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1) Cinque anni di vice-presidenza nella
Commissione Stragi cosa le hanno lasciato? E quale contributo hanno lasciato al
Paese?
Nei cinque anni di attività parlamentare svolta presso la Commissione Stragi,
ho vissuto esperienze straordinarie ed illuminanti relativamente ai contesti ed
alle ragioni che hanno fatto vivere al nostro Paese momenti tragici. Ciò non
vuol dire, tuttavia, che nell’ottica dei risultati formali dell’organismo in
argomento, i singoli tasselli del lavoro svolto siano stati tutti “positivi”,
dovendo considerare non solo i non pochi pregiudizi (personali, ideologici e di
partito) di alcuni Commissari sulle vicende oggetto di indagine (su quella di
Ustica, in particolare), ma anche le aprioristiche preclusioni di alcuni ambiti
politici ai fini di una condivisione di indirizzi “indagativi” e di valutazioni
dei riscontri bipartisan. Il tutto non poteva non lasciare il “segno” nelle
persone con onestà intellettuale ed in particolare in chi, come chi scrive, sia
cresciuto, formato ed educato, nelle Istituzioni, nel vedere prioritariamente il
bene di queste ultime e del Paese e non solo quello di questa o di quella forza
politica, ben sapendo peraltro che i partiti spesso curano soprattutto il
risultato immediato in termini di consenso e di interesse di parte, mentre le
Istituzioni ed il Paese conservano inalterata la loro “mission”, cioè il bene
della collettività e dei “valori” base della vita del cittadino.
La seconda parte della domanda meriterebbe una risposta molto articolata.
Provando a dare solo dei flash, ritengo di poter affermare che, così come ho
scritto in più di un mio saggio, la “valorizzazione” di tutto il materiale
raccolto dalla Commissione Stragi può portare ad una “lettura” nuova,
attendibile ed a volte “inattesa” di molte pagine della recente storia del
nostro Paese: cosa che sembrerebbe non desiderata da ambienti interessati o
quantomeno valutata come non prioritaria.
2) La ricorrenza del trentennale ha portato
alcune interessanti novità relative alle ultime ore della vicenda Moro. La
grazia firmata da Leone e strappata, il “piano a reticolo” del Ministro Cossiga
che la notte dell’8 maggio fa circondare dall’esercito un settore di Roma per
pressare i brigatisti, il segretario di Moro, Sereno Freato, che vola con
l’aereo di Berlusconi da Tito, l’iniziativa di Benito Cazora e del suo incontro
del 7 maggio in via della Camilluccia 551 con persone che si dichiarano pronte
ad un blitz per liberare Moro... Indicazioni che vanno tutte in un’unica
direzione: l’8 maggio tutto era pronto per la liberazione di Moro, ma qualcosa
intervenne in extremis e la trattativa andò a monte. Non ce ne sarebbe
abbastanza per aprire una nuova commissione d’inchiesta o un nuovo processo?
Indubbiamente,m nelle ore che hanno preceduto l’assassinio dello statista
pugliese si sono verificati fatti e circostanze coinvolgenti più soggetti, più
ambiti e più città. Se è vero, infatti, che può essere attribuito un elevato
grado di verificabilità all’ipotesi che lascia all’autonomia delle BR
l’iniziativa del sequestro e della sua sanguinosa conclusione, è altrettanto
vero che, nella gestione della prigionia e della tragica fine dell’on. Moro e
per quanto attiene alla ricerca del covo ove era tenuto quest’ultimo, coagirono
forze, competenze ed “incompetenze” diverse che finirono poi con il favorire
l’avvitarsi della vicenda verso l’epilogo che tutti sappiamo. Va ricordato
infine il pensiero di molti studiosi, secondo cui l’uccisione dell’on. Moro dopo
55 giorni di prigionia va interpretata come l’espressione di una “necessità di
auto-conservazione” per i tre protagonisti, vale a dire: le BR, l’on. Moro e lo
Stato italiano.
3) A trent’anni da una vicenda è realistico
attendersi che non vi siano grossi ostacoli nella ricerca della verità. Cosa
l’ha delusa nel trentesimo anniversario dell’affaire Moro?
