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«Fantastico, mi insultano come ai bei tempi»
Il regalo più bello e gratificante gli è venuto dal gruppazzo di studentelli
accampato sul portone di Palazzo Madama a protestare contro il decreto Gelmini.
«Buuu! Buuu!» gli han gridato fischiandolo, «Cossiga boia, Cossiga boia!». Sì,
come ai bei tempi del Kossiga con la K e le due S alla nazista, quando lui era
ministro degli Interni e quelli non erano ancora nati, pure mamma e papà erano
ragazzini. Una bomba di gerovital per il presidente emerito, che si è eretto
nell’imponenza di un tempo sorridendo a quegli sbarbatelli quasi ringraziandoli.
Del resto, già in aula annunciando il suo voto favorevole al provvedimento sulla
scuola, «contro i baroni», allegro e irridente aveva sfidato i banchi
dell’opposizione colpevole di aver tralignato dalla tradizione del «glorioso Pci»,
che invece applaudiva quando lui faceva picchiare, «a sangue», gli studenti che
avevano cacciato la Cgil dall’università.
Povera sinistra, che se non ci fosse ancora il picconatore a frantumarle il
gesso si prenderebbe sul serio, sempre a cavallo di tigri di carta. Sorridevano
placidi ieri mattina, i senatori del Pd in
attesa del voto definitivo sul decreto Gelmini, quando
Francesco Cossiga, penultimo iscritto per la dichiarazione di voto, ha preso
la parola.
Era ironico e bonario, l’ex presidente, muoveva a simpatia mentre ringraziava
«gli organizzatori e i partecipanti delle oceaniche manifestazioni di questi
giorni, dai baroni universitari alla responsabili mamme dei bambini innocenti
portati in piazza ad urlare slogan di cui essi non comprendevano nulla. Avrei
capito se avessi sentito i bambini gridare “merendine,merendine!”, non
“assunzioni!”...» E come si fa con l’anziano nonnino, annuivano compiacenti
mentre lui, assaporando già il bis che avrebbe colto all’uscita, ammetteva: «Per
me è stata una botta di vita sentire echeggiare slogan che temevo ormai desueti,
sapere che esisto e che qualcuno si ricorda di me urlando “Cossiga boia”,
“Cossiga assassino”e“Cossiga piduista”».
Nicchiavano pazienti, non sapendo che il “nonnetto” stava per mollare una
sberla da trauma cranico. Anche perché il primo colpo è volato a destra e ai
dipietristi, Cossiga annunciava il suo sì anche sperando che «cessi questo
inizio di movimentismo che vede pericolosamente uniti i giovani di sinistra con
i giovani dell’estrema destra: i giovani di An devono acquistare punti per la
futura elezione del loro leader alla presidenza della Repubblica, e meno male
che questi ragazzi hanno rifiutato la solidarietà del fascista Antonio Di
Pietro: ogni secolo ha il suo fascismo, e il fascismo di oggi in Italia si
chiama “Italia dei disvalori” o partito delle “forche e manette”...» Poi,
improvvisa e bruciante, la mazzata a sinistra. Ricordate il movimento del ’77e
gli «indiani metropolitani»? Nella solennità dell’aula del Senato, Cossiga ha
spiattellato quel che tutti sanno ma non si può dire: «Ai tempi della Cgil di
Lama ci mettemmo d’accordo così: prima gli studenti li picchiavano quelli del
servizio d’ordine della Cgil, poi toccava alle forze dell’ordine. Sono stato il
ministro dell’Interno di tre governi di solidarietà nazionale. Ma erano i tempi
di Berlinguer, non di Walter Veltroni, di Natta e non di Franco Marini. Erano i
tempi del glorioso Partito Comunista». Come punti dalla tarantola han preso a
rumoreggiare, Antonello Cabras e altri gli urlavano «basta, basta!», Gianrico
Carofiglio e Silvana Amati gridavano «tempo, tempo!», ma Schifani s’è ben
guardato da spegnergli il microfono perché «Cossiga ha avuto delle interruzioni
e quindi ha diritto di parlare ancora». I senatori del Pdl ridevano invece e
applaudivano, rintuzzando le proteste del Pd; «per anni avete galleggiato con i
senatori a vita, ora lasciatelo parlare!», rinfacciava Mario Baldassarri. Lui,
imperturbabile e implacabile, è andato ancor più di piccone:«Erano i tempi del
glorioso Partito comunista: quando Luciano Lama venne cacciato dall’università,
il gruppo del Pci si alzò in piedi ad applaudirlo; e io venni applaudito perché
avevo fatto picchiare a sangue gli studenti che avevano contestato Luciano
Lama». Sembrava che non gli dispiacesse affatto di scatenare una zuffa. Gli
eredi del Pci gli urlavano di tutto e di più, e lui: «Torniamo alle scazzottate
in aula, come ai miei tempi? Un pugno da Pajetta io l’ho preso, durante un
dibattito sul Vietnam», e guardando la Finocchiaro ha proseguito sorridendo: «Un
pugno dal capogruppo del Pd io lo gradirei: Pajetta però era più cattivo, non so
se lei sappia fare a pugni...».
Gianni Pennacchi (Il Giornale 30 ottobre 2008)
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