Ultimi giorni di relax per il popolo vacanziero, in una situazione da "limbo" in cui non sei fisicamente al lavoro ma neppure più con la mente in vacanza (discorso a parte per quelli che, come me, sfruttano le vacanze per sbrigare il lavoro arretrato con maggiore calma e all'ombra delle montagne...).
In questa strana atmosfera, negli ultimi giorni, ho riletto alcuni passi della nuova edizione di "
Io l'infame", il racconto biografico della vita dell'ex brigatista
Patrizio Peci primo pentito della storia delle BR, sulla cui vicenda, non mi stancherò mai di ripeterlo, non è mai stata fatta piena luce.
Nel libro, Peci racconta del tumore che l'ha colpito qualche anno fa e della sua lotta che l'ha portato alla vittoria contro questo terribile male. E di questo ne sono molto contento.
Sia per l'aspetto umano, perchè quel tipo di malattie portano ad una sofferenza atroce ed alla consapevolezza di trovarsi su una strada sulla quale, dietro ogni curva, può nascondersi un muro di cemento armato sul quale sarà inevitabile disintegrare la propria auto.
Ma anche perchè spero che Peci sopravviva molto a lungo, a sufficienza per raccontarci, quando i tempi saranno maturi e nessuno dovrà avere più nulla da temere, la vera storia di quei due mesi che vanno dal 15 dicembre 1979 (data della riunione della direzione Strategica alla quale partecipò) al 19 febbraio 1980 (data ufficiale del suo arresto).
Ormai nessuno più vuole che la gente finisca in carcere, nessuno si scandalizzerebbe più sapendo che uomini dei servizi (o delle istituzioni che combattevano le organizzazioni di lotta armata) hanno sfruttato una ghiotta occasione per penetrare i segreti delle Brigate Rosse, conoscerne a fondo i meccanismi per poterli combattere e debellare. E' solo questione di scelte.
Quello che mi preoccupa in questi giorni è che molti (quasi tutti) dei personaggi che sono a conoscenza di quei fatti, non ci sono più (Dalla Chiesa, Pignero, Bonaventura) o non hanno alcuna intenzione di parlare (come il gen. Bozzo che ha fornito una versione dell'arresto di Peci del febbraio '80 radicalmente diversa rispetto a come lo stesso Peci la racconta nel suo libro...).
Dalla Chiesa Bonaventura Bozzo
E allora mi auguro davvero che la vittoria di Peci sul suo male interno, possa farlo riflettere e dargli l'illuminazione necessaria per essere in pace con la propria coscienza. Almeno per dare un contributo di speranza a tanti familiari di vittime di quegli anni che intravedrebbero un barlume di verità, un piccolo spiraglio per capire meglio tanti episodi poco chiari. Dette a 30 anni di distanza, queste cose, ormai non arrecherebbero più conseguenze a nessuno ma solleverebbero molte coscienze da un dolore aggiuntivo dato dalla sfiducia di poter colmare le troppe lacune che tante ricostruzioni hanno.
Per cui "lunga vita all'infame", perchè se morisse anche lui potremmo dire addio all'ultima possibilità che abbiamo di scrivere la parola fine sulla storia di Patrizio Peci. Perchè le rivelazioni postume, ahime, non hanno il privilegio della smentita.
E ne sa qualcosa
Germano Maccari (che proprio di questi giorni 9 anni fa morì in una patria galera): neanche 10 giorni dopo la sua scomparsa,
Lanfranco Pace rilasciò un'intervista a "Sette" in cui affermava che lo stesso Maccari gli confessò di essere stato il solo a sparare contro Moro, dopo che Moretti fu colto dal panico e Gallinari da una crisi di pianto.