|
Caso Moro, “nessun colpo di scena”
Prevale lo scetticismo nel senatore Fornaro, segretario della
Commissione parlamentare che domani sentirà per l'ennesima volta la
testimonianza di monsignor Mennini, il confessore dello statista Dc che secondo
alcuni avrebbe fatto da tramite con le Br
Per Francesco Cossiga, quel giovane prete “raggiunse Moro nel covo brigatista
e noi non lo scoprimmo”, lo avrebbe confessato e impartito l’estrema unzione.
Quel giovane prete, all’epoca dei tragici 55 giorni del sequestro del presidente
della Dc, aveva 31 anni, suo padre era il vice di monsignor Paul Marcinkus allo
Ior, custode di mille segreti e coperture che Papa Francesco sta spazzando via
in fretta, con provvedimenti impensabili e sorprendenti. Come sorprendente, per
certi versi, è la decisione del Vaticano (anche se pare tutto sia stato deciso
in Segreteria di Stato senza il diretto coinvolgimento di Bergoglio) di far
testimoniare, domani mattina, davanti alla Commissione di inchiesta sul
rapimento e sulla morte di Aldo Moro, il prelato che pur avendo già deposto, più
volte, in passato sia davanti ai magistrati, sia allo stesso organismo
parlamentare è stato nuovamente convocato. Don Antonello, come lo ricordava
Cossiga, oggi è monsignor Antonio Mennini, nunzio apostolico nel Regno Unito,
dopo aver ricoperto analogo incarico in molti altri Paesi. Subito dopo il
tragico epilogo della prigionia di Moro, il giovane viceparroco venne avviato
alla carriera diplomatica. Sempre lontano dall’Italia e dai uno dei misteri,
forse il più grande, che la continuano a segnare.
“Una deposizione su cui i media hanno creato un forte clima di attesa, che mi
auguro non vada delusa” commenta, il senatore Federico Fornaro (Pd), segretario
della Commissione. Traspare dalle parole del senatore piemontese un certo
scetticismo, o piuttosto la previsione che difficilmente ci sarà la rivelazione
che dovrebbe confermare quanto detto da Cossiga. Possibile che, trentasette anni
dopo, quasi in concomitanza con i giorni della strage di Via Fani e del
sequestro che ne seguì, monsignor Mennini riveli quel segreto custodito così a
lungo e racconti di quell’incontro, sempre smentito nelle precedenti
testimonianze rese? Fornaro affida a una smorfia i suoi dubbi. “Piuttosto mi
auguro che si possa sciogliere e chiarire un altro mistero, forse meno eclatante
ma non meno rilevante per ricostruire un pezzo della storia del nostro Paese –
spiega -. Ovvero comprendere compiutamente come abbia operato quel un canale di
ritorno di informazioni tra Moro prigioniero e ciò che stava fuori, le decisioni
della politica innanzitutto. Se, come pare, faceva capo al Vaticano questo
flusso di informazioni che arrivavano a Moro dall’esterno come lo confermano
alcuni passi delle sue lettere- forse l’alto prelato potrebbe chiarire molti dei
punti ancora oscuri, specie sulla presunta trattativa avviata dalla Santa Sede
con i brigatisti”.
CANALE SEGRETO - Don Mennini fece da tramite per la consegna di alcune
lettere di Moro indirizzate alla famiglia e ad altre persone, i suo contatto –
come rivelò – era Valerio Morucci celato dietro la falsa identità del professor
Nicolai. Lasciata Roma per le nunziature subito dopo il ritrovamento di Moro
sulla Renault rossa in via Caetani, il diplomatico vaticano era rimasto per
trentasette lunghi anni un nome dinanzi all’ennesimo mistero, l’ennesimo
segreto, per alcuni non del tutto svelato dalle deposizioni del sacerdote.
“Credo sarà importante ripercorrere con monsignor Mennini le varie fasi della
prigionia dello statista democristiano e cercare, con il suo aiuto, di chiarire
il più possibile il ruolo del Vaticano, i tentativi se vi sono stati, come
parrebbe, di avviare una trattativa diretta e parallela per arrivare alla
liberazione, mentre lo Stato teneva la linea della fermezza” aggiunge Fornaro. E
capire se è vero che Oltretevere si aveva la sensazione che quella trattativa
fosse arrivata pressoché al punto sperato, per poi “dover scoprire, nelle stesse
ore in cui si attendeva l’annuncio della liberazione, che Aldo Moro era stato
ucciso”.
