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I viaggi in Jugoslavia durante il sequestro Moro
Il capo della procura antimafia dopo lo sfogo dell'ex camorrista
al 41bis: "Quel regime è corretto. Fu lui a decidere di non parlare più"
Nel pregresso intervento, dal titolo: “Quali legami tra la strategia della
tensione e la questione Jugoslava? Dal caso Moro a Bologna”, ponevo una
riflessione complessiva, offrendo una prospettiva diversa su quel periodo buio
ed ancora per diversi aspetti coperto da tanti misteri, quale quello della
strategia della tensione, incentrando l'attenzione in particolar modo sui
rapporti tra Italia e Jugoslavia con uno sguardo importante alla questione del
Trattato di Osimo.
D'altronde l'Italia, ad esempio, nella Prima Guerra Mondiale, ha rotto lo
stato di neutralità e mandato al macello più di 500 mila persone, anche e
soprattutto per quelle terre che ancora oggi vengono contese. E non dovrebbe
stupire il fatto che parte della strategia della tensione possa essere stata
funzionale all'esercizio di interferenze o pressioni anche per la risoluzione
della questione dei confini e per quelle terre, quale Istria, Dalmazia e Fiume e
non solo. E come ho scritto nell'intervento citato, Moro è stato uno dei
protagonisti per la soluzione dei problemi con i confini che sfocerà poi nel
controverso Trattato di Osimo del '75 ratificato dall'Italia il 14 marzo del '77
con la Legge n. 73/77 ed ebbe effetto con l'11 ottobre dello stesso anno.
La lettura del libro zona Franca di Alessandro Forlani offrirà, in tal senso,
diversi spunti di riflessione, specialmente per i documenti indicati. Ciò perché
uno degli aspetti che ancora oggi attendono di essere chiariti in modo
definitivo è quello relativo ai viaggi effettuati in Jugoslavia, la così detta
pista Jugoslava, durante il sequestro di Moro.
Sereno Freato, uno dei principali collaboratori di Moro, si recò da Tito con
l'aereo messo a disposizione da Berlusconi. Questo è quanto risulta da una
notizia Ansa 7 maggio del 2008. Nella quale si può leggere che: “Ci sono diverse
tracce che accreditano la pista jugoslava, voluta e ricercata dalla famiglia
Moro grazie ai buoni rapporti che intercorrevano tra il presidente della Dc e il
maresciallo Tito. Un elemento, rivelato dal segretario di Aldo Moro, Sereno
Freato, nel 2004 in una intervista a «Il Giornale di Brescia» contribuisce a
definire i contorni di questo tentativo in extremis di scambiare Aldo Moro con i
capi della Raf che erano in Jugoslavia. Sereno Freato si recò a Belgrado per
incontrare Tito utilizzando l'aereo di un imprenditore: Silvio Berlusconi. «Ho
il rimorso di non aver fatto abbastanza. Mi ricordo tutto», ha raccontato Freato
in quella intervista. «La signora Noretta che voleva vedere Berlinguer, lui che
nicchiava e poi ci andò. La signora Moro era preoccupata, voleva dirgli che la
prossima volta sarebbe accaduto a lui quanto era accaduto al marito. Mi ricordo
ancora, di aver sentito per la prima volta il nome di Berlusconi proprio in quei
giorni... Ad un certo momento qualcuno consigliò di contattare il presidente
della Jugoslavia, il leader della Libia Gheddafi. Serviva un aereo privato. Lo
imprestò un certo Berlusconi. Volai dal presidente Tito con l'aereo di
Berlusconi...».
La pista jugoslava è citata anche nella relazione di maggioranza della
commissione Moro. Ufficialmente ad indurre Tito ad interessarsi della questione,
quando era passato poco meno di un mese dall'agguato di via Fani, fu il
direttore generale del ministero dell'Industria, Eugenio Carbone, che aveva
partecipato fin dall'inizio ai negoziati per la controversia di frontiera tra
Italia e Jugoslavia chiusa nel '75 con il trattato di Osimo”.
