Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Oggi è il 12 dicembre, e non è un giorno qualsiasi. Nel 1969, infatti, un grave atto il cui destinatario era certamente “il processo di democratizzazione” che nel nostro Paese stava avvicinando la sinistra, Socialista prima e comunista dopo, alle sfere più alte del potere. Tale progetto vedrà la sua punta più alta nel “Governo di Solidarietà” che il 16 marzo del ’78 fu votato da Camera e Senato, presieduto da Giulio Andreotti ma costruito con pazienza e abilità politica da Aldo Moro rapito quella stessa mattina da un commando delle Brigate Rosse. Si dice che tutto iniziò proprio quel 12 dicembre quando alle 16.37 una bomba esplose nei locali della filiale di Piazza Fontana della Banca Nazionale dell’Agricoltura causando 17 vittime alle quali si aggiunsero 3 giorni dopo Giuseppe Pinelli (anarchico sospettato di essere tra i mandanti e che si sarebbe suicidato lanciandosi nel vuoto dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi alla Questura di Milano) e il 18 maggio ’72 Luigi Calabresi (che si vorrebbe “giustiziato” dagli ambienti della sinistra eversiva per ordine dei suoi mandanti Sofri, Bompressi e Pietrostefani, leader di Lotta Continua, come “colpevole” della morte di Pinelli e sulla cui vicenda tra poco si scoprirà la realtà dei fatti). In pochi hanno dato rilievo alla notizia dell’anniversario e dubito che sia stato per l’emergenza maltempo che da un decina di giorni sta provocando danni e morti nella penisola. Credo che si tratti più di quella patologia della mancata memoria storica che affligge il nostro presente e che ci porta a ricordare tutti i protagonisti delle numerose edizione del Grande Fratello ma a cancellare o, laddove questo non è possibile, insabbiare i principali eventi della nostra storia dopo l’unità del 1860 a partire dal fenomeno del brigantaggio per arrivare alle recenti vicende luttuose legate alle presunte guerre contro il terrorismo islamico. Per evitare che simili drammi si ripetano, nelle celebrazioni dell’anniversario del 12 dicembre a Milano è stata proposta la nascita di una “Casa della Memoria” per le vittime delle stragi.
Due immagini dell'interno della Banca dell'Agricoltura dopo l'esplosione
La memoria può essere individuale o collettiva, ma è per sua natura molteplice. C’è la memoria dei vinti e degli sconfitti, degli innocenti e dei colpevoli. Non è possibile, solamente attraverso la memoria, giungere a scongiurare il ripetersi del passato. Anzi. Tante memorie servono forse ad aumentare la confusione che offre una ghiotta opportunità alla strumentalizzazione. E la strumentalizzazione può essere usata sia per influenzare a proprio vantaggio i fatti del presente ma anche per cancellare le proprie responsabilità (individuali o collettive) del passato. La verità, al contrario, è unica, incontrovertibile. E la verità è la sola medicina preventiva per una società perché porta all’individuazione dei colpevoli e alla possibilità di escluderli dalle scelte future di un Paese. Solo che per non arrivare alla verità sono percorribili più strade. E in Italia la più praticata è quella del complotto, dei misteri, del minestrone tra fatti e ipotesi che rende tutto falso e tutto vero a seconda dei punti di vista. E per giungere alla verità è necessario far cadere i segreti, fondamenta solide su cui poggiano i pilastri delle nostre istituzioni. In molti lo sostengono da tempo e sono contento che anche Carlo Lucarelli abbia avuto il coraggio di parlarne su L’Unità del 12 dicembre affermando che “i cosiddetti misteri italiani non siano misteri ma segreti […] Quello che non sappiamo sta nei cassetti di qualcuno che ce lo tiene ancora segreto”. E la buona notizia di questo 39° anniversario dei morti di Piazza Fontana è che il segreto che ci ha impedito di conoscere la verità su quella strage (fino alle morti di Pinelli e Calabresi) ma anche sulle altri stragi degli anni ’70 come Piazza della Loggia (Brescia 28 maggio 1974) e il Treno Italicus (4 agosto 1974) è venuto meno. Nei primi mesi del 2009 emergerà tutto e l’opinione pubblica potrà finalmente sapere e giudicare. Non sarà una verità piacevole ed in molti non sapranno accettarla. Molti altri dovranno rimangiarsi libri e parole scritte a vanvera, ed emergeranno chiari i vari tentativi di strumentalizzazione ed i perché essi siano resistiti quasi 40 anni. Ecco perché stasera ricordo quell’anniversario con fiducia, a differenza degli anni passati. Per chi volesse approfondire la vicenda di Piazza Fontana, ho preparato una piccola rassegna stampa che è possibile > scaricare qui<. Se, invece, volete leggere l’inchiesta de giudice Salvini potete > scaricarla qui<. Altro non posso aggiungere, se non che non vedo l’ora di poter anche io leggere e capire.
