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La Commissione bicamerale: «Mandato per approfondire le
piste di ‘ndrangheta e camorra»
Il 24 marzo il presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sulla
morte di Aldo Moro, Giuseppe Fioroni (Pd), nel trovarsi di fronte il capo della
Procura di Tivoli, Luigi De Ficchy (che aveva istruito il processo Moro
quinquies), è chiaro nel presentare l’audizione: l’area di interesse è il ruolo
(eventuale) avuto da personaggi di matrice ’ndranghetista durante i giorni del
sequestro di Moro e il flusso di informazioni proveniente da questi ambienti
verso Benito Cazora, ex deputato della Democrazia Cristiana.
Agli atti della Commissione stragi è conservato un appunto attribuito a
Cazora relativo a un appuntamento del 9 maggio 1978, giorno dell’uccisione di
Aldo Moro, tra quest’ultimo e funzionari di polizia. Secondo altre fonti
documentali, ricorda sempre Fioroni, Cazora avrebbe avuto contatti anche con il
questore di Roma Emanuele De Francesco (deceduto nel 2011) e con Domenico
Spinella ex prefetto in servizio al Viminale, ex capo della Digos.
La Commissione voleva dunque acquisire le informazioni che De Ficchy ebbe
modo di assumere su tali circostanze, considerato anche che le Commissioni
parlamentari non hanno mai ascoltato Benito Cazora (e non potranno più farlo
essendo deceduto nel 1999).
IL “PENTITO” DI DESTRA
De Ficchy comincia con il ricordare che un «pentito di destra» (che per la
cronaca si chiama Vincenzo Vinciguerra ma che non si sarebbe mai del tutto
pentito, come raccontano fonti diverse) fece delle dichiarazioni de relato sulla
conoscenza che aveva fatto in carcere con Rocco Varone, il quale gli raccontò in
carcere che si era incontrato con Benito Cazora, che gli aveva chiesto di
attivarsi per trovare la prigione dov’era ristretto Aldo Moro, pochi giorni dopo
il sequestro, per la precisione il 16 marzo. Il 10 aprile 1997 Cazora, a Perugia,
dinanzi alla Corte di assise dove si svolgeva il processo a carico dei presunti
autori dell’omicidio di Mino Pecorelli, riferendosi all’intervento della
’ndrangheta calabrese nelle ricerche della prigione brigatista dov’era rinchiuso
Aldo Moro nella primavera del 1978, affermò: «…tramite l’interessamento del
segretario di Aldo Moro, Sereno Freato, riuscimmo a far trasferire dal carcere
dell’Asinara a quello di Rebibbia un parente di Rocco (scoprimmo che era una
persona che faceva di cognome Varone ed era il fratello di Rocco)…. Mi portarono
sulla Cassia, all’altezza dell’incrocio con via Gradoli, e mi dissero: “Questa è
la zona calda”. Riportai l’informazione al questore di Roma, il quale però mi
telefonò riferendomi di aver fatto controllare “porta a porta” via Gradoli senza
trovare traccia del covo delle Br».
I FRATELLI VARONE
Il fratello di Rocco Varone era Salvatore Varone che aveva incontrato più
volte personaggi politici affermando: «…posso dare informazioni sul covo dove
nascondono Aldo Moro perché i calabresi a Roma sono 400.000 e possono
controllare il territorio».
Cazora venne interrogato da De Ficchy, perché Varone era morto e dunque in
mano alla magistratura restavano le dichiarazioni generiche del pentito di
destra su queste confidenze fatte in carcere da Varone, il quale si era
presentato a Cazora, secondo quello che lui dichiarò poi, come “Rocco il
calabrese”. Cazora aveva ricevuto una telefonata anonima da un calabrese
residente a Roma, che lo aveva invitato a un incontro al fine di incontrare una
persona che poteva fornire un contributo per il ritrovamento della prigione di
Aldo Moro. A proposito di quella «zona calda» sulla Cassia, con la quale Varone
avrebbe fatto intendere che in quella zona c’era probabilmente la prigione di
Moro, De Ficchy dice ai commissari che via Gradoli (presunta prigione dello
statista Dc) è proprio sulla Cassia, ma resta il punto interrogativo
sull’effettiva sosta di Moro in via Gradoli. «A noi risulta solamente in via
Montalcini – afferma infatti De Ficchy in Commissione – e non ci risulta
chiaramente da altre parti». Cazora racconta di questi incontri, di cui
riferisce al questore di Roma De Francesco, per cui queste notizie transitano
alla questura di Roma, tanto che anche nell’immediatezza dell’uccisione di Moro
girano per Roma e viene dunque attribuita, parola di De Ficchy, una certa
credibilità a questa situazione.
