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"QUANDO ERO MINISTRO DELL’INTERNO SAPEVO CHE MI
SPIAVANO”
Dal libro “Francesco Cossiga. L'uomo che non c'è": “Se le Br
avessero liberato Moro dopo le parole del Papa, il Pci e la Dc
sarebbero rimasti in braghe di tela. Ma non avevano lo spessore culturale”… |
1 – “L’UOMO CHE NON C’È”…
Che cosa succede se due outsiders, due intelletti geniali e incontrollabili, due
eretici senza vergogna nei loro rispettivi campi - la politica e il giornalismo
- si incontrano?
Che sorta di dialogo serrato, senza censure, politicamente al di là di ogni
categoria potrà mai venire fuori? Quello che segue è l'inizio della lunga
intervista che Claudio Sabelli Fioretti ha realizzato con
Francesco Cossiga, dal titolo "Francesco Cossiga.
L'uomo che non c'è" in uscita in libreria per i tipi della Aliberti editore.
Sotto il tritacarne Cossiga-Sabelli passano ottant'anni di vita privata e
un buon mezzo secolo di storia. L'infanzia in Sardegna; il rapporto con il
cugino Enrico Berlinguer; la vicenda Gladio e il golpe De Lorenzo, Licio Gelli e
piduismi vari, le Brigate Rosse e il caso Moro, Tangentopoli, Berlusconi
e le sue donne...
Presidente, lei è matto?
Chiariamo una cosa. Era matto anche Erasmo da Rotterdam. Era matto anche Tommaso
Moro che tutti credevano stesse scherzando e per rimanere fedele alla
Chiesa cattolica si è fatto tagliare la testa dopo aver raggiunto l'apice del
cursus honorum di un cittadino inglese dell'epoca.
Rifaccio la domanda e lasciamo perdere Erasmo. Lei è matto?
La follia è un ingrediente necessario dell'intelligenza. Così come bisogna
distinguere tra colti ed eruditi, gli eruditi sono quelli che hanno letto molto,
i colti sono quelli che hanno letto e hanno dimenticato quello che hanno letto
mantenendo il concetto e soprattutto il senso universale...
Presidente, risponda, lei è matto?
Io sono evoluto. Io soffro e ho sofferto di depressione. Vuole che le faccia un
elenco dei grandi depressi della storia? Churchill, Roosevelt, Newton, Kafka,
Dostojevskij...
(...) quand'è che si è cominciato a dire che lei era matto?
Vuole sapere l'origine storica? Quando ero Ministro dell'Interno sono stato
messo subito sotto controllo telefonico, fisico e ambientale dal servizio
segreto militare. Volevano sapere cosa si facesse all'interno del ministero
dell'Interno. E poi siccome ero cugino di Enrico Berlinguer, mi consideravano
abbastanza pericoloso. Poi sono diventato presidente del Senato e si è capito
che ero sulla via per diventare presidente della Repubblica...
Ma lei come sa che la spiavano?
Hanno fatto in modo di farmelo sapere. MI spiarono anche quando decisi di andare
in Romania, rompendo la convenzione che vietava ai ministri dell'Interno e della
Difesa di andare oltre la cortina di ferro.
(...) La sua vera opinione sul caso Mele?
Le faccio una domanda. Quella notte quanti deputati e senatori facevano
orgette?
Quanti?
Un po', ma non cretini come il povero Mele che va a fare l'orgetta al Flora. E
che invece di chiamare un taxi e portare questa ragazza in una clinica di lusso,
lasciare dieci milioni e dire "Curatela voi, ha un disturbo gastrico", chiama il
118, arriva la polizia e lui stesso dice: "Temo che sia la droga" e la manda al
San Giacomo".
2 – “SUL CASO MORO LA DC ERA PRONTA A TRATTARE”…
Da “Il Giornale”, un altro estratto del libro “Francesco
Cossiga. L'uomo che non c'è”
È ora di parlare dell’assassinio di Moro, l’avvenimento tragico
che ha segnato di più la sua vita. Aldo Moro scrisse: «Il mio
sangue ricadrà su di voi». Ricorda? Era una maledizione o una preveggenza?
«Tutti dicevamo leggendo le sue lettere: è lui o non è lui? Io ho detto,
sbagliando, che non era lui. E me ne pento. Era lui. Era lui e aveva capito come
stava andando a finire. Quella frase non era una maledizione, perché lui era
profondamente cristiano e non malediva nessuno. Era una preveggenza».
È pentito?
«Sicuramente».
Quand’è che si è convinto a dire che si era sbagliato?
«Tre o quattro anni dopo».
Se avessero rapito Cossiga, Moro sarebbe stato per la
trattativa?
«Assolutamente sì».
Che cosa succedeva quando arrivavano le lettere di Moro?
«La prima lettera era indirizzata a me e mi fu portata da Rana. Lui mi disse che
gli avevano telefonato i brigatisti che gli avevano indicato il luogo di
ritrovamento. Ma io sono convinto che fin da quel momento era iniziata
l’attività di un personaggio al quale noi non avevamo pensato.
