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Il «lodo Moro», l’accordo che prevedeva libertà di movimento per i terroristi
palestinesi in Italia in cambio di un occhio di riguardo per la sicurezza del
nostro Paese da parte dell’Olp, «a questo punto rappresenta una certezza per la
nostra politica estera sempre molto attenta all’interesse nazionale, che ci
poneva ai limiti estremi dell’ortodossia atlantica». L’avvocato Giovanni
Pellegrino (Pd), già presidente della commissione Stragi e ora alla guida della
Provincia di Lecce, non ha perso il gusto dell’analisi storica e per questo
aggiunge un tassello in più rispetto a quello che Bassam Abu Sharif, ex
«ministro degli Esteri» del Fronte popolare per la liberazione della Palestina,
ha rivelato nell’intervista a Davide Frattini pubblicata ieri sul Corriere della
Sera.
Spiega Pellegrino: «Moro ne accenna in una lettera all’ambasciatore Cottafavi
del 22 aprile del ’78, durante la sua prigionia: "Noi con i palestinesi ci
regoliamo in altro modo...". E commentando questa lettera, da ultimo, Miguel
Gotor (autore del saggio «Lettere dalla prigionia», Einaudi, ndr) ha individuato
la genesi del «lodo Moro» nell’ottobre del ’73, «l’anno della guerra del Kippur».
Pellegrino, poi, propone un incastro che spiegherebbe gli «effetti collaterali»
del lodo: «L’idea del giudice Mastelloni che indagò su Argo 16, anche se il
processo poi non lo ha confermato, era che vi fosse stata una ritorsione del
Mossad per punire l’Italia di avere fatto il patto con i palestinesi». Il legame
tra apparati italiani e palestinesi, dunque, era talmente consolidato che lo
stesso Moro spende questa carta quando si tratta di salvare la sua vita: «In una
delle lettere dalla prigionia Moro richiama l’esperienza di Giovannone (capo
centro del Sid a Beirut, ndr) dicendo che solo i palestinesi potevano fare da
intermediari con le Br. E, ora, Abu Sharif conferma».
Due anni dopo, il 2 agosto del 1980, la strage di Bologna (85 morti e 200
feriti) per la quale verranno condannati i terroristi neri Mambro, Fioravanti e
Ciavardini ma che è ancora oggetto di polemiche a causa della pista palestinese
secondo la quale uno o più terroristi mediorientali stavano trasportando una
bomba che poi sarebbe accidentalmente esplosa: «È una pista che fin dall’inizio
puzzava di marcio, anche se era doveroso percorrerla. Con la commissione, dopo
aver stabilito le modalità per interrogarlo, Carlos fu ambiguo e poi fece
saltare deliberatamente l’audizione».
Ammesso che nell’80 il «lodo Moro» fosse ancora efficace, perché i
palestinesi avrebbero dovuto trasportare valigie di esplosivo sui treni
italiani? «Dall’intervista ad Abu Sharif sembra che loro utilizzassero l’Italia
come fronte logistico, quindi può darsi anche per il transito degli esplosivi:
dalle notizie che avevamo noi, la pista palestinese descriveva un incidente e
non un attentato. E oggi Abu Sharif non esclude questo, ma lo attribuisce a un
trucco fatto da altri servizi per poi dare la responsabilità ai palestinesi»
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