Mi sia concesso di prendere in prestito un famoso verso del Sommo Poeta. Ma mi sembra che possa ben sintetizzare l’atteggiamento di chi ha per anni chiesto e cercato la verità sulla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (per la giustizia rimasta senza colpevoli dopo 11 gradi di giudizio) e, adesso che ci sono delle vere novità sulle quali aprire un dibattito serio che possa aiutarci a trovare una parola definitiva su esecutori e mandanti, stende un pietoso velo di non curanza per evitare di fare i conti con la propri storia (e quella altrui).
E’ uscito in libreria d un paio di settimane, un testo molto atteso. Un’inchiesta che, analizzando in maniera certosina tutti gli elementi a disposizione (molti dei quali ignorati, occultati o cancellati alla magistratura) ricostruisce una verità giornalistica che tiene conto di tutti i tasselli e li ricompone con un perfetto incastro.
Il segreto di piazza Fontana (di Paolo Cucchiarelli) non vuole essere verità giudiziaria. E’ un’inchiesta giornalistica che partendo dai fatti e costruendo su di essi delle nuove analisi arriva ad un’ipotesi logica che riesce a tenere tutto insieme.
La scelta della casa editrice Ponte alle Grazie è stata di effettuare il lancio in assoluta riservatezza, e solo il giorno prima della conferenza stampa è trapelata qualche indiscrezione. Nei giorni successivi, alcuni autorevoli quotidiani (Corriere della Sera, Manifesto, L’Unità) hanno commentato le sintetiche informazioni offerte ai giornalisti sostenendo l’impossibilità di una tesi come quella avanzata da Cucchiarelli. Ovviamente, senza aver letto una sola riga del suo imponente lavoro (700 pagine di pura inchiesta).
Ma come? Il 9 maggio, in occasione dell’ultima celebrazione della “Giornata per le vittime del terrorismo” non eravamo diventati tutti amanti della verità? Ed il Presidente Napolitano non aveva invitato tutti a contribuire alla ricerca di quei frammenti di verità che ancora mancano all’appello?
E cosa succede neanche un mese dopo? Che si hanno a disposizione 700 pagine per confrontarsi, dibattere, approfondire, ma la scelta politica (perché di questo si tratta) è che cali il silenzio su quella che potrebbe essere la svolta, dopo 40 anni, sull’evento che inaugurò, suo malgrado, anni spietati di sangue e conflitti?
E allora vorrei sottoporre alla vostra attenzione l’unico dibattito che al momento ci è consentito osservare. Protagonisti Aldo Giannuli, storico di riconosciuto valore che ha avuto il merito di far emergere molti documenti “scottanti” sul nostro passato (fu sua la scoperta de L’Anello) e lo stesso Paolo Cucchiarelli giornalista serio e obiettivo che ha svolto un lavoro decennale certosino e non asservito alle tesi di comodo (sue o dei gruppi political-chic).
Giannuli ha recensito,
sul suo blog il lavoro di Cucchiarelli invitando l’autore a rispondere alle sue critiche. E la risposta di Cucchiarelli non si è fatta attendere, puntuale e precisa, a sottolineare che se si critica si deve aver letto bene ciò che si critica e se lo si è letto bene si può anche discutere dei contenuti.
Ma la critica “a prescindere”, tanto per sbandierare un drappo apparentemente intonso, mi sa tanto di censura. O, peggio, di voler togliere la parola agli altri con la violenza della propria arroganza.
E allora non diciamo più che la vogliamo questa verità. Non ce la meritiamo. Perché siamo davvero un “paese di merda” come ebbe il coraggio di affermare Antonello Piroso al termine di una bella puntata di Niente di Personale dedicata alle vittime dello stragismo.
Potete visionare in
anteprima qui (alle 20.18 del 17 giugno Aldo Giannuli non ha ancora pubblicato la risposta) la contro-analisi di Paolo Cucchiarelli.