Ed infatti, per quello che risulta oggi, il primo ad essere stato inviato in
Jugoslavia era stato proprio Eugenio Carbone, su mandato di Andreotti. In una
intervista, che cadeva nel 35° anniversario degli accordi di Osimo, l’allora
mediatore segreto da parte jugoslavo/slovena Boris Šnuderl ricorda,a proposito
di Carbone (direttore generale al Ministero dell’Industria, dell’Artigianato e
del Commercio della Repubblica Italiana nonché anche membro della P2) “che
sarebbe stato a stretto contatto con i servizi segreti americani”. Ed a
proposito di Moro che “Moro in Italia è stato l’autore dell’accordo con la
sinistra, che portò il Partito Comunista Italiano nella coalizione di governo,
per questo aveva molti nemici, sia in patria sia all'estero e sopratutto negli
Stati Uniti.
Il prezzo politico per la soluzione del problema con la Jugoslavia lo avrebbe
senza dubbio ostacolato, poiché i suoi oppositori politici avrebbero sfruttato
l’occasione, per rimproverargli troppa debolezza nei confronti del blocco
socialista e con ciò avrebbero ostacolato notevolmente la realizzazione del
compromesso storico, che purtroppo alla fine gli costò la vita”.
Parole, dette da un protagonista degli accordi di Osimo, che certamente
meriterebbero una particolare attenzione, anche alla luce di quello che poi
accadrà a Moro ed in Italia con la strategia della tensione in quel periodo.
Così come significativo sarà il viaggio, sempre in Jugoslavia,
dell'Ammiraglio Martini, nominato anche socio onorario dell'associazione
italiana stay behind nel '90 scriverà questa lettera: “Per ordine del Governo la
struttura S/B è stata sciolta in data 27 novembre 1990. Pertanto alla ricezione
della presente la S.V. deve considerarsi sciolta da ogni vincolo connesso con la
predetta struttura. Viene quindi a cessare ogni forma di riservatezza. Il
Servizio lq ringrazia per la consapevole disponibilità offerta nella possibile
prospettiva di un compito legittimo e generoso nella malaugurata evenienza di
una occupazione militare dell 'Italia. E' con questi sentimenti che Le invio il
mio grazie ed i mie; più cordiali saluti”. E' stato direttore del SISMI,
ammiraglio di squadra, consulente del Presidente del Consiglio dei Ministri la
sicurezza dello Stato.
In merito alla vicenda Gladio, insieme a Inzerilli e Invernizzi, accusati
dalla Procura di Roma di aver mentito sulle vere finalità e sulla struttura
dell' organizzazione, soprattutto sui presunti legami fra i «gladiatori» e la
strage di Peteano del maggio ' 72, verrà assolto. Assoluzione che venne accolta
con un gran sollievo, riportando le parole di Martini di allora: «Il tempo ha
fatto giustizia ed è stato stabilito che non c' era alcun collegamento tra
Gladio e la strategia della tensione. "Stay Behind" esce pulita dal processo».
Nella Seduta del 6 ottobre del 1999, durante l'attività della commissione
d'inchiesta sul terrorismo in Italia, venne ascoltato Martini, il quale affermò
che “Personalmente con l’affare Moro non ho mai avuto a che fare. Quando è stato
rapito Moro ero capo delle operazioni del vecchio SID e mi occupavo di estero,
non dell’interno, per cui di Moro non me ne sono occupato. Ma poiché, nella
fattispecie, il capo delle operazioni estere era anche quello che teneva i
contatti con i servizi collegati, mi occupai stranamente di un episodio, diciamo
marginale, allorché il presidente Tito scrisse al presidente Pertini dicendo di
avere tra le mani tre persone della Bader Meinhof che avevano avuto contatti con
le Brigate Rosse, precisando di inviare qualcuno che se il fatto fosse ritenuto
interessante. Hanno preso me e mi hanno inviato in Iugoslavia, ma quando sono
arrivato, mentre stavamo discutendo le modalità dell’interrogatorio, è entrata
una persona dicendo che avevano trovato Moro morto nella nota Renault rossa. La
mia missione finì. Non mi sono mai poi occupato di Moro, quindi sono diventato
capo del controspionaggio...”.
