|
Aldo Moro. Mons. Antonello Mennini parlerà, ma non aspettiamoci “rivelazioni”
Prevale lo scetticismo nel senatore Fornaro, segretario della
Commissione parlamentare che domani sentirà per l'ennesima volta la
testimonianza di monsignor Mennini, il confessore dello statista Dc che secondo
alcuni avrebbe fatto da tramite con le Br
ROMA – Non si capisce perché, ma c’è una recrudescenza del caso Moro, lo
statista democristiano sequestrato e ucciso dalle Brigate rosse il 9 maggio del
1978, dopo 55 giorni di prigionia. A 37 anni da quel tragico evento, per l’uomo
Aldo Moro, per la sua famiglia e per la Repubblica, vediamo gli uomini di legge
tornare a via Fani per nuovi rilievi scientifici. Semmai ci saranno resi noti
gli esiti, capiremo se si tratta di esibizionismo, perdita di tempo o
rivelazione del mistero. E non è finita qui.
Lunedi 9 marzo, la Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro
interrogherà monsignor Antonello Mennini, fino ad oggi protetto da immunità in
quanto ambasciatore (nunzio apostolico) del Vaticano a Londra. Papa Francesco ha
acconsentito alla deroga. I giornali si affrettano a leggere nel gesto del Papa
una voglia di verità, nel senso che finalmente l’arcivescovo alzerà il velo sul
suo ruolo (del tutto presunto) di mediatore fra le Brigate rosse e Papa Paolo
VI, lui Mennini che fu confessore dello statista ucciso e – secondo illazioni –
persino il prete (allora vice-parroco) che gli avrebbe impartito l’estrema
unzione. Tutto questo dire e rivelare si basa esclusivamente sulle parole di
Francesco Cossiga, che fu Presidente e Picconatore della Repubblica, morto nel
2010. Cossiga, che era ministro dell’Interno al tempo del sequestro di Aldo
Moro, in seguito non ebbe remore a indicare in Giulio Andreotti il mandante
dell’assassinio.
Cossiga, come si sa, lasciò la carica di ministro perché, anche
personalmente, segnato dalla tragedia di Moro, che era suo amico. Una ferita che
non si richiuse mai nella sua anima, neanche quando nel 1985 Ciriaco De Mita lo
fece eleggere al Quirinale al primo scrutinio. In tutti questi anni, voci e
insinuazioni sono scivolate senza mai fare “esplodere” il caso. I pistaioli
puntano le ultime fiches sull’audizione di lunedi, per arrivare finalmente a
capo del mistero. Puntata probabilmente destinata a essere incassata dal banco
del nulla. I pistaioli medesimi si aggrapperanno all’”allontanamento” di Mennini,
prima come nunzio a Istanbul e poi a Mosca, perché il Vaticano voleva tenerlo
lontano dal luogo del delitto.
Una bufala: l’arcivescovo, infatti, durante il Giubileo del 2000 era a Roma,
responsabile degli Affari italiani. Monsignor Mennini dirà (si accettano
scommesse) che lui, che era stato il suo confessore, mai entrò nel carcere delle
Br, mai incontrò Moro, mai diede l’estrema unzione allo statista. Perché fino ad
oggi non ha parlato? Chi conosce la famiglia Mennini sa della discrezione e
della fedeltà al Papa. Non è gente che chiacchiera sui giornali. Solida famiglia
della borghesia romana vicina al Vaticano. Il padre Luigi fu amministratore
delegato dello Ior, e undici figli: manager, magistrati, suore, preti. E poi il
primogenito Piergiorgio, morto l’estate scorsa a 75 anni, Provinciale dei
Gesuiti dell’India, dove era missionario da più di 40 anni; Antonello,
arcivescovo e ambasciatore oggi a Londra, che fu il primo inviato alla
riapertura della Nunziatura a Mosca. Perché Papa Bergoglio ha deciso di
acconsentire all’interrogatorio di Mennini sul caso Moro? Probabilmente, molto
probabilmente, per scrivere la parola fine su una “favola” propalata dalla
buonanima di Cossiga. Si può facilmente prevedere che il mistero di Moro resterà
tale e quale. Con buona pace dei cercatori di verità, in nome del vecchio
Picconatore.
Antonio Del Giudice (8 marzo 2015, Blitz Quotidiano)
|