In Commissione probabilmente verrà anche chiesto al diplomatico vaticano se
anch’egli ebbe la sensazione, o qualche cosa di più e più tangibile, che dopo il
finto comunicato del Lago della Duchessa (dov’era stato falsamente indicato il
luogo in cui trovare il corpo di Moro) e la scoperta, sempre il 18 aprile, del
covo di via Gradoli, “l’intera vicenda ebbe una torsione, con altri non pochi
lati oscuri e mai chiariti, come il mancato trasferimento dell’ostaggio in un
luogo più sicuro”. Giorni cruciali, quelli intorno al 20 aprile, in cui
s’intrecciano indagini in luoghi sbagliati, falsi comunicati, comitati di crisi
composti in gran parte da piduisti, servizi segreti dell’Est e dell’Ovest, ma
anche una parte della politica e degli apparati dello Stato “preoccupati – come
ipotizza il senatore dem – più per le carte di Moro che per la sua vita”. Giorni
in cui sarebbe entrato nel vivo il ruolo di don Mennini, dopo che un altro
contatto sarebbe stato “bruciato” dalle indagini della polizia.
LA FUGA DI CASIMIRRI - In questo coacervo si interessi, timori, angosce e
freddezze, qualche ruolo ha giocato la diplomazia (quella segretissima)
vaticana? Lo statista, di cui Mennini era stato allievo, avrebbe indicato
proprio in quei giorni definiti da Fornaro come quelli “in cui tuta la vicenda
subì torsioni forti e spesso oscure” ad indicare in lui a suoi sequestratori il
canale da utilizzare. Possibile ridurre la figura di don Antonello a viceparroco
di una chiesa vicino a piazza dei Giochi Delfici poco lontano dall’abitazione
dello statista, “senza ricordare che il padre del sacerdote – annota Fornaro –
era il numero due dello Ior e dicendo Ior si dicono molte cose”? Come un altro
legame “chissà mai se si riuscirà a svelare o smentire” che potrebbe vedere nel
contatto con la Santa Sede in ambito brigatista di Alessio Casimirri, il solo
del commando di via Fani ad essere riuscito a sfuggire. Casimirri è cresciuto
tra le mura leonine, il padre è stato per trent’anni potentissimo direttore
della sala stampa vaticana. Dopo il sequestro riesce a fuggire, altrettanto
miracolosamente riesce a riparare in Nicaragua paese che nega all’Italia
l’estradizione e verso il quale dall’Italia partono, forse più volte, uomini dei
servizi per tornare a mani vuote. Forse come previsto già prima di partire.
Ancora una volta il ruolo del Vaticano nel tentativo di salvare la vita a Moro
torna con tutto il suo peso di segreti. “Per questo la deposizione di monsignor
Mennini è molto importante, anche se non credo che ci saranno colpi di scena.
Ciò che disse Cossiga oggettivamente pare un po’ difficile da credere, se domani
il prelato ce lo confermasse , beh per la storia del nostro Paese sarebbe
qualcosa di difficile da definire con un semplice aggettivo… vedremo che cosa ci
dirà, ma stento a credere che monsignor Mennini possa dire ciò che ha
tassativamente escluso e smentito per tutti questi anni”. Certo, la sua resta
una testimonianza attesa, caricata di molte aspettative, anche per via di quel
rifiuto a tornare a deporre in Commissione opposto venti anni fa e motivato dal
fatto che egli non avrebbe avuto nulla da aggiungere rispetto a quanto detto sia
davanti ai magistrati, sia davanti alla prima commissione Moro. Evidentemente i
parlamentari hanno ritenuto fosse giunto il momento per riascoltarlo per porgli
altre domande.
L’HONDA - Domande, tante, ancora senza risposta. Come quelle sulla misteriosa
moto Honda in via Fani da cui, l’uomo sul sellino posteriore, avrebbe sparato
contro un giovane che passava su un motorino, Alessandro Marini. A riportare
all’attenzione, poco più di un anno fa, quell’episodio con nuove rilevazioni era
stato un ex ispettore della Digos di Torino, Enrico Rossi, che aveva indagato
sulla pista che riconduceva a uomini dei Servizi come coloro che erano a bordo
della Honda. Indagini che a detta dello stesso ispettore a un certo punto gli
sarebbe stato impedito di continuare, così come si evince dalla trascrizione
della sua audizione sempre in Commissione parlamentare di inchiesta. Per la
magistratura quello di Rossi è un caso chiuso. Ma proprio ieri l’altro
l’annuncio che la Procura generale presso la corte d'Appello di Roma torna a
indagare sulla presenza in via Fani di una moto Honda. Il gip di Roma ha accolto
la richiesta del pg Antonio Marini restituendo gli atti. Marini aveva presentato
al gip la richiesta di revoca del provvedimento di archiviazione, firmato tre
mesi fa dal predecessore Luigi Ciampoli. «Ci sono nuove emergenze processuali
che giustificano l'esigenza di approfondire un capitolo che rappresenta uno dei
misteri di via Fani. L'impossibilità di non essere riuscito a individuare i due
che erano a bordo mi ha tormentato per anni» ha spiegato Marini. Tornerà in
scena anche la misteriosa indagine del poliziotto torinese?
Stefano Rizzi (8 marzo 2015, Lo Spiffero)
|