Delle notizie Ansa, del giorno 8 maggio 2008 rileveranno, che “il dirigente
dell'ufficio RS che curava i rapporti internazionali, di fatto il numero due del
Sismi - si alzò molto presto. Alle 4 di mattina partì da solo, non armato, con
la propria macchina da Venezia: destinazione la Jugoslavia. A cavallo fra aprile
e maggio era maturata, anche su sollecitazione iniziale della famiglia Moro, la
pista jugoslava per la liberazione dello statista Dc sequestrato dalle Br il 16
marzo. Aveva il suo cardine nel maresciallo Tito e sulla sua possibilità di
essere ‘cerniera’ tra Est ed Ovest (oltrechè punto di passaggio di molti gruppi
terroristici all'epoca) e di cui parlano ampiamente la relazione finale della
commissione Moro, Giulio Andreotti e la stessa famiglia Moro.
«Alle 12 - ha rivelato Martini anni fa, rispondendo ad una richiesta di
notizie per un libro sulla vicenda Moro - qualcuno mi fermò dietro un muro: era
un uomo del servizio segreto militare. Il mio compito, quel giorno, era andare a
prelevare i 3 della Raf che erano in mano a Tito, due uomini e una donna. Uomini
della Raf che dissero di aver avuto rapporti con le Br a Milano. Mi portarono a
Porto Rose e cominciammo a discutere. Gli jugoslavi avevano ipotizzato di
scambiarli con i tedeschi chiedendo in cambio dei terroristi ustascia che erano
stati arrestati a Bonn dopo un omicidio. Alle 16 arrivò la notizia del
ritrovamento del cadavere di Moro, proprio mentre stavamo per discutere della
situazione e delle notizie che avevamo raccolto. Chiamai Roma e mi dissero di
rientrare subito». Una vicenda, quella della pista jugoslava e dei terroristi
della Raf in mano a Tito, mai chiarita e che è ai margini della ricostruzione
ufficiale del caso Moro anche se i riferimenti non mancano. Cossiga, ad esempio,
ha detto più volte che il Sismi agì da solo, senza informarlo. Quei terroristi
della Raf venivano da Milano ed avevano avuti contatti proprio con i Br che si
opponevano alla morte di Moro. Il 6 maggio 1978 fonti diplomatiche jugoslave
rivelano che sono state arrestate ed espulse dalla Jugoslavia 3 tedesche che
hanno gli stessi cognomi della banda Baader-Meinhof. Le donne hanno dato le
generalità di Baader, Ensslin e Meinhof, morti suicidi nel carcere di Stammheim
nel 1979. Il 29 maggio la Germania chiede l'estradizione per 4 terroristi -
Brigitte Mohnhaupt, Rolf Clemens Wagner, Peter Boock e Sieglinde Hoffmann - che
secondo i tedeschi sono stati arrestati il 20 di maggio in Jugoslavia. I 4
rappresentano di fatto lo stato maggiore del gruppo terroristico tedesco, legato
a Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, ‘lo Sciacallo’, il terrorista
internazionale oggi in prigione francese. Il 30 maggio Belgrado conferma
l'arresto dei terroristi tedeschi che erano in Jugoslavia - si sostiene - per
organizzare un congresso della Raf. Il governo jugoslavo è disposto ad estradare
i 4 terroristi e chiede a sua volta l'estradizione dalla Repubblica Federale
Tedesca di 8 ustascia. Il 17 novembre 1978 la Jugoslavia rimette i 4 terroristi
in libertà e li espelle dal suo territorio”.
