Eh già.
Come era prevedibile, Adriano Sofri non risponde.
Dopo che il palcoscenico dei grandi giornali ha dato eco alle sue parole, cosa che non è stata fatta nei confronti della replica di Cucchiarelli (e questo già di per se la direbbe lunga) il maestro tace.
Del resto l'obiettivo l'aveva raggiunto (la vasta platea) ed il suo messaggio era arrivato forte e chiaro. Ma adesso una replica sarebbe far tornare in alto la notizia e vuoi che magari qualcuno tra i suoi lettori più intelligenti non venga preso dal dubbio e compri il libro di Cucchiarelli per capire autonomamente? O, peggio, ne parli ad altri?
Stimolato da un lettore attento, ripubblico la lista delle 5 domande sulle quali a molti piacerebbe conoscere l'illuminante parere di Adriano Sofri. So che è tempo perso, ma oggi pioviggina e non ho di meglio da fare.
Di questi tempi, tocca accontentarsi di sperare in 5 risposte. Che ci vuoi fare.
1. Nel suo scritto lei menziona Umberto Federico D’Amato. Vorrei che chiarisse ulteriormente una vicenda, da lei stesso diffusa nel 2007, per sgombrare il campo proprio
da interpretazioni eccessive e fantasiose, alla Codice Da Vinci, proprio come scrive lei.
Recensendo il libro di Mario Calabresi Spingendo la notte più in là e utilizzando una formula che le è cara, quella della lettera a un immaginario giovane tentato dalla violenza,
ha raccontato un particolare incontro da lei fatto. “Quello Stato era fazioso e pronto a umiliare e violentare. Lo so. Una volta uno dei suoi più alti esponenti venne a propormi un assassinio da eseguire in combutta, noi e i suoi Affari Riservati”.
Fu uno choc. Tre giorni dopo, torna sulla questione e spiega che si trattava di Umberto Federico D’Amato, il Gran Capo degli Affari riservati, e che lei si era sbagliato: l’offerta era per una “mazzetta di omicidi”. Ora nella nuova edizione dell’inchiesta spiego perché questa datazione, “un po’ più di cinque anni dopo il 12 dicembre”, non è plausibile ne’ temporalmente, né nell’obiettivo indicato, secondo lei, da D’Amato, e cioè i Nap, Nuclei armati proletari. Lei fornisce un solo elemento, pur con il beneficio del dubbio legato al tempo trascorso, per datare quell’incontro. Eccolo: “Avendolo io interrotto su un anello che spiccava su una mano assai curata, così madornale da sembrare d’ordinanza, me ne spiegò il legame - se la memoria non mi inganna- con la morte di sua moglie, e il fresco dolore che ne provava”.
Sofri, credo che la memoria l’inganni, fatta salva la possibilità che anche su questo D’Amato le abbia mentito. La moglie di Umberto Federico D’Amato, Ida Melani era
sicuramente viva nel 1981, come risulta dalle carte dell’inchiesta di Brescia; è tutto contenuto nell’allegato n. 31 alla relazione del 12 dicembre 2003 con protocollo 24/
b1/4229. Si tratta delle carte tratte dall’inchiesta Argo 16 del giudice Mastelloni. Quelle carte divennero pubbliche pochi mesi dopo il suo articolo, quando vennero depositati, tra gli altri, anche appunti per le memorie che il Prefetto voleva scrivere. Anche quel foglietto pubblicato da Andrea Pacini nel suo volume “Il cuore occulto del potere. Storia degli Affari Riservati”, nel quale il Prefetto, parlando di lei, scrive: “Ci siamo fatti paurose e notturne bevute di cognac”. Ora lei ha detto che quelle sono “cazzate”, che D’Amato venne messo alla porta: “Non ebbi alcun rapporto, ne’ diretto, ne’ indiretto con lui”. Le chiedo di chiarire l’intricata vicenda, spiegando cosa vi diceste e quando avvenne quell’incontro. Unico? Come immaginare un uomo navigato e accorto come D’Amato presentarsi a casa sua per la prima e unica volta e lanciare l’idea di una mattanza a mezzadria?
2. Come mai in mano ad Alberto Caprotti (già componente della commissione finanziamenti del movimento) venne rinvenuta una agenda telefonica contente i numeri
telefonici di casa e d’ufficio, riservatissimo, al Viminale, di Umberto Federico D’Amato?
3. Ha mai saputo che il servizio segreto aveva infiltrato dentro Lotta Continua la fonte ‘Como’? Il dottor Guido Salvini ha rintracciato negli archivi del Sismi 47 atti intestati a
questa fonte. Riscontrando l’attività informativa con l’indice generale si è raggiunta la certezza che manchino almeno 26 atti.
