carcerarie. Fabbri è stato udito come testimone dei fatti in quanto fu protagonista, assieme ad un altro esponente importante del Vaticano Mons. Cesare Curioni, di un consulto con il Presidente Scalfaro che chiese ai due preti di segnalargli un successore di Nicolò Amato (che ormai aveva fatto il suo tempo) alla guida del DAP.
Nel corso dell’interrogatorio, sempre in ambito trattative, Fabbri ha tirato in ballo anche la vicenda Moro nella quale, come braccio destro di Mons. Curioni, ebbe un ruolo nell’ambito dei canali che la Santa Sede attivò per arrivare alla liberazione del Presidente della DC. La cosa più rilevante che Fabbri ha riportato alla corte è che quei famosi 10 milioni di dollari di cui si è parlato in passato, messi a disposizione da Papa Paolo VI per il rilascio dell’amico Aldo Moro, “io li ho visti con questi occhi!”. E lo avrebbe rivelato per primo al “famoso storico Satta, che (mi pare) insegna alla Sapienza” quando gli chiesero di mettersi a disposizione dell’archivio del Senato in occasione della pubblicazione del libro che viene pubblicato ogni 25 anni sui fatti più importanti della Repubblica. Vladimiro Satta avrebbe intervistato Mons. Fabbri per 7 ore e da quel colloquio avrebbe prima scritto un saggio su Nuova Storia Contemporanea, poi un primo ed un secondo libro che sarebbero diventati la pietra miliare per chiunque scrisse sulla vicenda successivamente.
Satta, documentarista del Senato dal 1987, sulla rivista Nuova Storia Contemporanea, ha pubblicato un articolo nel 2002 come anteprima del suo volume “Odissea nel caso Moro” ed un secondo studio nel 2005 proprio sulle trattative avviate dalla Chiesa per la liberazione del prigioniero delle BR. Oltre a diversi altri lavori il cui elenco trovate qui http://www.biblio.liuc.it/scripts/essper/ricerca.asp?tipo=autori&codice=2038844
Analizziamo le perle che ci ha regalato Mons. Fabbri. Perché di perle si tratta, anche se nessuno si è soffermato ad approfondire perché in cronaca giudiziaria le testate si sono fermate esclusivamente alle parole dette dal prelato.
Ad un certo punto, parlando del “potere” di Mons. Curioni, Fabbri cita un colloquio con il Sen. Andreotti. Argomento dello scambio di battute la trattativa della Chiesa per la liberazione di Moro. Fabbri ricordò ad Andreotti che dopo la morte di Curioni a sapere quelle cose erano rimasti solo loro due. “Teniamo duro!”, fu la risposta del Presidente. Silenzio dei magistrati e del Presidente della Corte. Nel descrivere l’interessamento di Papa Paolo VI per la vita di Moro, Fabbri parla dei canali attraverso i quali le informazioni giungevano ai brigatisti che custodivano il Presidente e tornavano indietro. In pratica confessa che ci fu un dialogo diretto attraverso canali riservati e non ancora noti. “Non mi chieda i canali senò va a finire che mi arrestano!” chiede Fabbri dimenticando che non si trattava di una conversazione con un giornalista all’happy hour. Silenzio dei magistrati e del Presidente della Corte.
Nel parlare degli eventi, Fabbri racconta una storia da “fantabosco” che non sta né in cielo (è il caso di dirlo!) né in terra. Per dirla in breve (ma avete a disposizione l’audio per ascoltarla dalla voce del prete) Paolo VI chiamò Curioni e Fabbri che erano a bari per un convegno subito dopo il rapimento di Moro. I due tornarono a Roma. Paolo VI pensava di poter attivare dei contatti sfruttando la malavita e, di conseguenza, rivolgendosi al mondo delle carceri. Prima però c’era la necessità di essere certi dell’esistenza in vita di Moro. Tramite i loro canali Curioni e Fabbri spinsero le BR a far pervenire una foto di Moro. Ma questa prima foto, quella senza giornale, non dimostrava che Moro fosse ancora vivo ed allora Paolo VI chiese ai due di ricontattare i brigatisti per fornire una nuova prova. Arrivò così la seconda foto di Moro, con la Repubblica del 19 aprile che convinse Paolo VI a raccogliere il denaro per il riscatto. Denaro che lo stesso Fabbri dichiara di aver visto: una consolle a Castel Gandolfo, coperta da un drappo azzurro che il Papa spostò per far vedere i “mazzetti” di dollari pronti per ottenere la libertà di Moro. E a proposito di questa faccenda, Fabbri chiude dicendo che “io ed Andreotti sappiamo un po’ come le cose sono andate”.
In un Paese normale qualcuno avrebbe chiesto chiarezza. Un Parlamento che si rispetti avrebbe posto interrogazioni. Un giornalista onesto avrebbe protestato, lui che è portatore di verità, il paladino della trasparenza, la penna della denuncia. Ecco un esempio di cosa ho trovato il 3 marzo http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/03/trattativa-stato-mafia-cappellano-delle-carceri-amico-potenti/195320/
Siamo sinceri. Ancora crediamo che ci sia qualcuno in Italia che voglia la verità sul passato? E ancora crediamo ad un Presidente che fa bei discorsi di parata in occasione delle ricorrenze ufficiali e che realmente utilizzi tutti gli strumenti in proprio possesso per sostenere la tanto invocata giustizia? Siamo tutti a bravi quando si tratta di chiedere ad un ex brigatista di stare zitto, perché non ha il diritto morale di parlare, o di farlo parlare a comando a condizione, cioè, che faccia dei nomi nuovi di personaggi marginali che nulla cambierebbero alla storia ma che magari potrebbero servire per soddisfare un personale bisogno di vendetta. Ma nessuno, e sottolineo NESSUNO, ha le palle (passatemi l’eufemismo) per chiedere conto allo Stato, alle istituzioni, ai partiti e a tutti quei politicanti da quattro soldi che da 30 anni conservano il potere anche grazie al loro silenzio. Non pretendo che a chiedere ciò siano i giornalisti (figuriamoci...) e nemmeno gli storici (troppo impegnati a conservare le cattedre). Ma i parenti delle vittime, si.
Strano Paese il nostro.
PS: solo per la cronaca, ho trovato in rete dei riferimenti a Mons. Fabio Fabbri. Non so se e come siano finiti questi procedimenti, ma mi sembra sia comunque interessante metterli sul piatto…
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