1) Lei ha scritto un primo volume, "Odissea nel caso Moro", nel quale ha
effettuato un lungo viaggio all'interno della documentazione della Commissione
Stragi. Cosa l'ha spinta a questo impegnativo e lungo lavoro?
La
consapevolezza che tra le carte raccolte dall’organismo parlamentare c’erano le
risposte agli interrogativi in circolazione. Per effetto della chiusura della
Commissione senza l’approvazione né la discussione di una o più relazioni
conclusive, l’enorme massa di eterogenea documentazione raccolta durante i
lunghi anni della sua esistenza sarebbe risultata difficilmente padroneggiabile
da chi, a differenza di me, non ne avesse seguito quotidianamente l’afflusso e
l’evoluzione. Tale patrimonio, perciò, avrebbe rischiato di disperdersi. Decisi
quindi di cimentarmi personalmente nel salvataggio del salvabile e sottoposi i
primi risultati all’attenzione del professor Giovanni Sabbatucci - persona che
unisce la generosità alla straordinaria competenza professionale che tutti
sanno- da me conosciuto quando ero studente di Storia dei partiti politici
all’Università. Il positivo giudizio di Sabbatucci mi diede la fiducia per
andare avanti.
2) Quali difficoltà ha comportato il dover analizzare un volume così massiccio
di documenti?
Una
grande fatica, ovviamente, e qualche incertezza iniziale nella strutturazione di
capitoli e paragrafi. Tuttavia, direi che la quantità della documentazione abbia
creato e crei tuttora più problemi ad altri che a me.
3) Prima di affrontare il suo lavoro, quale era la sua opinione sulla vicenda
Moro?
Quando giunsi in Commissione Stragi ne sapevo ben poco, ed ero impressionato
dalla fama dei personaggi che vi ruotavano e dalle teorie “dietrologiche” che
ascoltavo. Il fatto che il più delle volte costoro leggessero le carte in
maniera molto diversa da come le leggevo io mi induceva ad attribuire loro una
superiore profondità. A poco a poco, però, a furia di riscontrare nelle evidenze
sotto i miei occhi tutt’altre cose rispetto a quelle interpretazioni, cominciai
a domandarmi se a sbagliarmi fossi io o se fossero loro.
4) I suoi testi sostengono la tesi del "quasi tutto è chiaro", che non e'
certamente quella della maggior parte degli studiosi che hanno affrontato la
vicenda. Se tutto e' stato chiarito ed e' nei documenti, perchè c'è ancora la
necessità di creare sempre nuovi misteri attorno ad una tragedia di queste
dimensioni?
Non
pretendo che tutti siano d’accordo con me circa l’insussistenza di risvolti del
caso Moro che possano definirsi “misteri” ma, da un punto di vista scientifico,
affermo che l’unica necessità per ogni studioso è quella di avvicinarsi il più
possibile alla verità, quale che essa si riveli, senza prediligere per principio
un determinato tipo di esito della ricerca piuttosto che un altro. Dunque, la
creazione di nuovi e mirabolanti scenari piuttosto che il consolidamento di
quelli già esistenti (o viceversa) non dovrebbe essere avvertita alla stregua
di una necessità. Ciò sarebbe fuorviante.
Non
si può ignorare peraltro che il sensazionalismo, purtroppo ampiamente diffuso
nel sistema dell’informazione, anche nel caso del delitto Moro si adatta bene a
discutibili logiche editoriali. A livello individuale, analogamente, in alcuni
casi gioca l’altrettanto criticabile idea che solo la scoperta di chissà quali
misteri possa legittimare il proprio ruolo professionale; in altri casi, agisce
il desiderio di distinguersi da quei poveri ingenui che sarebbero gli altri. E
scatta così un meccanismo descritto da un aforisma di Flannery O’ Connor: quando
una persona che è intelligente si mette in testa di esserlo, non c’è più modo di
farla ragionare.
5) Ritengo che i brigatisti siano stati protagonisti assoluti della vicenda e
che sia certo che non abbiano preso "ordini" da apparati esterni alla loro
organizzazione. Non le sembra pero' inverosimile che strutture trasversali alle
istituzioni non siano state in grado di essere piu' efficienti ed arrivare a
gestire una trattativa direttamente con i vertici delle BR? Con modalità e
finalita' di cui pero' nulla e' emerso e potrebbe essere forse questa l'area di
indicibilità 'che ancora resta sul caso Moro. Cosa ne pensa?
Che
sul caso Moro resti un’ <<area di indicibilità>> è un’opinione Sua e di altri,
da me rispettata ma non condivisa.
Quanto all’eventualità di trattative segrete, non
è questione di astratta verosimiglianza, la quale oltre tutto si attaglierebbe
sia all’ipotesi che i servizi di sicurezza siano riusciti ad agganciare i
vertici delle BR sia all’ipotesi opposta, specie considerando le pessime
condizioni nelle quali essi versavano in quel periodo. Tra l’astrattamente
verosimile ed il vero c’è in ogni caso un bel salto, ed è assai più
significativo il fatto che, come Lei giustamente rileva, riguardo alle
fantomatiche trattative tra brigatisti e servizi segreti <<nulla è emerso>>
nonostante circa trent’anni di esplorazioni in tale direzione condotte da stuoli
di ricercatori. Peraltro, le BR volevano un riconoscimento politico il quale,
per sua natura, non poteva che essere pubblico, e lo volevano dalla <<DC e dal
suo governo>>, come ripeterono in tutte le salse e in tutte le occasioni.
