“Come può l’andreottiano Fioroni guidare la commissione sul caso Moro?”
Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo –
Caro direttore,
da cittadino di questo Paese le sottopongo alcune considerazioni (grato di
conoscere, se lo riterrà, la sua opinione) sui recenti clamorosi ed inquietanti
sviluppi delle indagini sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro avvenuto il 16
marzo 1978. Sviluppi di cui la stampa nazionale ha dato notizia (anche se, a mio
avviso, non con la rilevanza adeguata alla enormità dei fatti).
“L’uccisione di Aldo Moro non fu un omicidio legato solo alle Brigate Rosse.
Sul palcoscenico di via Fani c’erano i nostri servizi segreti e quelli
di altri Paesi stranieri interessati a creare caos in Italia. Abbiamo chiesto
alla procura di Roma di approfondire ai fini della configurazione di un reato la
posizione di Steve Pieczenik che riteniamo possa essere l’ispiratore
dell’omicidio di Aldo Moro”.
Lo ha detto Il procuratore generale presso la Corte di Appello di Roma, Luigi
Ciampoli, ascoltato in audizione dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul
rapimento dell’ex presidente della DC avvenuto il 16 marzo 1978.
Steve Pieczenik era all’epoca un funzionario del Dipartimento di
Stato Usa definito “superconsulente Usa del governo di Giulio Andreotti e
soprattutto del ministro dell’interno Francesco Cossiga”.
Ferdinando Imposimato, al tempo giudice istruttore della vicenda del
sequestro e dell’uccisione di Moro, interviene sul caso Moro con affermazioni
pesantissime: “L’uccisione di Aldo Moro è avvenuta per mano delle
Brigate Rosse, ma anche e soprattutto per il volere di Giulio Andreotti,
Francesco Cossiga e del sottosegretario Nicola Lettieri. Se non mi
fossero stati nascosti alcuni documenti li avrei incriminati per il concorso in
associazione per il fatto. I servizi segreti avevano scoperto dove le Br lo
nascondevano… Il generale Dalla Chiesa avrebbe voluto intervenire con i suoi
uomini e la polizia per liberarlo in tutta sicurezza, ma due giorni prima
dell’uccisione ricevettero l’ordine di abbandonare il luogo attiguo a quello
della prigionia”.
Affermazioni più pesanti delle pietre, considerata l’autorevolezza e la
ufficialità delle fonti.
Con legge n.82/2014 è stata istituita “una Commissione parlamentare di
inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, “suo compito è quello “di
accertare eventuali nuovi elementi …” nonché “eventuali responsabilità…
riconducibili ad apparati, strutture e organizzazioni, comunque denominati
ovvero a persone ad essi appartenenti o appartenute”.
Presidente della commissione è stato nominato Giuseppe Fioroni.
Ora, tutti noi conosciamo la specchiata storia politica di Fioroni
della quale peraltro egli comprensibilmente si fa vanto: da sempre
democristianissimo, da sempre legatissimo a Giulio Andreotti, suo maestro e
mentore. Sono cose arcinote.
Alla morte di Andreotti, ebbe a commemorarlo con parole commosse quali: “E’
un uomo che ha amato la Costituzione, uno straordinario uomo di Stato con il
senso delle istituzioni, che ha costruito l’immagine dell’Italia all’estero”.
Rispettabilissime espressioni di ammirazione e di affetto.
Ma il problema, a mio avviso, è un altro: a norma della nostra Costituzione
“La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi
poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria”.
Nel nostro caso, soprattutto alla luce dei clamorosi sviluppi di cui si è
detto, si tratterà di “accertare eventuali nuovi elementi” nonché “eventuali
responsabilità riconducibili ad apparati, strutture ovvero a persone ad essi
appartenenti o appartenute”.
Dunque, si tratterà di accertare eventuali responsabilità anche di Francesco
Cossiga, Nicola Lettieri, Giulio Andreotti.
Ma, e questo è il punto (o almeno uno dei punti): il presidente di
questa commissione ha avuto come assoluto maestro politico proprio Giulio
Andreotti di cui è stato un pupillo! Del resto Fioroni non solo non ha mai fatto
mistero di tale circostanza (peraltro arcinota), ma se ne è sempre fatto vanto.
Ora. L’allievo diretto dovrà indagare su eventuali responsabilità (e che
responsabilità) del venerato maestro di cui tuttora vanta il grande senso delle
istituzioni.
E’ credibile, e soprattutto, appare credibile tutto ciò?
Tra le caratteristiche essenziali di chi esercita poteri equiparabili a
quelli della autorità giudiziaria ci devono essere la imparzialità e la
terzietà.
Si badi: imparzialità e terzietà non solo reali, ma anche apparenti.
Chi svolge quel ruolo non solo deve essere, ma deve anche apparire terzo ed
imparziale.
Può, Fioroni apparire “terzo ed imparziale” in una indagine sulle
eventuali terribili responsabilità di Andreotti?
Stiamo trattando di tragedie che hanno segnato la storia del nostro Paese:
noi reclamiamo (il popolo italiano reclama) il diritto alla verità e ad una
indagine trasparente e credibile. E’ una elementare questione di democrazia.
Esistono, dunque, gravi ragioni di convenienza per sollecitare quanto meno la
astensione di Fioroni da quel ruolo.
Lo faccia per la credibilità delle istituzioni di cui il suo maestro, a suo
dire, aveva tanto rispetto.
Enrico Mezzetti
Lei vuole una mia opinione sul problema che pone.
Sarò veramente breve. No, non ha nessun senso mettere Fioroni a capo della
commissione d’inchiesta sulla morte di Moro. Anche se a sedici anni, o giù di
lì, si professava moroteo. Poi, visto che a Viterbo i morotei non esistevano,
divenne andreottiano e gigliano doc.
Una questione di “coerenza” politica. Che
evidentemente ha dato i suoi frutti.
Ma cosa vuole questo è un paese, come diceva un mio
amico giornalista e vaticanista, di cioccolatai. Cosa vuol sperare? Io non spero
più nulla. Vivo come se le istituzioni politiche non esistessero e ne sto alla
larga.
Lei ha ancora la forza di indignarsi. E’
evidentemente giovane e ingenuo. Da questo paese chi può se ne deve solo andare.
Come faceva quel grande appassionato di politica
che è stato Dante, ho iniziato “a far parte per me stesso”. E’ triste ma va
detta la verità: ci hanno rubato anche la speranza.
Carlo Galeotti
Enrico Mezzetti (17 dicembre 2014, lettera a Tusciaweb.eu)
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