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«Volevamo sparare a Ezio Mauro»
E allora vai a cercare, per intervistarlo, uno scomparso da un quarto di
secolo. Patrizio Peci, ex brigatista, «il primo pentito» della storia d’Italia,
l’uomo che con le sue rivelazioni ha dato il colpo di grazia
all’«Organizzazione», che ha «sconfitto le Br». Lui, l’uomo che ha consegnato a
Dalla Chiesa l’organigramma della stella a cinque punte si era dissolto nel
nulla nel 1983, dopo quattro anni di carcere e un libro. Allora cercalo con le
stesse probabilità di trovare un ago in un pagliaio prova con i parenti e gli ex
amici, trova porte che ti si chiudono in faccia, avvitati nel nulla finché,
quando ogni speranza è svaporata, ti squilla il telefono. È un ufficiale dei
carabinieri che con voce cortese ti chiede: «Scusi, che vuole da Peci?».
Avrei dovuto dirgli subito la verità: volevo fare un suo libro sugli anni di
piombo, l’unico libro dell’unico brigatista che non ci avrebbe raccontato, sulla
più temibile organizzazione armata della storia del terrorismo, le solite verità
di comodo degli altri «ex»: autoassolutorie, autocelebrative, patinate come
ciottoli e palesemente false. E infatti questo dicemmo, io ed Enrico Racca -
capo editor di saggistica della casa editrice - all’ufficiale, nome in codice
«Creso». Una figura misteriosa che - avremmo scoperto - da venti lunghi anni
vigila su Peci. Parlammo a lungo: «Creso» fu prudente, aspettammo invano una
risposta, poi ce ne dimenticammo. Finché un giorno, il telefono squillò ancora.
Dopo altri tre mesi, una trattativa complessa, e persino un sopralluogo
dell’Arma nella sede che avrebbe ospitato l’incontro, Racca, Creso e chi scrive,
ci ritrovammo intorno a un tavolo rotondo. Di fronte a me un uomo di mezza età e
corporatura solida, che non posso descrivere meglio. Tranquillo, diretto: «Sono
Patrizio».
Aveva accettato. Non solo pubblicare un libro sul passato ma colmare i 25
anni di racconto che mancavano: come aveva salvato la pelle, che vita aveva
scelto, se avesse fatto la plastica facciale come gli consigliavano all’epoca;
cosa pensava oggi delle Br e in generale degli anni di piombo. La plastica, per
dire, non l’aveva fatta: «Tanto un uomo lo riconosci dallo sguardo», sorrideva.
Perché rischiare?: E lui: «A me la mia faccia mi piace così». Spavaldo? Ironico?
«Sono sopravvissuto, quando un’intera organizzazione voleva fargli la pelle -
aggiungeva - nello stesso modo in cui ero scappato ai poliziotti: con le regole
della clandestinità». Ci siamo visti per altre tre volte, con il tempo che
volava, intorno allo stesso tavolo. Altre volte il telefonino squillava da un
numero anonimo: «Sono Patrizio». Aveva qualcosa da aggiungere o integrare, al
manoscritto che cresceva. Peci oggi è un tipo molto schietto: se vuole ti dice
tutto. Se non gli va scuote il capo, e non c’è modo di farlo tornare indietro.
Per dire: dell’atroce assassinio di suo fratello - una rappresaglia contro lui -
parla poco, o non parla affatto. Per l’ex nemico, Dalla Chiesa, prova rispetto,
se non ammirazione. E i carabinieri che gli davano la caccia? «Oggi sono i miei
migliori amici». Si considera fortunato: «Sono uno dei pochi, di quelli presi
nella tenaglia della tragedia, che ha avuto una seconda possibilità».
Non è il tipo che ama indorare la pillola. Non ha reticenze, perché - come -
«uno che è latitante da un quarto di secolo ha tanti problemi, ma certo non
quello dell’immagine». Su una questione, l’ho tempestato: la tesi del suo
presunto «doppio arresto» (uno vero, e uno simulato) e sul corollario suggerito
dagli ex br. Quello di essere, in realtà, non un infame pentito, ma un
infamissimo infiltrato. Su questo (come solo sul suo lutto) Peci si fa
granitico. Ti ripete fino alla nausea: «Balla colossale». Ti spiazza persino:
«Fossi stato davvero un infiltrato con due palle così, e non un vero brigatista,
oggi non solo non avrei problemi: ne sarei persino orgoglioso!». E invece
spiega: «Ero uno che a 18 anni voleva cambiare il mondo con la pistola in pugno,
uno che ha fatto tante cazzate. Oggi mi sento solo uno sconfitto».
Certo, il suo racconto delle Br ti spiazza davvero: c’è la brigatista Nadia
Ponti che gira tette al vento per il covo, perché anche in clandestinità le
piace prendersi soddisfazioni con i compagni. C’è Renato Curcio che gioca a fare
il capo con la pancetta e due pistole infilate nella cintura, detesta essere
considerato grasso o anziano. C’è un compagno che non si lava, un altro che fa
la cresta sui rimborsi, c’è il contadino metropolitano Prospero Gallinari che
quando arrivano i 500 milioni del sequestro Costa ci fa il bagnetto come Paperon
de’ Paperoni. C’è la presunta guerrigliera Angela Vai - nome di battaglia
Mangusta, grilletto facile in azione. Le piace mettersi in mostra e comandare,
perché cova dentro di sé un rovinoso complesso di inferiorità. Quando gambizza,
Mangusta, lo fa con una ferocia che gela il sangue ai più incalliti br. Solo
Peci poteva disegnare un ritratto come questo: uno stupefacente almanacco di
umane miserie e sogni borghesisissimi, piccole-grandi debolezze di rivoluzionari
che prima giocano alla guerriglia, e poi sparano, con la facilità e la
spietatezza di chi è folgorato dalla luce vivida del fanatismo. Io l’infame,
dice di sé Peci.
«Infame» per gli ex compagni. Ma benemerito per chi, come noi, voleva che il
terrorismo fosse sconfitto.
Luca Telese (www.lucatelese.it, 19
ottobre 2008)
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