Va premesso che, nella vicenda Moro, la celebrazione dei vari processi penali
(protrattasi per ben 30 anni, con vari gradi di giudizio, con diversi
protagonisti, in diverse sedi e con un impegno massiccio di uomini e di mezzi)
ha portato all’individuazione dei “colpevoli materiali” e non dei “mandanti”, né
degli “ispiratori” del crimine, chiarendo nel contempo molti equivoci,
ricostruendo buona parte dei tempi e dei modi della vicenda e trovando
veritiere, in molti parti di rilievo (e non in tutte ...), le dichiarazioni
degli imputati e le confessioni dei pentiti. Premesso allora tutto questo, va
evidenziato che, nel 30° anniversario della morte di Aldo Moro, c’erano da
attendersi passi in avanti quantomeno in fatto di individuazione dei “mandanti”
e degli “ispiratori” del crimine. E’ vero che sono stati scritti molti saggi,
sono stati fatti convegni e sono state programmate cerimonie celebrative, ma è
anche vero che si è ripetuto il ritornello di tesi senza prove, colpevolizzando
ora l’uno ora l’altro ambito, soprattutto straniero, e basandosi sempre su
logiche senza basi probanti. Di contro, in nessun lavoro si è accennato, si è
sviluppato e si è messo a fuoco l’unico “nodo” di verità che si può considerare
come il più importante risultato raggiunto, per la specifica vicenda, nel corso
dei lavori della Commissione Stragi – 13^ Legislatura, vale a dire il “nodo
fiorentino” che è “corredato” non solo da forti evidenze di responsabilità in
documenti che sono agli atti della Commissione, ma anche da interessi vari (in
più ambiti) a non vederlo svelato. E ciò nonostante l’appello del Presidente
della Repubblica (l’on. Oscar Luigi Scalfaro) fatto in sede istituzionale il 9
maggio del 1998, gli inviti di vertici di Governo e degli stessi familiari dell’on.
Moro. E’ bene comunque annotare che questo aspetto specifico trova spazio in
molte pagine del mio ultimo saggio (“Aldo Moro, un profeta disarmato”,ed.
Koinè), specificando anche che ciò è avvenuto dopo aver constatato – rimanendone
deluso – che la saggistica e la pubblicistica avevano evitato di trattarlo.
4) Al termine della sua attività, la
Commissione Stragi diede disposizione di procedere alla pubblicazione integrale
dei documenti acquisiti e di renderli disponibili a chiunque ne avesse richiesta
la visione privi di ogni vincolo di segretezza. Eppure, ancora oggi, esistono
molti faldoni classificati o, comunque, non disponibili. Come mai?
Confermo che la Commissione, dopo aver considerato che il materiale raccolto
era di notevole importanza per una valutazione complessiva della storia più
recente del nostro Paese, nella seduta del 22 marzo 2001 deliberò di autorizzare
“la pubblicazione immediata ed integrale di tutti gli elaborati prodotti da
gruppi o da singoli Commissari, ... in ciò ritenendo indubbi l’utilità ed il
senso complessivo dell’esperienza della Commissione”. Specificò, inoltre, che
dovevano essere pubblicati tutti gli altri atti e documenti, ad eccezione però
di quelli acquisiti con la classifica “segreto” o “riservato”, per i quali
l’Ufficio di Segreteria avrebbe provveduto all’inoltro delle relative richieste
di declassifica per verificare la permanenza del vincolo del regime di
pubblicità.
Da tutto ciò deriva che la perdurante presenza di “faldoni classificati o,
comunque, non disponibili” derivi dal fatto che non è stato ancora acquisito il
non-vincolo del regime di pubblicità da parte degli enti originatori: fatto
questo che comunque andrebbe approfondito per evitare che qualcuno non
“declassificasse” senza validi e persistenti motivi.
5) Nel bel libro “Abbiamo ucciso Aldo Moro”,
Steve Pieczenik ha raccontato la sua esperienza in Italia a fianco del Ministro
Cossiga e della sua strategia volta a prendere tempo, manipolare le BR per
spingerle ad effettuare l’unica mossa utile per lo Stato: assassinare Aldo Moro.
Ed il comunicato del “Lago della Duchessa”, del quale Pieczenik si sarebbe
dichiarato l’ispiratore, rappresentava il brusco stop che l’americano diede alle
BR in relazione alle trattative in corso. Il tutto sarebbe avvenuto con la
costante informazione a Cossiga ed Andreotti che si presero la responsabilità
politica di attuare questo piano. Una rivelazione del genere avrebbe scatenato
un terremoto politico in un Paese normale. Come mai in Italia è sostanzialmente
passata inosservata?
