Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Con gli arresti dello scorso 23 febbraio, è venuta alla luce una maxi truffa legata al riciclaggio che ha visto coinvolte importanti società di TLC, imprenditori e politici. Una truffa architettata attraverso società vuote che vendevano servizi telefonici inesistenti con la ''compiacenza'' di due big delle telecomunicazioni e che ha arrecato un danno di 365 milioni di euro allo Stato. L'indagine ha fatto emergere anche il coinvolgimento della 'ndrangheta che avrebbe favorito elettorali a vantaggio di un senatore eletto nel 2008 dagli italiani all'estero. Il meccanismo ruotava attorno ad un imprenditore romano, tale Gennaro Mokbel che ha avuto trascorsi vicini all'estrema destra eversiva (è stato anche compagno di scuola di Francesca Mambro) e amicizie nellaBanda della Magliana. Alcuni nomi e vie hanno uno stretto legame, a volte evidente molte altre più sottile, con importanti avvenimenti del passato. E se alla notizia della vicenda dell’ex governatore del Lazio Marrazzo a far sobbalzare fu la toponomastica (via Gradoli) in questa occasione è stato un nome, meglio un cognome, quel Mokbel che per chi si è occupato della vicenda Moro, non è possibile non ricollegare a quella Lucia Mokbel che abitava al civico 96 accanto all’interno 11 base operativa delle BR di Mario Moretti. Il primo istinto è stato quello di approfondire le informazioni per cercare qualche filo, qualche piccola traccia che potesse ricondurre i due cognomi ad un qualche legame di parentela. Poi mi sono detto: “Sarà un caso, perché perdere quel già pochissimo tempo che riesco a dedicare a questi argomenti?” Poi ieri il Corriere della Sera scrive un articolo nel quale è proprio l’avvocato di Gennaro Mokbel a confermare la parentela tra Lucia e Gennaro: fratelli. Perché il nome di Lucia Mokbel riveste una certa importanza nel caso Moro? Per due motivi: il primo è che il 18 marzo avrebbe indicato ad alcuni agenti che si erano recati in via Gradoli per dei controlli che dall’interno 11 (dove era ubicata la base delle BR) la notte precedente sentì dei segnali morse sospetti. Per questo consegnò nelle mani dei poliziotti un bigliettino pregandoli di farlo avere al commissario Elio Cioppa (il cui nome fu trovato tra gli iscritti della loggia P2) del quale la donna era amica. Quando incontrò il commissario Cioppa in un ristorante seppe che quel foglietto non gli era mai stato recapitato. Il secondo motivo è la donna, in quel periodo, conviveva con Gianni Diana, anche questo un nome chiave nella vicenda. Diana era un ragioniere che, per sue stesse parole, aveva “in uso l’appartamento all’interno 9” da circa un mese e mezzo due mesi (quindi da pochi giorni prima l’agguato di via Fani), era domiciliato in via Ximenes 21 presso lo studio del commercialista Galileo Bianchi e lavorava assieme ad un’altra inquilina di quello stabile, Sara Iannone. Bianchi, dopo soli 3 giorni dalla scoperta della base brigatista, diventò amministratore della società Monte Valle Verde srl, immobiliare proprietaria degli appartamenti di Diana e Iannone. Con l’inchiesta legata allo scandalo dei fondi neri del SISDE (e dell’ex direttore Maurizio Broccoletti) il giornalista Gian Paolo Pelizzaro scoprì che la Monte