L’oggetto della loro richiesta, dunque, era noto a tutti ed era incompatibile
con il raggiungimento di un accordo segreto.
6) Sono note le sue divergenze dal pensiero del Senatore Flamigni e i lettori
più informati ricorderanno un confronto a distanza tra voi due andato in onda su
Radio Radicale. Perchè le vostre ricerche non sono state l'occasione per aprire
un confronto intellettuale e produttivo per fare dei passi avanti nella ricerca
della verità? Ho l'impressione che adesso esistano due schieramenti contrapposti
(chi concorda con lei e chi con Flamigni) e questo non fa altro che allontanare
ancor piùchi ha tesi fra loro contrapposte...
Nei
miei lavori mi sono sempre confrontato ampiamente con le tesi di Flamigni. I
suoi libri contengono utili informazioni, la sua recente iniziativa di
informatizzare gli indici dei 130 volumi degli atti della Commissione Moro
faciliterà le ricerche future, e i dissensi non mi fanno disconoscere che anche
a lui si deve l’approfondimento delle conoscenze sul caso Moro fino all’elevato
grado attuale. Infatti, quando contemporaneamente al mio Odissea nel caso
Moro uscì una nuova edizione del suo La tela del ragno, dalle colonne
di <<Avvenimenti>> salutai l’evento come una buona notizia. Non sono stato
ripagato di eguale moneta, ma poco importa.
Mi
auguro che il pubblico guardi ai contenuti di ciò che lui ed io scriviamo, più
che alla forma polemica in cui può capitarci di esprimere le nostre divergenze.
7) Secondo lei, chi oggi ha avuto da guadagnare sulla vicenda Moro e chi, ad
esclusione della famiglia, ne ha invece subito conseguenze negative?
Politicamente, nel breve termine l’imboscata di
via Fani condusse ad una rapida approvazione della fiducia al governo Andreotti
che il 16 marzo si presentava alla Camera con prospettive altrimenti incerte;
nel medio termine, il corso della politica italiana si è mantenuto nel solco
degli accordi tra Moro e Berlinguer, i quali avevano concordato di collaborare
fino all’elezione del nuovo Capo dello Stato prevista per la fine del 1978, per
poi fare il punto della situazione e decidere entrambi liberamente se proseguire
su quella strada oppure no (per la cronaca, nel 1979 furono i comunisti a
scegliere di rompere e di andare alle elezioni anticipate che poi persero, non i
democristiani); nel lungo termine, l’Italia fu interessata da una serie di
trasformazioni epocali in gran parte dovute a fattori indipendenti dalla vicenda
Moro, quali una congiuntura economica internazionale e nazionale espansiva
anziché recessiva come era stata negli anni Settanta, una ristrutturazione
industriale le cui logiche prevalsero sulle resistenze sindacali, una nuova e
più tesa fase delle relazioni tra Est e Ovest, nonché altri fenomeni ancora,
tali da configurare un quadro assai diverso rispetto a quello cui si erano
applicate le ricette di Moro. Parafrasando una celebre frase di Moro stesso, gli
anni a venire dopo il 1978 non sarebbero stati nelle sue mani neppure se egli
fosse rimasto sulla scena.
La scomparsa di Aldo Moro ha lasciato quel tipo di
vuoto, incolmabile, che rimane alla scomparsa di una personalità elevata a
prescindere dalle sue fortune politiche del momento.
Tengo a sottolineare altresì che l’uccisione di
Moro non giovò ai suoi sequestratori ed assassini, i quali erano partiti con
l’ambizione di suscitare sommovimenti rivoluzionari a catena in tutto il Paese
e, al contrario, si ritrovarono politicamente più isolati di prima.
Da ultimo, osservo che al di là delle coordinate
che ho tracciato, la domanda su chi abbia avuto conseguenze negative o invece
guadagnato dalla morte di Moro può avere molteplici risposte, data la statura
del personaggio, le quali non possono essere messe retroattivamente in relazione
con la dinamica del sequestro e del delitto: ad esempio, il fatto che Moro fosse
un autorevolissimo candidato alla successione di Giovanni Leone al Quirinale non
deve indurci a sospettare di Sandro Pertini. Ci mancherebbe solo questa!
8) Quando sarà possibile chiudere la vicenda Moro?
E, soprattutto, in che modo?
Se
per chiusura si intende l’individuazione dei responsabili, ancora manca
all’appello qualche componente delle BR che partecipò all’operazione (mi
riferisco essenzialmente ai due motociclisti presenti in via Fani con funzioni
di appoggio e di controllo delle eventuali reazioni dei passanti), mentre per il
resto ci siamo. Se parliamo in senso storiografico, il mosaico è pressocché
completo. Il tutto, naturalmente, fino a prova contraria, il che vale per tutte
le umane cose: quelle che non ammettono prova contraria sono le fedi o, peggio,
le mere ostinazioni.