A questa domanda, ammesso che tutti i “passaggi” siano veri, mi sento di
rispondere solo in un modo: nel nostro Paese la “rivelazione” di cui si parla
nella domanda è sostanzialmente passata inosservata in quanto si risente, in
quasi tutti gli ambienti, delle patologie presenti da noi e che, nell’insieme,
costituiscono quello che io definisco “il caso Italia”, il caso di un Paese,
cioè, che, pur ricco di cultura, di storia, di arte e di umanità, è stato tenuto
prigioniero per anni e anni da ideologie utopistiche e soprattutto dal
sopravvento dell’interesse privato su quello collettivo e da uno scarsissimo
senso dello Stato e delle Istituzioni. Va aggiunto che il Paese, a volte ed
anche per effetto di quanto prima specificato, è stato messo in gravi
difficoltà, dall’impreparazione e dall’inefficienza di settori della Pubblica
Amministrazione e degli Apparati dello Stato, per non parlare del fatto che la
politica italiana è stata per anni coartata dalla complessità della sua
collocazione geo-politica, dalla realtà interna, nella perdurante impossibilità
di superare (conciliandolo o assorbendolo) il dualismo in essa presente e cioè:
rivoluzione-riformismo, governo-opposizione, occidente-oriente, pubblico-privato.
Su questo argomento ci sarebbe tanto altro da dire e che, comunque, ho cercato
di riassumere nell’ultimo mio saggio, prima citato, dedicando un capitolo
proprio al “caso Italia”.
6) Uno degli aspetti sui quali si è saputo
di meno in tutti questi anni, riguarda il ruolo che la cosiddetta “area toscana”
avrebbe ricoperto nella vicenda Moro. Quale pensa sia stato il suo
coinvolgimento e, soprattutto, per quale motivo non è stato possibile avviare
adeguate indagini?
L’argomento “area toscana” nella vicenda Moro (che io preferisco chiamare
“nodo fiorentino”) è il punto centrale di quest’ultima. Sono convinto sia che
questa sia la strada “nuova” (perché mai presa in considerazione nei vari
dibattimenti) e “risolutiva” (per spiegare gli “intrecci” pertinenti alle vere
“intelligenze” che hanno gestito la vicenda) e sia che essa costituisca il punto
di approdo più qualificante dall’attività svolta dalla “Stragi” nella XIII
Legislatura (1996-2001). In poche parole e sulla base di documentazione probante
(e non sulla scorta di tesi basate sulla “fantasia” ...), il “nodo fiorentino”
si presenta come la chiave di lettura principale per conoscere chi ha “diretto”
la vicenda, che non è di certo Moretti. Quest’ultimo, oltre ad essere “il
braccio operativo” dell’Organizzazione, si è di sicuro limitato a portare la
documentazione, sull’interrogatorio subito dal politico in prigione, da Roma al
luogo della periferia di Firenze (e viceversa), dove il Comitato Esecutivo delle
BR, secondo quanto è stato ragionevolmente accertato, si riuniva per “gestire”
il tutto (sequestro, prigionia ed assassinio dello statista pugliese). Parimenti
deve ritenersi ragionevolmente probabile vedere i brigatisti toscani come “parte
integrante del quadro delle responsabilità” (cosa finora esclusa dalla
Magistratura e sempre volutamente “trascurata” dagli organi di informazioni
...), aggiungendo, infine, che esiste un “accertamento giudiziario” relativo
alla partecipazione al Comitato rivoluzionario della Toscana del professor
Giovanni Senzani, già nella primavera del 1978 e non, come si è sempre creduto,
prima e dopo tale anno. A questo proposito merita riflessione quanto riferito
alla Commissione Stragi da due magistrati al tempo impegnati nella Procura di
Firenze nelle indagini sull’attività del brigatismo toscano. Il primo, il Dottor
Gabriele Chelazzi, ha definito il Professor Senzani: “sin dal 1977 del Comitato
toscano, il leader, il capo ed il vertice”, aggiungendo che è proprio “sulla
base di questo che la Corte di Assise di Firenze (lo) ha condannato”. Il
secondo, Dott. Tindari Baglioni, invece, rispondendo ad una mia domanda con cui
chiedevo “se erano più preparati gli apparati istituzionali o le BR”, ha
affermato: “la mia risposta, con una battuta, potrebbe esser che avevamo gli
stessi consulenti, cioè Senzani” (vds. 60° resoconto stenografico 21 marzo 2000,
pag. 3085). In precedenza lo stesso Magistrato, sempre a proposito della
“preparazione dei terroristi”, aveva affermato (vds. Citato documento, pag.