La fonte ‘Como’ non ha prodotto informazioni nel periodo tra il 14 settembre 1971 e il 13 giugno 1972. La fonte era sempre sollecitata e allertata e quindi non si capisce perché non allertare la “fonte qualificata” ‘Como’ a seguire attentamente anche l’omicidio Calabresi. ‘Como’ cessa la sua attività nel 1984 perché muore.
4. E della fonte “Partenope”? Si trattava di una “fonte umana” – dice un rapporto del Sid che a metà del 1973 aveva messo in piedi una vera e propria azione di controllo sul leader socialista Giacomo Mancini: in codice veniva chiamata Azione Mecomio, una specie di mini-Watergate all’italiana, come giustamente la definisce Norberto Valentini ne La notte della madonna. Tutte le telefonate che arrivavano o uscivano dall’ufficio romano di Mancini di via del Babuino 96 erano intercettate: per questo il Sid era a conoscenza dei suoi stretti legami con il gruppo dirigente di Lotta Continua. A conclusione dell’Azione Mecomio, il rapporto del Sid metteva in rilievo che sostegni finanziari giungevano a Lotta Continua dal Psi al quale, a sua volta, arrivavano dal petroliere Nino Rovelli tramite l’allora Capo della Polizia, Angelo Vicari – una strana compagnia di giro. Come si legge nell’ottimo libro di Valentini, pp. 126-7, il rapporto afferma questo: «per lunghi mesi si è atteso alla paziente raccolta di notizie e alla loro elaborazione per poter giungere a una possibile chiarificazione… Tale lavoro ha dato frutti sufficienti per una buona base di partenza per accertamenti futuri che si presentano difficili e delicati. Infatti: in data 21.5.1973, Lionello Massobrio [allora responsabile amministrativo di Lotta Continua] viene convocato dall’onorevole Giacomo Mancini (notizia da fonte certa, materiale conservato) nella sede del Psi in via del Corso; 2 nella stessa serata del 21.5.73, Lionello Massabrio, in una riunione ristretta di dirigenti di Lotta Continua nella sede di via dei Piani 26 ha comunicato ai presenti, convenuti per l’esame della situazione finanziaria del movimento che nella mattinata, la situazione finanziaria era stata rappresentata all’onorevole Mancini che aveva promesso un sostanzioso finanziamento, non escludendo altre fonti di appoggio, avendo molto a cuore la vitalità di Lotta Continua (notizia da fonte umana Partenope)».
All’interno di Lotta Continua, dunque, un informatore riferiva puntualmente su quanto si dicevano i suoi massimi dirigenti: il dato assume un enorme rilievo visto che Lc in quei
mesi era sotto l’occhio del ciclone dopo l’omicidio del commissario Calabresi.
5. Lei dice nel suo libro che “Lotta Continua prese la sede in via Dandolo, a Roma, per inaugurare il giornale quotidiano, nel marzo del 1972.” Così lei risponde sulla questione dei finanziamenti all’attività del giornale.
Marco Nozza ha scritto un bell’articolo su “Gli amici americani di Lotta Continua” che ricostruisce in dettaglio tutta la vicenda. Nel 1968 arriva a Roma Robert Hugh
Cunningham, agente Cia che rileva il giornale “Daily American”. A stampare Lotta Continua è la Art Press, quello americano è stampato dalla Dapco. Due cose diverse? No.
“Perché i soci della Art Press risultano tre: Cunningham, padre, madre e figlio.
Amministratore della Art Press: Cunningham junior. Che si chiama come il padre: Robert Hugh Cunningham”.
Nel 1971 presso la cancelleria del tribunale civile e penale di Roma viene depositato un atto in cui due signori accettano di diventare “amministratori della Spa Rome Daily
American, con deliberazione ordinaria del 27 settembre 1971”. I due signori si chiamano Matteo Macciocco, il secondo Michele Sindona. Nel 1971, dunque, Sindona succede a Cunningham, quello senior, nella gestione del “Daily American”, giornale che presto fallisce. Nasce il “Daily News”. I proprietari sono Robert Hugh Cunningham senior e
junior. Mentre fallisce il “Daily American”, succede che Lotta Continua cambia tipografia e non si fa più stampare dalla Art Press, E’ nata la “Tipografia 15 giugno” di cui sono soci Angelo Brambilla Pisoni, Pio Baldelli, Marco Boato, Lionello Massobrio e un ultimo socio che non è italiano: si chiama Robert Hugh Cunningham junior, il figlio. (Notizie tratte da “Il Giorno” del 31 luglio 1988). Quello che scrive Marco Nozza è vero?