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L’uccisione di Aldo Moro, un’enigma ancora tutto da risolvere
Sulla vicenda Moro, la parola fine sembra lontana da essere posta. Ulteriori
commissioni parlamentari hanno indagato, rivelazioni, supposizioni sui mandanti
CIA, KGB, rimane il sacrificio di un uomo che anticipava la storia, che guardava
lontano. Il giudizio storico non può essere che positivo, alla luce della storia
politica odierna dove in poco tempo sale in auge Renzi, mentre la stella di
Berlusconi sembra al tramonto con l’intero centrodestra. Ma da un’epoca in cui
sono stato un giovane, inconsapevole testimone, mi fa riemergere la storia di
una grande amicizia tra mio padre Nicola e Moro e quindi le rispettive famiglie.
Dopo i fatti del 1978 , i rapporti tra gli amici di Bari, che furono gli strenui
propugnatori della trattativa, con la famiglia Moro si rinsaldarono ancora di
più. La vedova Eleonora accompagnata spesso dalla figlia Agnese ad esempio, alla
presenza del Presidente della Repubblica Scalfaro , presenziò all’intitolazione
dell’Ateneo barese al grande marito. E non solo. Il 9 maggio, la vedova Moro era
solita sottrarsi ad ipocrite commemorazioni romane e veniva a Bari per la
celebrazione di una Messa in suffragio dell’illustre comiuge. Donna semplice, la
cui figura forte, determinata emerse dall’anonimato durante i fatidici
cinquantacinque giorni, dove con il suo assordate silenzio esprimeva dissenso,
indignazione verso uno Stato ambiguo, poco desideroso di salvare la vita di uno
dei suoi padri.
9 maggio 2003 :sono i venticinque anni dalla morte di Moro. Eleonora e due
figlie sono a Bari. Mia figlia frequenta la seconda media presso la scuola Aldo
Moro a Santo Spirito. I ragazzi non sanno chi sia colui a chi è intestata la
scuola, tanto meno mia figlia e quindi mi viene l’idea di far venire nella
scuola la vedova Moro e le due figlie che sono con lei. Il preside di allora,
uomo che sapevo in altra epoca affascinato dall’uomo e dalle sue idee, accetta
con entusiasmo. Il gancio è mio padre ed alle ore 11 , l’ora in cui era stato
ucciso, è lì questa grande donna a braccetto di mio padre con la figlia Agnese e
un ‘altra figlia, credo, nella scuola. Non basta l’aula magna, si utilizza la
palestra alla presenza di trecento persone alunni, insegnanti e nessun
giornalista anche se invitati. Ah, dimenticavo ero lì in presenza di padre ma
soprattutto di Presidente di Circoscrizione ed oltre me l’assessore
all’istruzione di di allora D’oria. Eleonora Moro, Noretta delle lettere dalla
pigione, rispondeva con amabilità alle domande, con molto sincerità, sino ad
affermare di aver conosciuto Faranda e Moretti , l’assassino di Moro ed averli
perdonati. Non era però conclusiva in ciò che affermava e chi seguiva con
attenzione, intuiva che lei intravedeva i mandanti tra coloro che erano al
governo e rivelò in quell’occasione un episodio illuminante a proposito. Vado a
memoria. 8 maggio 1978, lei, la sua famiglia, Guerzoni sono lì. L’ultimatum è
scaduto . Si teme il peggio. La direzione DC, convocata in permanenza, sta
decidendo di liberare una brigatista ammalata per fermare il tempo. Zaccagnini
vorrebbe in cuor suo evitare il peggio ma è come un vaso di coccio tra pentole
in metallo. Squilla il telefono. Dall’altra parte il sottosegretario agli
Interni dell’epoca, di cui la vedova Moro non cita il nome, che comunica che
sanno dove è tenuto il Presidente e che la notte stessa i NOCS lo avrebbero
liberato e che ad operazione compiuta avrebbero avute notizie. E’ vivo il
ricordo della liberazione del generale Dozier da parte dei NOCS dove
l’operazione fu fulminea e coronata da successo. Le ore passano, lentamente, il
telefono non squilla ma nonostante tutto la veglia continua, la trepidazione
sale. Giungono le sette del mattino del 9 maggio. Eleonora Moro chiama il
sottosegretario chiedendo notizie. E qui l’interlocutore risponde dicendo che
hanno deciso di soprassedere per non mettere in pericolo la vita del Presidente.
Da lì a qualche ora la chiamata agghiacciante di Nicolai, Brigate Rosse, per
annunciare la morte di un martire dello Stato.
Queste rivelazioni non furono riportate allora e nè le ho trovate in altri
organi mediatici ma furono, ripeto, fatte davanti a centinaia di persone.
Moretti filosofo, Faranda , i carcerieri di Moro come loro stessi hanno detto ,
si erano addestrati all’uso delle armi ma certamente non avrebbero opposto
resistenza davanti all’intervento di personale addestrato in questi compiti.
Ora sembra ci sia l’intenzione di chiudere con l’inchiesta parlamentare su
Moro, ma bisogna fare i conti con la verità di allora perchè non è solo storia
ma fu il tentativo grossolano di bloccare il superamento di steccati ideologici,
far uscire l’Italia da una subalternità che faceva comodo alle due superpotenze.
Sorrido ora amaramente nel vedere attualmente i tentativi goffi di coniugare
diverse culture liberiste, di sinistra, senza studiare il passato. E siccome
quegli uomini erano già nel futuro, intravedevano sulla base di riflessioni
politiche di uomini dell’Est o dei Maritain o La Pira , il rifacimento dei
partiti aperti ai movimenti, alle idee , in una sola parola all’uomo. Ecco cosa
perse allora l’Italia: essere l’avanguardia del rinnovamento della politica
delle ideologie ma anche di contrasto ai biechi interessi dei pochi potenti.
E come nel 2003, forse, quei ragazzi capirono cosa vuol essere servitore
dello Stato, di noi, oggi continuino a fare finta di conservarne la memoria ,
siano gli ipocriti di oggi come lo furono allora. Il ricordo sbiadisce ma per
alcuni, tanti uomini comuni , sarà impossibile non far rivivere la nobiltà del
grande Statista e Uomo.
Leonardo Damiani (16 novembre 2014, MetropoliNotizie.it)
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