Ecco la nuova fuffa su Aldo Moro
Se quella di Aldo Moro non fosse stata e non fosse tuttora un’autentica
tragedia, con quella sua orribile morte nel 1978 e i tanti misteri rimasti
irrisolti, ci sarebbe da ridere della nuova commissione d’inchiesta
parlamentare, costituita per fare più luce su quella vicenda. Una commissione
che sta scambiando lucciole per lanterne e che soffre anch’essa di annuncite: la
malattia politica del presidente del Consiglio Matteo Renzi e del suo governo.
Il primo annuncio della commissione è stato quello di chissà quali e quanti
documenti in via di desecretazione, al pari di quelli sulle stragi promessi da
Renzi appena insediato a Palazzo Chigi. Ma il ministro dell’Interno Angelino
Alfano si è premurato di precisare di persona ai commissari di avere tirato
fuori dagli armadi del Viminale, a proposito della vicenda Moro, un faldone di
carte solo parzialmente divulgabili. E per giunta riferibili ad un arco di tempo
– dal 1999 in poi – tanto lontano dal 1978 da fare ritenere improbabile una loro
utilità per capire che cosa non avesse funzionato all’epoca del sequestro
dell’allora presidente della Dc.
Un latro annuncio è stato quello del successo – chiamiamolo così – conseguito
dalla commissione con il ritrovamento dell’auto nel bagagliaio della quale Moro
fu ucciso e venne fatto trovare dopo qualche ora a metà strada fra le sedi
nazionali del Pci e della Dc, come se in quella macchina fosse ancora possibile
rinvenire elementi preziosi per la ricerca delle verità mancanti.
La R4 rossa così tristemente famosa per le immagini televisive del
ritrovamento del cadavere di Moro non aveva fatto alcuna fine misteriosa. E’
stata “ritrovata” regolarmente custodita in un garage del Ministero
dell’Interno, ceduta qualche anno fa allo Stato dal proprietario, al quale i
brigatisi rossi l’avevano rubata durante il sequestro di Moro, e destinata a un
museo storico delle macchine della Polizia. Fra le quali andrebbero
evidentemente annoverate anche quelle usate contro lo Stato dai criminali.
Degli annunci della o alla commissione d’inchiesta parlamentare sulla vicenda
Moro fa parte anche il “procedimento formale” comunicato dal Procuratore
generale della Corte d’Appello di Roma, Luigi Ciampoli, contro il funzionario
americano della Cia Steve Pieczenik, accorso alla richiesta di aiuto dell’allora
ministro dell’Interno Francesco Cossiga a fronteggiare l’emergenza, ma
sospettato di avere deliberatamente concorso con i suoi consigli all’assassinio
dell’ostaggio.
Matteo Renzi sarà stato il primo a sobbalzare di fronte a questa ipotesi. Che
smentirebbe anche quell’arguto libretto da lui scritto nel 1999 con l’amico Lapo
Pistelli proprio per contestare dietrologie di questo tipo. Un libretto
sarcasticamente ed efficacemente chiaro sin dal titolo e dalla vignetta di
copertina raffigurante una guardia canadese: “Ma le giubbe rosse non uccisero
Aldo Moro”.
Ad ammazzare Moro, 55 giorni dopo averne sterminato la scorta, non furono
infatti né i canadesi né gli alleati americani, ma più semplicemente le Brigate
rosse italiane. Che riuscirono a realizzare da sole la loro più eclatante
operazione militare e politica, bastando e avanzando per il loro successo la
inadeguatezza degli apparati di sicurezza dello Stato, un po’ di “consulenti in
comune” che incredibilmente avevano lo stesso Stato e i terroristi, secondo le
rivelazioni di un magistrato esperto di terrorismo all’ultima commissione
d’inchiesta parlamentare sulle stragi presieduta da Giovanni Pellegrino, e
l’impotenza cui il governo si condannò con le giaculatorie di una retorica linea
della fermezza. Una linea non a caso tradita nella occasione successiva, tre
anni dopo, quando fu sequestrato dalle brigate rosse e liberato con la
mediazione addirittura della camorra Ciro Cirillo, un assessore regionale
democristiano della Campania la cui vita fu evidentemente e scandalosamente
ritenuta più preziosa di quella di Moro.
Francesco Damato (21 novembre 2014, Formiche.net)
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