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Terrorismo/ Omicidi a Padova del '74, Br devono risarcire vittime
Furono uccisi due attivisti Msi. Il figlio: soldi in
beneficenza
Roma, 5 set. (APCom) - Un rimborso milionario. 350mila euro per ogni parente
e familiare che si è costituito parte civile, rivalutati con interessi, dal 1974
ad oggi. E' questa la decisione del tribunale di Padova per la causa di
risarcimento del danno rispetto alle richieste delle famiglie di Giuseppe
Mazzola e Graziano Giralucci, assassinati il 17 giugno 1974 a Padova, nella sede
dell'Msi a Padova, da un commando delle Brigate rosse formato da Martino
Serafini, Francesco Pelli, Giorgio Semeria, Roberto Ognibene e Susanna Ronconi.
Nel '92 tutti furono condannati in via definitiva dalla Cassazione, insieme con
i capi storici Renato Curcio, Alberto Franceschini, e Mario Moretti, ritenuti
responsabili di concorso "morale" nel duplice omicidio.
Il giudizio - di cui ha dato notizia oggi il Gazzettino - potrà essere
portato appello ed è frutto della battaglia iniziata nel 2000, anche grazie
all'impegno di Piero Mazzola, avvocato e docente universitario all'ateneo
patavino. Il giorno dell'attentato aveva 28 anni. I terroristi entrarono in
azione alle 10 e 15 del mattino. Giuseppe Mazzola era un ex carabiniere che
arrotondava la pensione tenendo in ordine le carte della sezione. Non aveva la
tessera del Msi. Era monarchico. Le 50mila lire al mese che riceveva per quel
lavoro da pensionato gli servivano. Aveva quattro figli. "C'è il prima e il
dopo. In mezzo c'è quel mattino. Nulla è più come prima".
Il professor Mazzola, i soldi che gli sono stati dati dal giudice, non li
vuole. "Grondano sangue, lo ripeto. Li darò in beneficenza all'Arma dei
carabinieri". Il danno morale riconosciuto dai giudici è stato liquidato nella
misura massima, che tiene conto anche del cosiddetto danno esistenziale.
Giuditta Caccia e Bruna Vettorato non hanno più avuto il marito e Piero Mazzola
è stato privato della figura paterna, e ciò in circostanze che non possono non
aver lasciato un segno indelebile. Quanto a Silvia Giralucci, bimba piccola
all'epoca dei fatti, è stata del tutto privata non solo dell'affetto del padre e
della quotidiana relazione familiare, ma anche del suo ricordo.
"Per iniziare questa causa abbiamo atteso otto anni - ha aggiunto Piero
Mazzola - dopo la sentenza della Suprema corte. Aspettavamo un segnale, qualcuno
che si alzasse e dicesse perdono per quello che abbiamo fatto. Ma nulla è
continuata a prevalere la logica del mostro che uccide i testimoni e che vuole
andare oltre la legge. Gli accusati si sono difesi in tutti i modi. Si spiega
anche così la durata del procedimento. E se non hanno dimostrato alcun interesse
per la vita altrui, diverso invece è stato il discorso quando qualcuno ha
toccato il loro patrimonio".
Voglio dire grazie ai procuratori che hanno sostenuto l'accusa nei diversi
processi, da Pietro Calogero a Carmelo Luberto e Mario Milanese. Sono stati dei
magistrati che ci hanno riconciliato con la giustizia. Perché quello tra la
vittima di un reato e la legge è un rapporto difficile, spesso penoso. Chi è
parte lesa dà fastidio. Alla vittima interessa che lo Stato non l'abbandoni, che
non la tratti come un peso del quale preferisce liberarsi in fretta".
Il rapporto con la politica è invece sempre conflittuale. "Il presidente
emerito della Repubblica, Francesco Cossiga - ha continuato Piero Mazzola - deve
ancora chiedere scusa a mia madre, per la sua proposta di amnistia a Curcio,
fatta nel '91. Noi allora dicemmo di non voler esser più cittadini italiani.
Quella ferita ancora non è guarita".
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