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Il mistero di Tobagi. Nascosta la carta che poteva salvarlo
27/09/2008 - Libero - Andrea Morigi  
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Il mistero di Tobagi. Nascosta la carta che poteva salvarlo
Un interessante e documentato articolo di Libero. Naturalmente, non ripreso da nessun altro giornale

A 28 anni dall'omicidio del giornalista del Corriere spunta un'altra verità: Marco Barbone era sorvegliato

 

Milano - Il killer Marco Barbone era sorvegliato dall'Antiterrorismo dal 5 giugno 1980, cioè una settimana dopo l'omicidio del giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi. Lo afferma un appunto riservato consegnato dal generale Nicolò Bozzo al tribunale di Monza il 16 gennaio 2008.

Ma la ricostruzione non collima con numerosi altri elementi emersi durante le indagini e nel corso del processo.

ERA STATO AVVISATO
Durante i processi per diffamazione al giornalista Renzo Magosso e all'ex vicebrigadiere dei carabinieri Dario Covolo, il generale Alessandro Ruffino, parte civile, aveva sostenuto che Tobagi era stato avvisato dai carabinieri di essere in pericolo. Ma l'"Iter delle indagini" che, secondo la deposizione di Bozzo, gli fu consegnato dal capitano Umberto Bonaventura nel 1984, e che non avrebbe mai dovuto vedere la luce, annota: «Il diretto interessato non fu informato per varie ragioni: sostanzialmente perché la notizia di fonte confidenziale non era direttamente a lui riferita in quanto il suo nome era stato fatto solo in via di ipotesi. Pertanto non lo si voleva allarmare ulteriormente, essendo noto che il Tobagi era stato già avvertito del ritrovamento sia della scheda in via Negroli, sia di quella nella valigetta».

In realtà un documento redatto il 13 dicembre 1979 dal brigadiere Covolo indica che «il gruppo sta operando in via Solari», esattamente dove abitava e dove è stato ucciso Tobagi. E, nel 1983, l'allora ministro dell'Interno del governo Craxi, Oscar Luigi Scalfaro, esibisce alla Camera dei Deputati proprio quel documento, di cui si negava addirittura l'esistenza. Mancano soltanto i nomi dei terroristi che però, secondo due deposizioni di Covolo, l'ultima del 22 settembre scorso, compaiono in una informativa successiva redatta da lui stesso nel gennaio 1980. Ma il generale Ruffino, allora capitano dell'antiterrorismo, nega di averla mai ricevuta. E allora, dove si trova attualmente l'informativa completa dei nomi? si chiede la deputata Elisabetta Zamparutti, parlamentare del Pd di area radicale, in un'interpellanza al presidente del Consiglio, al ministro della Giustizia e a quelli dell'Interno e della Difesa, per sapere se intendano «riscontrare i riferimenti espliciti e inequivocabili fatti da testi e imputati davanti al tribunale di Monza e - ad avviso dell'interpellante - colpevolmente trascurati, a partire dal contenuto delle informative secondo le quali si sarebbe saputo in anticipo di mesi i nomi dei terroristi che stavano progettando l'attentato a Tobagi e che poi effettivamente l'uccisero, per finire al contenuto del documento presentato dal generale Bozzo davanti al Tribunale di Monza nella udienza del 16 gennaio scorso secondo il quale gli sarebbero state date dai suoi superiori indicazioni per fornire, se interrogato dalla magistratura, la versione "concordata" sulle indagini».

LA GRAFIA DI BARBONE
Inoltre non quadrano con la versione proposta nell'"Iter delle indagini" nemmeno gli sviluppi successivi alla scoperta del covo del brigatista Corrado Alunni in via Negroli a Milano il 13 settembre 1978. Da uno dei 5mila documenti sequestrati, emerge un manoscritto di rivendicazione di una rapina a due vigili urbani con la grafia di Marco Barbone. Difficile pensare che qualcuno la conoscesse, se Barbone non era mai stato arrestato né sottoposto a indagini. Così come appare curioso che, tre giorni dopo il delitto Tobagi, i carabinieri abbiano pensato proprio a quel manoscritto. Eppure, malgrado vi fossero nell'area della Lombardia oltre 2mila terroristi conosciuti come pericolosi, sette giorni dopo il delitto Tobagi si decide di pedinare proprio Barbone. Soltanto lui. Tre giorni dopo parte la richiesta anche di intercettare il suo telefono. E, puntualmente, gli esperti calligrafici dei Carabinieri di Roma, nel giro di 20 giorni, fanno sapere che la calligrafia di Barbone è compatibile con il documento di via Negroli. Non si spiega nemmeno perché nell'appunto riservato di Bozzo, si raccomandi all'allora braccio destro di Dalla Chiesa di rispondere a «eventuali domande» dicendo che Barbone aveva confessato spontaneamente dopo l'arresto, «senza che su di lui vi fossero prove di alcun genere circa l'omicidio Tobagi». E gli si dice anche di specificare che lui ha accompagnato il generale Dalla Chiesa il 2 ottobre 1980, ma che ha presenziato solo saltuariamente al colloquio; già perché sempre nel documento si specifica che Dalla Chiesa aveva informato solo oralmente la magistratura di quell'incontro e solo dopo la confessione i magistrati andarono a ratificarla.

LA CONFESSIONE
Dall'appunto riservato esibito dal generale Bozzo in udienza si deducono in maniera evidente almeno due circostanze: non è vero che gli inquirenti non sapessero nulla della responsabilità di Barbone per l'omicidio Tobagi fino alla sua confessione. In secondo luogo, non è vero che fu fatta davanti ai magistrati, ma, informalmente al generale Dalla Chiesa.

C'è un ultimo particolare non coincide. E non è di scarso rilievo. Riguarda la "talpa" infiltrata nel partito armato. Durante tutti i processi Tobagi, è stato fatto notare che l'allora fonte Rocco Ricciardi aveva dato ben poche e non rilevanti notizie sul partito armato. E che dopo l'informativa del 13 dicembre 1979 non aveva praticamente più dato notizie. Lui stesso nel 1985, evidentemente ignorando il documento presentato da Bozzo, scrive in un suo memoriale dato alla magistratura di essersi limitato, sei mesi prima del delitto Tobagi, a ipotizzarlo, senza fornire altre notizie in seguito. Invece, nel 1984, con l'appunto riservato che doveva rimanere interno all'Arma dei Carabinieri, l'allora capitano Umberto Bonaventura raccomanda a Bozzo: «Pericoloso rivelare quale fosse l'O(rganizzazione) di cui la fonte parlava e pericoloso rispondere ad altre domande sul punto in quanto si correrebbe il rischio di rivelare indirettamente l'identità della fonte che è ancora attiva». Delle due l'una: o aveva smesso di collaborare già nel 1980 o nel 1984 era ancora un informatore. A questo punto, è d'obbligo che si accerti la verità, storica e giudiziaria.


Andrea Morigi  (Libero 27 settembre 2008)

 

       

 

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