3082): “l’ideologo era Senzani che faceva il consulente per il caso Moro”, per
poi precisare subito dopo che era portato a dire ciò perché, all’epoca, gli era
stato detto che il Prof. Senzani era un esperto di terrorismo ed era anche un
uomo delle Istituzioni”.
Per quanto attiene alla parte della domanda sul motivo per cui non è stato
possibile avviare adeguate indagini sul “nodo fiorentino”, la risposta può
essere data solo dalla Procura di Roma, alla quale è stato inviato, nella
primavera del 2001, un rapporto, a firma di Giovanni Pellegrino e mia, con il
quale si prospettava quanto risultato alla “Stragi” a proposito del Comitato
toscano delle BR e del Prof. Senzani. Giovanni Pellegrino, in una lettera
scrittami nell’estate scorsa e riportata nel mio saggio su Aldo Moro, al
proposito di questo argomento ha asserito: “Tutto ciò che segnalammo con un
rapporto alla Procura di Roma sul nodo fiorentino del caso Moro ha avuto come
unico effetto quello di indurre la Procura a chiudere ogni indagine sul
sequestro e sull’omicidio”, per poi così concludere la sua missiva: “... noi
lavoravamo seriamente, ma per questo dovevamo essere fermati e comunque non
seguiti.”
7) Nell’agosto del ’98 giunsero in
Commissione Stragi molti faldoni contenenti «atti di elevata classifica» da
«considerarsi di vietata divulgazione». Il 29 maggio del 99, il Presidente
Pellegrino dichiarava al Messaggero “Siamo vicini ad una svolta, so cose che non
posso dire e che non direi neppure in seduta segreta alla commissione stragi”.
E’ passato oltre un decennio. Lei era a conoscenza di quei contenuti? E’
possibile almeno rivelare a quali aspetti della vicenda facevano riferimento
quelle parole?
Non ricordo i particolari cui si accenna, né i contenuti dei faldoni giunti
nell’agosto del 1998 in Commissione “Stragi”. Non credo però che abbiano portato
a risultanze che non siano state già rese note in nostri elaborati, o nei miei
saggi o in quelli di Pellegrino. Se può interessare, mi ricordo ora solo di 8
faldoni di documenti giunti dal Sismi sulla figura e sull’attività eversiva di
Giangiacomo Feltrinelli. Questo materiale è pervenuto a noi il 4 dicembre 2000 e
non nel 1998.
8) In una recente intervista andata in onda
su GR Parlamento, il segretario politico di Moro Sereno Freato, ha raccontato
come, in realtà nella gestione della strategia che voleva Moro morto più che il
consulente americano siano stati due poliziotti dell’antiterrorismo tedesco
venuti a Roma ad avere grosse responsabilità. Il rapimento, secondo Freato, fu
gestito nello stesso modo della vicenda Schleyer quando il governo tedesco
braccò i militanti della RAF, costringendoli a spostare più volte l’industriale
tedesco rapito, per poi metterli all’angolo e spingerli ad uccidere il
prigioniero. Fu lo stesso Moro in una delle sue lettere a domandarsi se non ci
fossero ingerenze “americane o tedesche” che impedivano l’evoluzione delle
trattative. Nelle acquisizioni della Commissione Stragi esiste traccia di
poliziotti tedeschi e di un loro ruolo all’interno della vicenda Moro?
A me non risulta che in Commissione Stragi esista traccia probante di un
ruolo svolto da poliziotti tedeschi all’interno della vicenda Moro.
9) Il terrorista venezuelano Carlos, nel
mese di giugno ha raccontato all’ANSA del tentativo in extremis di liberare
alcuni brigatisti dal carcere (da parte dei nostri servizi militari, una fazione
evidentemente vicina all’On. Moro) come contropartita per la liberazione di Moro
e che i garanti dell’operazione avrebbero dovuto essere il col. Giovannone e l’FPLP.