Il 9 luglio del 2008, sempre una notizia Ansa, riporterà che “Nell'intervista
alla RAI, che può essere riascoltata sul sito di Grparlamento, Mazzola spiega
che Carlos sa molte cose e anzitutto bisogna chiedersi, perché fa queste
affermazioni a 30 anni di distanza. «Devo dire però che, mentre dell'operazione
jugoslava (scambio di 4 terroristi della RAF per la libertà di Moro) e di quella
vaticana (pagamento di un riscatto) qualche sentore si era avuto, e quindi posso
dire che questa operazione, questo abbozzo di operazione c'era stato, di questa
operazione mediorientale non ho mai sentito parlare». Mazzola aggiunge poi che
il Colonnello Giovannone, con cui ha parlato molte volte, non gli ha mai fatto
cenno a fatti di questo genere; inoltre che Giovannone avesse il potere di far
evadere dei brigatisti è pura fantapolitica. «Posso però anche dire che Carlos
mescola, volutamente o non volutamente, visto che sono passati tanti anni,
storie che hanno credibilità (Jugoslavia) con cose che hanno credibilità molto
minore»”. Ed una notizia Ansa del giorno 8 maggio 2010 che “alcuni brigatisti
dovevano essere prelevati dalle carceri e portati in un Paese arabo,
probabilmente per scambiarli con i tre della Raf in mano a Tito.Oggi arrivano
nuove conferme dopo che l'esponente dell'Olp Assam Abu Sharif ha detto che la
trattativa venne improvvisamente interrotta dagli italiani, come sostiene anche
Carlos: «Avrei potuto salvare Moro. Nessuna imprudenza. Ho chiamato un numero,
ho lasciato un messaggio dopo l'altro. Nessuna risposta. Davvero strano: una
linea speciale e nessuno risponde...» ha detto al Corriere della sera nel 2008.
Intervistate da Alessandro Forlani per la rubrica Rai ‘Pagine in frequenza’ per
uno speciale di Gr Parlamento alcuni protagonisti lanciano la loro personale
‘bolla d'olio’ su quella ultima notte. Franco Mazzola, all'epoca sottosegretario
alla Difesa: «Il governo non poteva trattare, ma poi trattavano tutti: la Dc, il
Papa, la Caritas. Insomma, trattavano. È chiaro che se Tito si prestava ad
un'operazione come questa, lo faceva con l'accordo del governo italiano. Certo,
ne erano a conoscenza pochissime persone: diciamo Cossiga e Andreotti;
l'ammiraglio Martini il 9 maggio andava a chiudere l'operazione, ma quelli non
hanno aspettato». Umberto Giovine, allora direttore di Critica Sociale:
«L'ammiraglio Martini mi parlò un giorno di questa operazione svolta in
Jugoslavia; non mi meraviglia più di tanto che non vi faccia neppure cenno nel
suo libro di memorie, né che minimizzi in commissione Stragi: probabilmente si
sentiva sempre vincolato dal segreto”.
A parte il fatto che non si capisce se poi quelli della RAF, nel caso di
questa particolare forma di riscatto fossero tre o quattro, è certo che comunque
nel novembre del '78 vennero poi espulsi dal territorio Jugoslavo, così come
diverse incongruenze emergono tra le varie ricostruzioni, come riportate. Era
certamente quello un periodo turbolento e nebuloso, come è noto, dove, tra le
altre cose, doveva darsi luogo all'implementazione degli Accordi di Osimo, mi
domando viste anche le caratteristiche dei personaggi coinvolti in quella
“trattativa” con la Jugoslavia, era realmente la RAF la partita che avrebbe
dovuto determinare la liberazione di Moro, o vi era dell'altro con riferimento
ai rapporti tra Italia e Jugoslavia?
Marco Barone (10 marzo 2015, Repubblica)
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