Lorenzo Conti, figlio dell’ex Sindaco di Firenze
Lando Conti ucciso dalle BR nel 1986, in una lettera a Napolitano (nella quale ha espresso forti critiche nella gestione della II giornata per le vittime del terrorismo) ha riproposto un ritornello che da tanti anni si sente in Italia:
chiudiamo gli anni di piombo facendo emergere la verità ma rinunciando a condannare i colpevoli dei crimini confessati.
Se non fosse perché trattasi apertamente di un'ipotesi irrealizzabile, sarebbe un’affermazione da
standing ovation.
Perché il concetto "verità in cambio di impunità" è una pura illusione? Procediamo con ordine.
Si porta sempre l’esempio del Sudafrica e del modo voluto da Nelson Mandela come strumento strategico per la riconciliazione nazionale dopo l'apartheid. In Sudafrica, però, ci si dimentica che la parola riconciliazione non fu affidata alla giustizia ma ad una Commissione (la Truth and Reconciliation Commission) che per le stesse parole del suo Presidente Desmond Tutu «fu istituita come meccanismo per gestire le ingiustizie del passato; perché altrimenti quelle stesse ingiustizie avrebbero continuato ad affliggere il nuovo governo e a minacciare le fragili strutture della nuova democrazia del Sudafrica» e come precisò ancor meglio lo stesso Mandela «nonaveva l’obiettivo della giustizia ma della verità: la verità dei fatti, la verità imbavagliata e incatenata nelle camere di tortura e nei luoghi occulti dove operavano gli aguzzini dell’apartheid»
Altra peculiarità della soluzione sudafricana fu che per ottenere l'amnistia da condanne per la violazione dei diritti umani non era necessario il pentimento né il rimorso, né tantomeno il perdono che, a volte, veniva accordato dalle stesse vittime o dai loro parenti. Veniva richiesta invece l'ammissione dettagliata, completa e pubblica dei propri crimini. Era questa l’auto-punizione esemplare, un’esperienza traumatica che rappresentava, contemporaneamente, anche il superamento dei propri atti.
Come sono andate le cose in Italia? La giustizia ha processato oltre 6.000 persone infliggendo valanghe di ergastoli ed anni di carcere, ha istituito le carceri speciali all’interno delle quali le violenze sono continuate, spesso, a parti invertite.
Quando coloro che avevano impugnato le armi, hanno capito che l’esperienza era finita e che occorreva ammettere la propria sconfitta e lavorare insieme per la chiusura di quegli anni come frutto di un’esperienza collettiva, la politica ha completato il lavoro iniziato dai magistrati negando fino alla nausea l’esistenza di un conflitto sociale e sottolineando come tutti i crimini commessi fossero solo il frutto dell’opera di pochi delinquenti isolati dal resto della società. L’unica variante era sul tentativo di attribuire oltre confine la direzione e la guida di questi “manovali della rivoluzione” (naturalmente a carico di una delle due grandi potenze a seconda della parte dalla quale si stava).
Per quanto riguarda la verità, ci sarebbe da scrivere un trattato enciclopedico ad iniziare dal porsi alcune domande fondamentali. 1) Chi dovrebbe dire la prima verità? 2) Si dovrebbe parlare dei propri crimini o sarebbe preferibile si potesse chiamare in causa anche terze persone? 3) Nel caso dovrebbe trattarsi esclusivamente di gente viva (in modo che siano possibili delle repliche)?
Problemi non da poco. Proviamo a discuterne.
Il primo punto. Che ne dite se a parlare per primo sia chi, fino ad ora, ha detto di meno o ha sempre negato tutto? Non sarebbe un cattivo punto di partenza. Dalla parte degli ex terroristi in molti hanno scelto la strada della dissociazione o del pentimento e, Peci a parte ma per i motivi che tutti conosciamo, nessuno ha avuto in premio l’impunità. Mai sono stati tirati in ballo personaggi esterni alle organizzazioni, persone della società che pur non avendo aderito alle scelte militari potrebbero averne condizionato o favorito alcune azioni. Cosa potrebbe emergere da queste ammissioni? Mah, padroni di casa, suggeritori culturali, prestanome. Sinceramente non credo aiuterebbe più di tanto la riconciliazione sapere se il direttore di una testata giornalistica abbia ospitato incontri tra brigatisti e altri personaggi più o meno ai margini della lotta armata. Anzi, la loro impunità servirebbe quasi certamente ad accentuare le divisioni politiche odierne fondate sul rassicurante alibi delle guerre del passato. C’è qualcun altro che non ha mai parlato? A pensarci bene, direi proprio di si.
Le recenti acquisizioni di documenti e l’inchiesta che Stefania Limiti ha ben rappresentato nel suo “L’Anello della Repubblica” dimostrano che in Italia sono sempre esistite delle strutture illegali e clandestine alle dipendenze di pochi personaggi politici (adesso si capisce anche perché per 40 anni al governo ci siano state sempre le stesse persone) che hanno avuto ruoli importanti in vicende chiave della nostra democrazia. E se nel caso Cirillo l’aver mediato segretamente con Giovanni Senzani e la Nuova Camorra di Raffaele Cutolo e l’aver sborsato oltre un miliardo di lire ha portato alla liberazione del politico democristiano, nei casi di Moro e Kappler le cose sono andate diversamente.
Intendiamoci. E’ lecito che uno Stato si doti di strutture segrete, se queste devono utilizzare la segretezza per garantire, attraverso dei sacrifici, il bene di tutti. Ma se queste sono alle dipendenze d una ristretta cerchia politica e non possono essere al servizio della magistratura perché inesistenti, ed aggiungiamoci anche che si dovrebbero occupare di affari sporchi come incidenti e omicidi, allora io le chiamerei sovversive.
Io credo che lo Stato non ci abbia detto ancora nulla. E anche se i problemi siano potuti provenire da singoli disegni criminosi operati da strutture dell’intelligence o di forze armate convenzionali e non, dubito che i vertici della politica non ne siano venuti a conoscenza e, di conseguenza, non abbiano autorizzato certe strategie. Magari correggendole e assicurando protezioni.
Caro Conti, come si sentirebbero le famiglie delle vittime di piazza della Loggia o di piazza Fontana se qualche funzionario di Stato accogliesse il suo invito e dicesse una verità imbarazzante? Sareste pronti a sobbarcarvi anche questo peso? E a che servirebbe? Ad accendere ancora di più il conflitto?
No, caro Conti. Non ce la possiamo permettere la verità in questo Paese. Non farebbe comodo a nessuno. E’ il “punto di equilibrio di Nash” della nostra storia recente, che permette a tutti di ricavare il massimo dall’assurda situazione nella quale ci ritroviamo. Spesso sento la gente chiedersi se i terroristi hanno vinto. Credo abbiano vinto tutti, credo sia stata trovata la strada per far pagare il meno possibile a tutti quando alla fine il più forte ha prevalso.
Anche se non credo alla verità come gesto di auto-accusa, le posso assicurare che sono invece fiducioso che qualcuno sarà capace di sbrogliare alcune importanti matasse. Non un punto di arrivo, ma un bel punto partenza. Tanto per cominciare.
Che ne dice di riaggiornarci al prossimo weekend? Sono con degli amici intorno ad un tavolo ed un simpatico spiritello mi ha appena rivelato il nome di una piazza, un anno ed una data di fine maggio.
Non so voi, ma io mi segno l’appuntamento, senò rischio di prendere altri impegni.