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Caso Moro tra buone intenzioni e polpette avvelenate
La Commissione sta tentando di fare nuova buca dopo moltissimi
anni. Ecco cosa potrebbe fare.
Sono diversi e contraddittori gli input che hanno portato a una ripresa
dell'interesse sulle reali modalità del rapimento di Aldo Moro e della strage
degli uomini della sua scorta. Prima di tutto la consapevolezza diffusa che la
versione ufficiale dei fatti si basa su un accordo "politico" stipulato a suo
tempo fra la Dc e le Br, e che può essere riassunto così: silenzio in cambio di
indulto. In un lungo ping pong fra il vicedirettore del Popolo, Remigio Cavedon,
e il brigatista Morucci, visitato quasi quotidianamente in carcere da suor
Teresilla Barillà, fu messo a punto un testo nel quale si ammetteva quello che
già era stato scoperto, e si taceva quello che non si doveva dire. A poco a
poco, sulla base di successivi "aggiustamenti" per lo più contraddittori e
inattendibili, sia sul luogo in cui era tenuto prigioniero Moro, sia sulle
circostanze del suo omicidio, fu costruito un racconto dei fatti ben lontano
dalla verità. Ma i numerosi libri di ricercatori indipendenti che dimostravano
l'inattendibilità della versione ufficiale non facevano che gettare cattiva luce
sulle istituzioni, che sono state coinvolte fino in fondo nella costruzione di
quella verità fasulla. Al punto che, nel febbraio 2014, un libro del Pd ("Aldo
Moro: il Partito Democratico vuole la verità") rilancia la richiesta di nuove
indagini, e una successiva raccolta di firme a cura di senatori e di onorevoli
Pd chiede una nuova commissione parlamentare, istituita poi con la legge
82/2014, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 31 maggio 2014.
Ma la Camera ha appena votato per l'istituzione di una nuova Commissione
Moro, che, mentre il testo di legge è in discussione al Senato, il 24 marzo 2014
arriva un dispaccio ANSA firmato da Paolo Cucchiarelli, che muove le acque:
"Roma due uomini dei servizi segreti sulla moto Honda, presente in via Fani il
16 marzo 1978, mentre le Brigate Rosse rapivano Aldo Moro e massacravano la sua
scorta. Da quella moto partirono colpi di mitraglietta contro un testimone e fu
quella moto che bloccò il traffico; la confessione post mortem di qualcuno che
sapeva." Si tratta delle rivelazioni di Enrico Rossi, un ex ispettore di
polizia, al quale era stato affidato nel 2010 il compito di indagare su una
lettera anonima postuma nella quale un morto, chiamando in causa anche un
collega già defunto, sosteneva di essere stato agli ordini del colonnello
Guglielmi quella mattina in via Fani, e di essere stato lui il passeggero della
moto Honda che aveva sparato una raffica di mitra contro il testimone Alessandro
Marini. Rossi racconta di avere svolto indagini, e di avere scoperto che la
lettera anonima era stata scritta probabilmente da Antonio Fissore, nella cui
abitazione la Digos aveva trovato due pistole e alcuni giornali, fra i quali una
copia della Repubblica del 16 marzo 1978. Lo scoop dell'ANSA fa scalpore. Ma i
tre che avrebbero potuto dire qualcosa, Fissore, il suo collega e il colonnello
Guglielmi, sono tutti morti e non possono né confermare né smentire. Lo scoop
dell'ANSA è un depistaggio o è la verità?
Miguel Gotor, senatore Pd e filologo (ha studiato per anni il carteggio di
Moro prigioniero) non ha dubbi : "Ho l'impressione che anche questa sia una
polpetta data in pasto proprio nel momento particolare in cui nasce la
Commissione Moro", dice a Roberto Rossi, giornalista dell'Unità. E aggiunge che
nella galassia del caso Moro bisogna avere prudenza, per evitare di cadere nelle
trappole dei polveroni e delle polpette avvelenate. "Come si fa a evitare questi
pericoli?" gli chiede il giornalista. Gotor risponde: "Esercitando spirito
critico. Quanti saranno scelti per fare i membri della commissione Moro dovranno
avere responsabilità istituzionale e una doverosa prudenza per evitare di
trangugiare queste polpette e fare poi delle brutte figure". E ad una ulteriore
domanda di Roberto Rossi, Gotor sostiene che l'operazione Moro "deve essere
letta dentro il nesso tra una dimensione originale, nazionale, autonoma,
autoctona del nostro brigatismo e una internazionale. In questo legame sta la
originalità di questa vicenda che costituisce per questo Paese un trauma mai
assorbito, perché interroga il nodo della nostra sovranità". Gotor, insomma, ha
le idee chiare: occorre esercitare spirito critico e chiederci perché qui si
tocca il nodo della sovranità nazionale.