Il blitz fu impedito a causa della “soffiata” di un membro dell’OLP che avvertì
la stazione Nato in Libano. La conseguenza fu che Moro fu ammazzato e gli uomini
del SISMI protagonisti dell’iniziativa furono allontanati dal servizio. Nel mese
di agosto, il dirigente OLP chiamato in causa, Bassam Abu Sharif, ha precisato
che non ci fu alcun sabotaggio ma solo il fatto che una linea telefonica
riservata messagli a disposizione per dare il via all’operazione, restò muta
alle sue chiamate… E’ credibile il racconto dello “sciacallo”? Perché si sarebbe
dovuta attuare un’operazione così rischiosa quando sarebbe bastato molto meno
per salvare la vita di Moro?
Il terrorista venezuelano Carlos doveva essere sentito in audizione (tramite
rogatoria in Francia, dove dall’agosto 1994 era ristretto nel carcere di massima
sicurezza parigino de la Santé) con l’obiettivo di ascoltare, da uno dei più
grandi protagonisti ancora in vita del terrorismo internazionale, i retroscena
di alcuni fatti che hanno stravolto non solo le vicende continentali, ma anche
quelle italiane nel periodo 1972-1982. Tra i punti concordati con il detenuto
venezuelano c’era anche quello relativo all’insieme di contatti e di relazioni
tra l’OLP e le BR. Erano state fissate le date dell’audizione: 16 e 17 ottobre
2000 presso il Palazzo di Giustizia di Parigi. Poi, senza una valida
spiegazione, tutto è naufragato!
10) Cosa impedisce, politicamente e
storicamente, di fare chiarezza su un periodo ormai abbastanza lontano
temporalmente parlando che ormai, a “guerra fredda” conclusa, rischia solo di
essere un freno alla compiutezza del nostro sistema democratico? O forse certe
logiche strategiche ed operative esistono ancora ed è per questo motivo che
“conoscere il passato” potrebbe voler dire “smascherare il presente”?
La risposta è ampia e complessa. Provando a dare solo dei cenni, dobbiamo
tener presente che, ancora oggi, settori della sinistra italiana non sono ancora
pronti ad ammettere gravi colpe del passato, come qualche parte del centro e
della destra (che ama ancora servirsi di spettri dell’armadio altrui) vuole
ancora tener vive, per servirsene all’occorrenza, le accuse sui trascorsi
terroristici dell’avversario politico. Al tutto va aggiunta l’immaturità e/o
qualunquistica indifferenza di molti strati della nostra società nei riguardi
della verità sul passato, con il risultato scontato non solo di rimanere orfani
della “memoria “ storica del Paese, ma anche e soprattutto di conservare il
presente e il futuro in stato di continua vulnerabilità per il ritorno di errori
e di devianze già appalesatisi, cogliendoci quasi sempre di “colpevole” sorpresa
...
Per quanto mi riguarda, io continuerò a battermi per sensibilizzare gli ambiti
competenti onde giungere quanto prima possibile ad una “memoria condivisa”, ben
sapendo che ciò sarà fattibile se ci sarà la volontà di “valorizzare” l’enorme e
preziosa quantità di documenti giacenti negli archivi parlamentari ed ivi
depositati dalla disciolta Commissione Stragi. Se tali passi saranno fatti, si
sarà in grado di dare vita anche a contromisure normative, amministrative,
organizzative, sociali e politiche idonee a non farsi “sorprendere” in futuro da
lutti, da tragedie e da vulnus istituzionali. Se non si fa nulla o si fa solo
finta di farlo o di volerlo fare (nonostante le “giornate della memoria” del 9
maggio di ogni anno), saremo un grande popolo con una grande storia ed una
grande cultura, ma non saremo uno Stato moderno ed efficiente, carico, come
potremmo essere, di prestigio internazionale, di rasserenante sicurezza interna,
di vera identità, di piena libertà, di autentica democrazia e di forte orgoglio
nazionale.
La classe politica sarà degna di questo nome se avvertirà tali esigenze e
soprattutto se lotterà sempre e dovunque per onorare la ricerca della verità. Al
proposito, Aldo Moro mirabilmente sentenziò: “Datemi da una parte milioni di
voti e toglietemi dall’altra un atomo di verità ed io sarò comunque un
perdente”.
Se anche il semplice cittadino terrà nell’animo tale ammonimento, sarà allora
come continuare a mantenere in vita lo statista pugliese, memori come dovremmo
essere del pensiero di Benedetto Croce, secondo cui una grande figura non muore
mai del tutto fino a quando, in noi vivi, il suo ricordo non si è dissolto.
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