All'inizio del mese i giornali hanno riportato (> Leggi<) le dichiarazioni rammaricate dei figli del boss mafioso Bernardo Provenzano che chiedevano di non dover scontare le colpe del padre. Chi ha letto "Vuoto a perdere" e segue regolarmente il sito, conosce bene una situazione ben diversa negli intenti ma che ha provocato ai figli del protagonista un mare di problemi. Il protagonista si chiamava Benito Cazora un Onorevole della DC che nel '78 era riuscito a trovare un canale utile per giungere alla liberazione di Aldo Moro e che da allora ha visto iniziare i guai per se e per la sua famiglia. Quella che segue è una risposta alle richieste dei figli di Provenzano, ricca di amare considerazioni e di una rassegnazione che forse non lascia scampo a pensare che, invece, a chi opera per il bene dello Stato non è detto che non debba avere di che pentirsi. Pubblico volentieri l'appello di Marco Cazora e rimando ad un dossier di approfondimento per chi ne volesse sapere di più. > Dossier< Vorrei cambiare il mondo ma ho perso lo scontrino.di Marco Cazora Vorrei cambiare il mondo sì, ma solo Dio può farlo anche se spesso l'uomo da solo fa di tutto per modificarlo riuscendoci perfettamente. Leggo le dichiarazioni dei figli del mafioso Provenzano, essi lamentano di non voler pagare le colpe del padre. Oggi ho 46 anni mi ritrovo senza lavoro ed in condizioni di salute non proprio ottimali, senza soldi, senza casa, sin qui nulla di strano una modalità di vita che appartiene forse a molti. La differenza risiede nel fatto che mio padre a differenza di Provenzano non è stato un mafioso ma un uomo di stato (di quale poi?), si chiamava Benito Cazora ed in qualità di assessore al Comune di Roma negli anni '70 ricevette concrete minacce di morte per aver abbattuto palazzi abusivi, gli fu rubata l'auto poi ritrovata bruciata e gli fu recapitato un biglietto che diceva testualmente “la prossima volta con te dentro”. Durante il rapimento di Aldo Moro si adoperò testardamente nel tentativo di salvarlo. Vengo a scoprire soltanto da poco che anche in quel caso fu minacciato di morte, attraverso documentazione della Digos dell'epoca come risulta solo di recente dagli atti della Commissione Pellegrino tramite telefonate e ripetuti pedinamenti. In entrambi i casi mio padre non fu tutelato e messo sotto scorta, cosa che oggi farebbero per molto meno e per chiunque. Oggi esistono ministri che vantano il disagio dell'essere sotto scorta per aver magari solo detto qualcosa contro le Brigate Rosse. Lavanderie a me non le hanno tolte, poiché mio padre non me ne ha lasciate, a me il lavoro lo hanno tolto perchè Cazora è un brutto cognome da portare, a me hanno tolto la casa in affitto mentre gli altri ne compravano anche 7, a me hanno tolto tutto ma non la dignità, non ci vivo ma perlomeno posseggo una cosa che oramai in pochi hanno. Vorrei cambiare i politici che hanno permesso tutto questo, vorrei cambiare i giornalisti che se ne fregano di parlare del nesso tra quanto fece mio padre e la mia situazione personale perchè ciò, dicono, non fa notizia, vorrei cambiare il popolo che legge ormai assuefatto e si comporta di conseguenza. Il problema è che non posso farlo non perchè tutto è più grande di me ma “semplicemente” perchè io per questo paese non esisto.
In occasione dell'ultimo anniversario della strage di Piazza Fontana, mi ha colpito un breve pezzo di Carlo Lucarelli apparso su L'Unità. Un pezzo lucido, ben argomentato alla maniera di Lucarelli. Eppure una cosa ha colpito, mi auguro, non solo me.
"STRAGI: PERCHÉ RACCONTARE"
"L'idea che per evitare i cambiamenti, oppure per guidarli – e comunque mantenere il potere - si possa ammazzare qualcuno. È un momento che va ricordato per molti motivi. Il primo è che ci dimostra come i cosiddetti misteri italiani non siano misteri ma segreti. Anche se i nove processi per la strage non hanno mandato in galera nessuno, le verità ci sono e in gran parte, a livello storico, si sanno. Non solo per piazza Fontana, ma anche per molte altre stragi. Quello che non sappiamo sta nei cassetti di qualcuno che ce lo tiene ancora segreto."
Lucarelli che ha impostato tutto un ciclo di trasmissioni, fatte molto bene dal punto di vista storico e ancor meglio da quello della capacità di divulgazione, sulla "mission" Misteri italiani, non parla più di misteri ma di un "grande segreto" che qualcuno custodisce in un cassetto (evidentemente l'immagine è metaforica e non vuol dire che vi sia un documento vincolato dal segreto quanto un segreto custodito da uno o più persone e che riguarda cose indicibili ancora adesso). Ritengo che sia un segno importante del fatto che qualcosa sta per crollare. E mi auguro che abbia a che fare con tutto quanto lo Stato non ha ancora avuto il coraggio di dirci, sulle proprie strutture e sul proprio comportamento. E forse Lucarelli ha voluto mettere le mani avanti ...
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