Valle Verde era una delle società riconducibili ai servizi segreti e che ben 24 dei 66 appartamenti delle due palazzine erano di proprietà di 3 società (tra cui la Monte Valle Verde) fiduciarie del SISDE. Anche se l’interno 11 che ospitava la base brigatista era di proprietà di un privato (l’ing. Ferrero, marito di Luciana Bozzi amica di Giuliana Conforto padrona di casa dell’appartamento di viale Giulio Cesare dove furono arrestati Valerio Morucci ed Adriana Faranda) una legittima coltre di ambiguità scese su quelle palazzine e su alcuni dei loro abitanti. Ma non finisce qui. Oggi si scopre che un filo lega l’imprenditore Gennaro Mokbel all’eversione di destra ed alla Banda della Magliana che, è bene ricordarlo, fu interessata dalla camorra nella ricerca della “prigione del popolo” di Aldo Moro. E la risposta che la Banda della Magliana fece avere al servizio segreto clandestino “Anello” fu: “cercate in via Gradoli”. Ma non finisce neppure qui. Il primo ad indicare agli investigatori via Gradoli fu il deputato della DC Benito Cazora, tra i pochi che si impegnò davvero a fondo nel tentativo di fornire informazioni utili per la liberazione di Moro. A fine marzo, infatti, fu portato da personaggi in contatto con la ‘ndrangheta proprio sulla Cassia nei pressi di via Gradoli. Chi lo accompagnava, giunto all’imbocco della via disse: “E’ questa la zona calda”. Cazora riferì in Questura l’informazione e gli fu risposto che sarebbero stati fatti dei controlli. Il giorno dopo Spinella chiamò Cazora per informarlo che le verifiche avevano dato esito negativo. Sebbene siano tutti convinti che la perquisizione di cui parla Lucia Mokbel sia avvenuta il giorno 18 marzo, ritengo che se qualcosa è avvenuto in tale data, non possa trattarsi di quanto raccontato dalla Mokbel. Nel verbale del 18 aprile, poche ore dopo la scoperta del covo, la Mokbel parla di una perquisizione avvenuta circa 20 giorni prima. Ho rivisto alcuni filmati di quel 18 aprile e ben due testimoni, uno dei quali la signora Damiano (che diede l’allarme per l’acqua che si era infiltrata dal piano di sopra, l’abitazione di Moretti) parlano di controlli da parte di agenti in borghese avvenuti circa tre settimane prima. Controlli che avevano interessato tutti gli appartamenti dei due stabili. Perché si da per assodato che i controlli avvennero il 18 marzo? L’interrogatorio congiunto Mokble-Diana avvenne in Questura alle 14.30. Alle 21.30, dopo poche ore, vi fu un secondo verbale reso al vice Questore aggiunto Nicola Simone del solo Diana nel quale egli retrodata il racconto della Mokbel al 18 marzo. Una svista? Non credo perché Diana fa esplicito riferimento a “un paio di giorni dopo il rapimento dell’Onorevole Moro”. Cosa successe allora il 18 marzo? Perché si tenta di far coincidere con quella data i controlli di cui ha parlato Lucia Mokbel? I legami Servizi-Diana-Mokbel-Banda della Magliana sono del tutto causali, risalgono già al ’78 o sono successivi? Non so se si tratta di domande superflue, dietrologiche o per le quali è stata già trovata una risposta. Ma in un Paese dove i cittadini hanno smesso da tempo di porsi domande perché qualcuno fornisce preventivamente le risposte giuste, ho pensato che valesse la pena porsele. Non so voi...
