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Si rimuove, solitamente, un trauma, un'esperienza violenta della quale la
ragione non riesce, o non vuole, ricostruire la genesi e lo svolgimento perché
il dolore e lo sconvolgimento emotivo è tale da non consentire alla mente di
inserire il fatto all'interno del proprio universo di riferimenti, di idee,
insomma all'interno della propria visione della realtà.
Il processo di rimozione però non è privo di conseguenze nel prosieguo delle
esperienze e della storia di un individuo o di una nazione: può generare infatti
vistose falle nel tessuto connettivo della identità individuale o sociale che a
lungo andare non ne consentono la tenuta, la resistenza, la coesione di fronte
all'incalzare del nuovo, all'incedere lento o rapidissimo col quale il futuro si
presenta a reclamare risposte, a pretendere iniziative.
Giovanni Moro definisce "ricordi senza memoria" quelli relativi agli anni 70
e alla stagione, particolarmente lunga e corredata di strascichi ingombranti,
del terrorismo in Italia.( Giovanni Moro, Anni settanta, Einaudi, 2007).
La memoria, secondo lo stesso autore, è invece "la capacità di riprodurre
vicende ed esperienze nella mente, riconoscendole come tali e localizzandole
nello spazio e nel tempo"; è "dare un posto al ricordo e in questo modo farlo
diventare parte dell'identità".
La vicenda dei fratelli Peci e del terrorismo delle "brigate rosse" è tornata
ad interrogarci ieri sera nel corso del dibattito sul bellissimo documentario,
realizzato da Luigi Maria Perotti, sulla vicenda del rapimento e dell'assassinio
di Roberto Peci da parte dell'organizzazione terroristica citata.
Il dibattito, organizzato da Sinistra Democratica, hanno partecipato oltre
l'organizzatore Luca Spadoni, l'autore del film Luigi M. Perotti, il giornalista
di La7 Stefano Ferrante e un significativo seppure non numerosissimo gruppo di
cittadini.
Organizzare la serata, ci dice Luca Spadoni, non è stato semplice. Non si
registra una grande disponibilità dei testimoni a raccontare, a discutere, a far
"rivivere" quel tempo: forse neppure un grande interesse a che la città e tutte
le sue voci si confrontino su un fatto che è stato così doloroso per tutti.
Stessa reticenza rileva Stefano Ferrante, che sta compiendo ricerche, a livello
nazionale, in vista della pubblicazione di un libro sulle vicende e i gruppi
politici degli anni della contestazione.
Il documentario, realizzato da un autore che all'epoca era un bambino, ha il
pregio di una chiarezza e di una linearità nello sviluppo del racconto che
pongono l'accento sul dramma familiare e sulla solitudine in cui i parenti sono
stati lasciati nel corso della tragica esperienza, e lascia invece sullo sfondo
il tempo e lo spazio della vicenda e le loro connotazioni storico politiche.
Roberto Peci venne rapito dalle brigate rosse a S. Benedetto del Tronto nel
giugno del 1981. Tenuto prigioniero probabilmente a Roma, fu oggetto di un
processo le cui fasi, forse con l'intento crudelmente "educativo" che
caratterizza una fase di crisi dell'organizzazione terroristica, ormai priva di
agganci con la realtà sociale e politica e decimata dal fenomeno dei pentiti,
vennero, anche nel momento della esecuzione, filmate e diffuse.
L'accusa, confermata nel processo e sancita dalla condanna a morte, quella di
aver partecipato alle fasi relative al pentimento del fratello, in particolare
alla vicenda, negata dallo stesso Patrizio Peci, del doppio arresto che avrebbe
consentito al brigatista di rimanere all'interno dell'organizzazione come spia
delle forze dell'ordine fino all'arresto definitivo. Inutile a salvare Roberto
la conferenza stampa che la moglie e la sorella Ida tengono a Roma confermando
la teoria del doppio arresto; inutili i tentativi di farsi ricevere dai
rappresentanti delle istituzioni. La stampa tace sulla vicenda, salvo rare
eccezioni. La famiglia si trova circondata dal gelo senza speranza di una
crudele linea della fermezza fino all'epilogo degno di una tragedia
shakeaspiriana.
Gli interventi che si sono poi succeduti durante la serata danno la
dimensione di come gli "spezzoni" di ognuno, tra ricordo, analisi, emozioni, non
trovano il modo di combaciare gli uni con gli altri per offrire un quadro
coerente delle innumerevoli situazioni, condizioni, zone d'ombra, interrogativi
che potrebbero contribuire a definire le vicende di quel tempo e la morte di
Roberto Peci.
Emerge il peso della storia precedente e i discorsi toccano temi che sarebbe
necessario approfondire (ma non è la sede per farlo): il ruolo delle
istituzioni, dei maggiori partiti che allora rappresentavano la politica
italiana, dei sindacati, delle organizzazioni politiche della sinistra estrema,
il tema alla violenza politica, il mito della rivoluzione. Infine i lati oscuri,
le strumentalizzazioni, i silenzi, definiti "misteri" che non verranno
probabilmente mai chiariti.
Ma la fatica della memoria è un compito che non possiamo sfuggire: ognuno di
noi, ma soprattutto le leadership culturali e politiche, gli intellettuali, gli
storici, hanno, come dice Giovanni Moro "una speciale responsabilità in merito":
varrebbe davvero la pena di "aprire una discussione seria, non strumentale e
documentata, che ci porti a smentire ..dichiarazioni di impotenza e a
riconquistare alla coscienza collettiva un periodo cruciale della nostra storia,
con tutte le sue speranze e le sue tempeste" (Giovanni Moro "Anni settanta"
Einaudi).
Maria Teresa Rosini - Il Quotidiano di Ascoli Piceno - 31/08/2008
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