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Dall'archivio privato del politico ucciso trenta anni fa dalle Brigate Rosse spuntano carte segrete con particolari inediti della sua attività di ministro degli Esteri
Aldo Moro era favorevole a vendere armi ai Paesi arabi amici non solo a
quelli più moderati, ma anche aerei e elicotteri da addestramento alla Libia di
Gheddafi. A trent'anni dal sequestro da parte delle Brigate Rosse, spuntano
dall'archivio privato di Moro alcune carte segrete che svelano particolari
inediti della sua attività di ministro degli Esteri nel periodo a cavallo fra
gli anni Sessanta e Settanta.
Nelle pagine ancora sconosciute della sua lunga attività di ministro degli
Esteri durata dal 1969 al 1974 durante la quale avviò la nuova fase
"mediterranea" della politica estera italiana, emerge, a sorpresa, un Moro
"consapevole - come ha osservato lo storico Agostino Giovagnoli - che il mercato
degli armamenti giocava in quegli anni un ruolo importante in politica estera".
Dietro quella sua aria "imperturbabile - così Gaetano Scardocchia lo
descriveva ai quei tempi - e quella espressione intensamente enigmatica che
aveva sempre uguale in tutti i suoi viaggi", il ministro degli Esteri Moro era
favorevole che l'Italia (che stava vivendo un periodo di crisi), fornisse
armamenti, seppur con "discrezione", soprattutto ai Paesi arabi produttori di
petrolio, compresa la Libia del colonnello Gheddafi. Nel tentativo di
ingraziarsi quei Paesi del mediterraneo, la ricerca di nuovi canali diplomatici
si fece intensa ed avventurosa.
La sintesi della politica estera di Aldo Moro a proposito della questione
araba è riassunta in un telegramma classificato segreto a firma Moro del 26
settembre 1969, spedito da Tunisi, alle ore 22, per il presidente del consiglio
Emilio Colombo e quello della Repubblica Giuseppe Saragat intitolato "posizone
Tunisia". Con estrema chiarezza, da quel documento inedito redatto durante la
sua visita a Bourghiba, emerge la svolta rispetto all'azione di Amintore Fanfani
agli Esteri durante gli anni del centro-sinistra, dal 1965 al 1968. Moro, da
poco insediato alla Farnesina, traccia le linee fondamentali della sua politica
estera che seguirà fino al '74, mantenendo l'Italia in equilibrio fra arabi e
Europa continentale da una parte, e inglesi e americani dall'altra.
"La nostra politica - enuncia Moro - proprio in quanto solo Paese che sia
stato sin qui in grado di conservare rapporti diplomatici con tutti i Paesi
arabi, è stata sempre quella di facilitare il ritorno degli occidentali negli
Stati da cui erano stati estromessi, e quindi auspichiamo una politica che
rafforzi la presenza dei nostri alleati". La politica, però, non basta. "Oggi
più che mai - prosegue Moro - si tratta di agire con discrezione puntando ogni
sforzo su metodi politici, economici, e comunque di apertura verso quelle
ragionevoli richieste di forniture anche militari, purché eseguite con
discrezione". Dalle armi, all'insofferenza verso la politica anglo-americana.
Ancora Moro: "Noi abbiamo regolarmente, e di recente anche i francesi, fatto
toccare i porti tunisini da nostre unità navali, ma se vedremmo con favore
visite da parte di unità della Marina Turca, non potremmo non avere riserve di
fronte ad affacciarsi di unità britanniche e americane che, mentre sul momento
potrebbero dare soddisfazione a Bourghiba, non tarderebbero a rivelarsi un'arma
controproducente sostanziando i sospetti che Tripoli nutre nei confronti dei due
predetti Paesi".
Moro non esita, un anno dopo, il 6 settembre del 1970 (all'indomani della
presa del potere dei colonnelli in Libia del primo settembre del 1969), a
ricevere discretamente dal ministro della giustizia tunisino Bourghiba jr
"interessanti indicazioni" sulla situazione libica (fornendo una curiosa
interpretazione sulla cacciata della comunità italiana da parte di Gheddafi).
Ecco cosa annota Moro in un telegramma segreto diretto al capo dello Stato e al
premier: "L'esproprio e la cacciata della comunità italiana servono in parte
anche a coprire la ritirata ideologica di Gheddafi sul fronte della lotta a
Israele, oltre che a ribadire il carattere rivoluzionario del regime. I
Colonnelli han bisogno di gesti del genere (anche nel settore del petrolio, ove
si contenteranno per ora dell'aumento del prezzo), così come continueranno ad
avere bisogno di complotti, veri o falsi. A organizzare questi ultimi pensano i
servizi speciali egiziani".
È solo nel 1971, però, che Aldo Moro incontra per la prima volta il
presidente Gheddafi. Era il 5 maggio, un momento di particolare tensione fra i
due Paesi: a partire dall'annuncio del Colonnello libico del 21 luglio 1970,
furono espulsi 12 mila italiani in tre mesi: la reazione del governo di Roma fu
improntata ad un dialogo da cui, per motivi economici, politici e strategici,
non sembrava poter prescindere. Il faccia a faccia Moro-Gheddafi è riassunto in
un telex segreto spedito in Italia 5 giorni dopo, a firma Roberto Gaja,
segretario generale del ministero degli Affari esteri.
Alla domanda del Colonnello se, a parere degli italiani, "gli americani
possano esercitare pressione determinante", il ministro degli Esteri rispose che
"possono svolgere un'azione importante entro certi limiti, dovendo fronteggiare
nel Mediterraneo la presenza Sovietica". "Ad accenno libico a possibili
forniture italiane di armamenti", è stato risposto da Moro che "l'Italia è
sempre contraria per un principio generale della sua politica a simili
iniziative". "Non si è esclusa, però, fornitura mezzi di trasporto navale ed
aerei, in particolare elicotteri o aerei da addestramento".
Dal Nord Africa al Medio Oriente, Moro continua a tessere la sua strategia
diplomatica, mantenendosi sempre informato sul mercato internazionale delle
armi. Nel 1970 incontra lo Scià di Persia che gli confida di acquistare armi
dall'Unione Sovietica. Il curioso e inedito particolare è contenuto in un
telegramma riservato spedito alle due massime autorità italiane il 17 settembre.
In quel momento di grave crisi in Medio Oriente, "lo Scià - riferisce Moro - non
ha mancato muovere qualche critica agli Stati Uniti, per le passate incertezze,
e per il subitaneo accostamento all'Urss, la cui influenza vorrebbe
contraddittoriamente contenere ed estromettere. L'Iran (mi ha detto lo Scià),
pur restando fedele alle sue alleanze ed amicizie, è riuscito a migliorare e
equilibrare i suoi rapporti con l'Urss con cui ormai intrattiene relazioni
seguite nel campo economico e industriale e finanche in quello delle forniture
di armamenti".
Lo Scià - prosegue Moro - a proposito della necessità di una più stretta
cooperazione fra Europa e Iran - "ha rilevato che i progressisti arabi intendono
fare del petrolio, di cui hanno le più grandi riserve, la loro arma per
ricattare l'Occidente. Di fronte a questi dichiarati propositi, gli riuscivano
incomprensibili le esitazioni occidentali nel far leva sull'Iran sia aumentando
le importazioni di grezzo, sia rafforzandone l'economia".
Alberto Custodero - Repubblica - 09/08/2008
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