Noi avevamo messo sotto controllo tutti i telefoni possibili, amici, parenti,
tutti. Ci sfuggì il viceparroco don Antonello Mennini, figlio del vicedirettore
generale dello IOR. Io credo che le Br gli abbiano permesso di recarsi nel covo
per incontrare e confessare Moro; almeno lo spero. Anche se Moro
non ne aveva certo bisogno!».
C’è una frase di Moro abbastanza singolare: «Se tu, Francesco,
potessi raggiungermi, e se io ti potessi parlare, ti convincerei». Sembra un
messaggio...
«E dice una cosa. Che io sono intelligente e bravo ma debbo essere guidato.
Perché sono plagiato da Enrico Berlinguer».
Moro cercava di stimolare il suo orgoglio... era un invito...
vieni...
«Ma mi sembra impensabile che il ministro dell’Interno potesse entrare
in un covo delle Br».
Moro ha scritto tante lettere...
«Scrisse due lettere anche a una sua studentessa dell’alta borghesia che si era
innamorata di lui. In un primo tempo le nascosero. Sono saltate fuori dopo. La
famiglia ha fatto una cosa miserevole: un comunicato Ansa per dire che questa
ragazza non c’entrava niente. Io ero furibondo... questa povera ragazza che gli
aveva voluto bene e con la quale non c’era stato nulla. Lei gli aveva spesso
messo a disposizione il salotto di casa sua dove lui faceva la cosa che gli
piaceva di più: incontrare gli studenti».
In questa lettera che cosa le diceva?
«La salutava, la ringraziava per l’affetto che aveva avuto per lui».
Qual è stata la cosa che l’ha convinta che don Antonello aveva visto
Moro?
«La serenità con cui si sentiva che ha affrontato la morte. Era la
serenità di uno che si era confessato, che era a posto con Dio. E poi c’è quel
problema della borsa, delle carte che lui ha chiesto: qualcuno deve avergliele
portate. Il giorno dopo che Moro fu ucciso Don Mennini, il prete, da
sacerdote diocesano è entrato, di autorità, nella carriera diplomatica. Ed è
stato fatto partire segretamente per la nunziatura del Congo. Adesso è vescovo».
E anche il fatto che Moro sapesse che Misasi non era sulla linea
della fermezza...
«Misasi aveva esposto i suoi dubbi a non più di quattro di noi. Qualcuno di
questi quattro lo disse alla famiglia. Ma come fece la famiglia a farlo sapere a
Moro?».
Altri indizi?
«Una delle figlie andò da un amico magistrato a chiedergli se fosse disposto a
fare l’avvocato difensore di Moro nel processo che le Br gli stavano
facendo. Il magistrato si disse disposto ma avvertì subito i carabinieri. Si
salvò così dai guai che poteva passare».
Quante volte ha letto le lettere?
«Le so a memoria».
Sapeva che lo avrebbero ucciso?
«Io ero uno dei pochi che capiva che la linea della fermezza avrebbe portato
alla sua uccisione. Io da giovane ho letto tutto o quasi Lenin, tutto o quasi
Stalin. Le Br erano composte da giacobini-leninisti fuori dalla storia. Io
sapevo che loro dovevano essere implacabili. Per loro era assolutamente logico
prendere, condannare e ammazzare Moro.
Quando io sono andato a trovare Gallinari in carcere, la prima cosa che mi ha
detto fu: “Chiariamo una cosa, io sono stato, sono, e rimarrò sempre comunista e
lei per me rimane sempre il ministro dell’Interno”. Mi disse anche: “Io sono un
operaio figlio di contadini, autodidatta, io non sono come quei compagni colti
che lei ha incontrato”. Intendeva dire Curcio, evidentemente».
E lei che cosa gli ha detto?
«Gli ho detto che non avevano capito nulla. Non avevano innanzitutto capito che
avevano vinto alla grande. Sarebbe bastato che aspettassero qualche ora. Il
consiglio nazionale della Dc avrebbe dato il via alle trattative. Io ne ero
tanto certo che giravo con la lettera di dimissioni in tasca perché il ministro
dell’Interno dell’intransigenza non poteva essere il ministro della trattativa.
E gli dissi anche che avevano sbagliato a non approfittare dell’appello del
Papa. Se lo avessero liberato dopo le parole del Papa, il Pci e la Dc sarebbero
rimasti in braghe di tela. Ma loro non avevano lo spessore culturale per gestire
politicamente un evento di questo genere».
Che cos’altro le ha detto Gallinari?
«Mi ha detto: “Molta gente ormai sapeva dove eravamo, se si fosse avvalso dei
vigili urbani invece che dei commando della marina ci avrebbe scoperto”».
Le ha detto che eravate arrivati vicino?
«Me l’ha fatto capire».
La Dc non tratta per Moro ma tratta per Cirillo... perché questa
doppia morale?
«La vera morale della Dc era quella di Cirillo: si tratta».
E allora perché non si trattò?
«Perché fummo determinanti Andreotti, io, Donat Cattin e Berlinguer. In caso di
trattativa Berlinguer avrebbe fatto saltare il governo in due minuti».
Dagospia 04 Dicembre 2007
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