Le rivelazioni dell'ex ispettore Enrico Rossi danno comunque la possibilità
ai legali di Maria Fida Moro di avanzare alla Procura della Repubblica presso la
Corte d'Appello di Roma l'istanza di riapertura delle indagini sulla moto Honda
e la richiesta di rogatoria internazionale per l'esame di Steve Pieczenik, uomo
dei servizi americani, per concorso nell'omicidio di Aldo Moro. Nella sua
requisitoria, pubblicata nel novembre 2014, il Procuratore generale della
Repubblica, Luigi Ciampoli, archivia la moto Honda, ma "dispone la trasmissione
del presente atto al Procuratore della Repubblica di Roma, perché proceda nei
confronti di Steve Pieczenik in ordine al reato di concorso nell'omicidio di
Aldo Moro, commesso in Roma il 9 maggio 1978". La requisitoria del procuratore
Ciampoli smonta pazientemente, nella sua lunga analisi, la verità ufficiale
costruita da Morucci, Cavedon e Moretti.
Nella seduta del 2 dicembre 2014 viene effettuata l'audizione dell'ex
senatore Sergio Flamigni, che presenta alla Commissione una sua relazione,
chiedendo che venga fatta luce su una serie di episodi mai chiariti. Sergio
Flamigni (la cui audizione stenografata è reperibile nel sito ufficiale della
Commissione) ha indagato per anni sulle società dei servizi presenti in via
Gradoli e sui rapporti fra infiltrati, provocatori e brigatisti, scoprendo molti
segreti inconfessabili. Tra le altre cose, Flamigni cita anche il mio libro "Chi
ha ammazzato l'agente Iozzino?", pubblicato ai primi di novembre e non ancora
distribuito, di cui alcuni membri della Commissione hanno avuto in mano una
copia in anteprima. Ma non tutti nella Commissione sono filologi né sanno dare
prova di responsabilità istituzionale. Poco dopo l'audizione di Flamigni,
l'onorevole Gero Grassi, che ha scritto la prefazione del libro del Pd su Aldo
Moro e si è battuto per la riapertura delle indagini, rilascia un'intervista a
"Oggi", un settimanale di gossip, facendo un copia-e-incolla delle notizie prese
dal libro "Chi ha ammazzato l'agente Iozzino?", di cui si è parlato in
Commissione, e aggiungendo anche sue illazioni azzardate. L'intervista, apparsa
sul numero in edicola alla vigilia di Natale, è firmata da Gino Gullace Raugei,
ed è impaginata con una grande foto a colori stampata a rovescio su due pagine,
in cui le auto presenti a destra in via Fani appaiono a sinistra, e viceversa.
Di conseguenza le didascalie che illustrano l'immagine, tratte dal libro "Chi ha
ammazzato l'agente Iozzino?", risultano assurde. Il risultato oggettivo
conseguito dall'articolo dilettantesco è evidente: il caso Moro è relegato fra
tette e sederi, sono enfatizzati i "misteri" periodicamente ritornanti e si
solleva molta polvere. Un favore reso ai dietrologi e agli scettici, cioè a
tutti coloro che prescindono dai dati perché hanno già in testa la risposta. Non
è certo con questi metodi che si esercita spirito critico o si dà prova di
responsabilità istituzionale. Il problema è che Gero Grassi è il vicepresidente
del gruppo Pd alla Camera e membro autorevole della Commissione Moro. A che
gioco sta giocando?
Se prevale questo metodo, che privilegia lo spettacolo e l'improvvisazione,
non si corre certo il rischio di scoprire la verità. Perché la Commissione non
interroga il faccendiere fiduciario del Sisde - ancora vivo e vegeto - che era
il titolare della società proprietaria della Austin Morris piazzata poche ore
prima dell'agguato al posto del furgone del fioraio Spiriticchio? Perché non
interrogano il cognato di Pastore Stocchi, Bruno Barbaro - ancora vivo e vegeto
- sui suoi reali movimenti la mattina del 16 marzo 1978? Perché non chiedono al
notaio Nicasio Ciaccio - ancora vivo e vegeto - ex segretario del ministro della
Difesa Attilio Vizzini, il motivo per cui ha finanziato le BR con 50 milioni?
Perché non si fanno dare dall'ENPAF l'elenco degli inquilini di via Fani 109?
Perché non risalgono alla ditta che gestiva il bar Olivetti? Perché non vanno a
vedere chi ha venduto all'ENPAF il palazzo di via Fani 109, 111, 113? Sarebbe
buona norma, anziché enfatizzare testimonianze di morti non più verificabili,
sottoporre a riscontri le testimonianze dei vivi, e fare perno sui dati certi,
anziché sulle illazioni e le congetture, se si vuole davvero scoprire la verità.
Ma si vuole davvero.....? O questo Pd sta allestendo una grande operazione
gattopardesca o, se preferite, democristiana? Facendo finta di cercare la
verità, sollevando ancora un po' di polvere, e poi concordando su una nuova
verità "politica" che non intacca il patto fatto a suo tempo: silenzio in cambio
di indulto, gioco delle parti e ricatti reciproci, alla faccia della verità e
della sovranità nazionale... Questo rischio è concreto.
Carlo D'Adamo (3 marzo 2015, Globalist)
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