LA BANDA DELLA MAGLIANA E qual era il canale attraverso il quale si arrivava
a dare una certa credibilità? Sempre la Banda della Magliana, secondo il
procuratore di Tivoli. «Ho fatto tutti i processi che hanno riguardato la
Magliana – dirà infatti De Ficchy in audizione – e sono convinto tutt’oggi che
la Magliana controllasse alcuni quartieri di Roma militarmente. Se la prigione
di Moro è stata sempre in via Montalcini, la Magliana non poteva non sapere che
Moro fosse lì ristretto. È possibile, quindi, che questa informazione sia
passata anche ad ambienti calabresi vicini alla Magliana che, ovviamente,
avevano interesse ad avere dei vantaggi dall’aiuto che avrebbero fornito alle
Istituzioni». Il (presunto) pentito di destra racconta che Varone avrebbe
chiesto a Cazora di poter essere più libero rispetto al soggiorno obbligato al
quale era ristretto. Cazora non avrebbe fatto promesse ma ci sarebbe stata una
continuazione di questa collaborazione, anche se poi non ha portato a niente di
definito e di preciso.
I riscontri di quest’attività di Cazora vennero, in seguito, da una
telefonata che era stata intercettata nel 1978, in cui Cazora parla con Sereno
Freato, segretario di Moro.
A proposito della telefonata intercettata, Fioroni chiede se si facesse
riferimento alla presenza anche di un calabrese e De Ficchy risponde così:
«Questo è un altro grosso punto interrogativo. Io non so, francamente, quanto si
possa dare credito alla presenza di Antonio Nirta (detto “due nasi”, per
investigatori e inquirenti uomo di ‘ndrangheta, ndr) proprio a via Fani.
Francamente, io ho sempre creduto a una certa ottica. Queste presenze
raccontate, ma poco riscontrate, francamente mi hanno sempre lasciato un po’
indifferente. E’ difficile pensare a uno ’ndranghetista che si unisce alle
Brigate Rosse. Io non la vedevo così bene, almeno all’epoca, per quanto poi le
indagini abbiano talmente tanti aspetti, che effettivamente tutto può essere
successo. Io sto sempre alle questioni su cui trovo riscontro, altrimenti è
molto difficile, in un ambito di confidenti, collaboratori e pentiti, se non si
trovano i riscontri… Sono parole al vento che, secondo me, hanno sempre bisogno,
almeno da parte di un magistrato, che non fa né politica, né storia, di essere
riscontrate. Occorre andare avanti su quello che viene riscontrato». Gli stessi
concetti usati il 16 febbraio, sempre in audizione, dal Procuratore generale
facente funzioni presso la Corte di appello di Roma, Antonio Marini e il 24
febbraio da Franco Ionta, procuratore della Repubblica presso il tribunale di
Roma e già titolare dell’inchiesta su Gladio (si vedano link a fondo pagina).
DUBBI DA CHIARIRE
Di seguito De Ficchy non ricorda due circostanze fatte presenti da Fioroni:
1) che Cazora avesse dubbi che fossero state individuate tutte le utenze
telefoniche da cui le Br chiamavano e 2) dell’incontro a Ponte Flaminio del 9
maggio 1978 tra Cazora e alcuni esponenti delle forze dell’ordine.
«Le dico questo perché, leggendo le carte – afferma Fioroni – appare che
Cazora sostiene di aver avuto contatti con De Francesco in maniera quasi
sporadica in relazione al 9 maggio, mentre Spinella fa un riferimento preciso,
con un appunto del 1978, a incontri sistematici con il questore. Cazora era un
altro di coloro che telefonarono alla parrocchia di Moro. Parlando con il
parroco, gli parlò di un malavitoso calabrese, Rocco Scriva». Ma De Ficchy è
fermo sul punto: «A me non disse niente su questo, presidente. Non lo posso
escludere, ma non mi pare proprio che parlammo di questo. Io ero molto
focalizzato su questa collaborazione di Rocco Varone e sulle attività che erano
state fatte in proposito».
Alla fine dell’audizione, comunque, Fioroni sarà molto risoluto: «Credo che
possiamo decidere, senza andare in Ufficio di Presidenza, di dare delega al
dottor Donadio (Gianfranco Donadio, il pm consulente, ex procuratore della
Direzione nazionale antimafia, ndr) di seguire anche, oltre alla vicenda di
Nirta e di tutti gli altri elementi della ’ndrangheta, anche le piste, che a me
colpiscono molto, di Selis e della banda della Magliana, di Cutolo e della
mafia, in relazione a quanto ci ha riferito il dottor De Ficchy circa la mancata
reperibilità di coloro che erano interessati per la ricerca di Moro».
La pista camorrista (e di Cosa nostra) la analizzerò meglio nell’articolo di
domani al quale do appuntamento.
Roberto Galullo (29 aprile 2014, Il Sole24ore)
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