Sembra riservare molte sorprese questa apparentemente normale vicenda che per reato di ricliclaggio ha portato all’arresto dell’ex Senatore Di Girolamo e dell’imprenditore Gennaro Mokbel. Adesso un articolo del Corriere della Sera > leggi< rivela che la sorella Lucia (> vedi post precedente<) avrebbe sposato niente di meno che il figlio di Michele Finocchi, ex capo di Gabinetto del SISDE (fino al 1991) coinvolto nell’inchiesta sui fondi neri quando amministratore del servizio era Maurizio Broccoletti. Nel 1993, dopo una rapida e brillante carriera che lo portò alla direzione dei servizi civili del Viminale, si rese latitante. Un forte legame stringe quindi i Mokbel al servizio civile, oltre che alla banda della Magliana ed al terrorismo di estrema destra. Nello stesso articolo, basato sulle intercettazioni telefoniche che i ROS effettuarono nei confronti di Gennaro Mokbel durante le indagini, l’imprenditore si vantava di essere in procinto di ricevere un’elevata onorificenza massonica: il trentatreesimo grado della Loggia di Palazzo Giustiniani. Il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Gustavo Raffi ha subito smentito la frequentazione di Gennaro Mokbel alla sua Loggia («Respingiamo con fermezza qualsiasi riferimento che colleghi Gennaro Mokbel alla massoneria di Palazzo Giustiniani: nel nostro tempio non c'è posto per gente del genere») Altro > scoop< degno di nota lo fa il settimanale A diretto da Maria Latella. Un ex compagno di scuola avrebbe definito Gennaro Mokbel un “ladro di merendine” che rubava la colazione ai cocchi di mamma per poi sfidarli ad andarsela a riprendere. Un bullo, una specie di ras del quartiere che una volta chiuse la professoressa sul balcone dopo averla legata a una sedia. Io dico che la storia non è finita e se si avrà il coraggio di andare avanti ne potremo vedere delle belle. Ma sino a quando si avrà il coraggio di osare?
… e la cucina italiana a base di pesce fresco è una prelibatezza con cui vale la pena deliziare il palato, almeno una volta nella vita. Deve essere per questo che, ultimamente, un gran flusso di turisti affolla le spiagge di Managua e ne frequenta i ristoranti italiani che tra le proprie specialità offrono del buon pesce a meno di 25$ a testa. Dopo la > simpatica proposta< del consigliere provinciale dell’UdC di Terni (che francamente aveva fatto un po’ ridere) qualcuno deve essersi incuriosito e ha deciso di prendersi una pausa dallo stress delle nostre metropoli per fare visita ad Alessio Casimirri, uno dei latitanti più famosi d’Italia (naturalmente famoso tra i pochi che si occupano di “anni di piombo”, per la maggior parte degli italiani il classico “Casimirri chi?”). Ed evidentemente oltre a gustare del buon pesce, i giornalisti Colombari e Zanotti (non certo tra le firme più note della categoria, non me ne vogliano) devono aver trovato il compagno “Camillo” di ottimo umore, visto che è stato in vena di > raccontare< alcuni frammenti di vita, sua e di suo padre. Davvero strano, mi verrebbe da dire. Casimirri ha molta nostalgia dell’Italia ma questo non gli impedisce di essere diffidente nei confronti degli ex connazionali che lo vanno a trovare. Se poi si mostrano anche interessati al suo passato e, tra un branzino ed un cefalo, infilano nella discussione due parole come “caso Moro”, il sub che fino a poco prima aveva loquacemente descritto tecniche di pesca e mostrato con orgoglio le sue prede, cambia di colpo espressione e torna ad essere un riservato oste. Cosa mai avranno avuto in dote questi due bravi giornalisti per spingere un personaggio come Casimirri a non rifiutare il dialogo come accade nella totalità dei casi con turisti interessati più alla sua giovinezza che ai suoi prelibati piatti? Un particolare mi ha colpito. Casimirri parla di un libro di memorie al quale ha più volte pensato. Ma alla fine sarebbe più affascinato da un’opera cinematografica da Hollywood. Mi è venuto in mente che ha più volte minacciato, chi a tentato di andarlo a riprendere per portarlo in Italia, di pubblicare le sue memorie. Ed, evidentemente, la cosa deve aver spaventato non poco gli agenti nostrani. Ed allora perché ha parlato con due bravi ma, tutto sommato, non famosi giornalisti italiani? E perché ha alluso alle sue memorie manifestando il desiderio di un film sulla sua vita? E’ una cosa che mi chiedo da quando ho finito la lettura del pezzo e sinceramente non riesco a trovare una risposta, neppure una traccia. Se qualcosa bolle in pentola lo sapremo presto. Certo che in prossimità delle ricorrenze, strane manovre aleggiano sempre sul passato quando questo non può essere considerato chiuso.
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