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Moro, i documenti segreti riguardano gli ex Br Casimirri e
Lojacono e il caso Ustica
L’ex pm Turone: «Quello della secretazione-desecretazione non è un
problema personale di un singolo studioso, ma un problema del Paese»
Il premier Matteo Renzi ad aprile aveva annunciato la trasparenza sulle
stragi di Stato ripetendo l’assunto ad agosto per difendersi dall’accusa di fare
il gioco di Berlusconi. Un annuncio che in realtà aveva un po’ disorientato
l’opinione pubblica, in quanto a seguito della riforma dei Servizi del 2007 è
noto come non sia più possibile apporre alcun segreto sulle stragi.
Nonostante una nuova Commissione d’inchiesta, non ancora avviata per mancanza
della totalità dei membri a comporla, nonostante le nuove indagini su vari
filoni aperti dalla Procura di Roma ormai dall’anno scorso (delle quali
Lettera35 si è occupato ampiamente) – la testimonianza degli artificieri, quella
dell’ex consigliere americano di Cossiga Steve Pieczenik, l’ex ispettore Enrico
Rossi che a marzo all’Ansa ha rivelato elementi nuovi relativi alla presenza di
estranei tra i membri del commando Br – si dovrebbe permettere ai magistrati (se
così non è) la totale acquisizione di documenti utili a dare una risposta a
questo Paese. Sicuramente si dovrebbe permettere agli utenti tutti di accedere a
informazioni che in teoria, in un paese normale, non dovrebbero essere più così
determinanti per risolvere una volta per tutte il caso.
Lo scorso 16 settembre, infatti, l’onorevole Paolo Bolognesi ha denunciato
alla stampa l’apposizione di un’ulteriore secretazione fino al 2019 su alcuni
documenti richiesti dall’ex pm GiulianoTurone (non si comprende in effetti
perché la scelta di questa data, visto che i limiti dei 30 anni senza
“l’annuncio trasparenza” sono superati da un pezzo). Abbiamo sentito entrambi.
Bolognesi ci ha spiegato, infatti: «Sono cinque i documenti chiesti dal dott.
Turone; a due di questi la secretazione è stata prorogata fino al 2019».
Il “gioco” sul tavolo dei segreti tuttora apposti sull’omicidio politico più
importante avvenuto in questo paese, quello di Aldo Moro, è ancora aperto
dunque: il rapimento dell’ex Presidente della Dc quel 16 marzo 1978 in via Fani
ha causato la morte di cinque agenti della scorta, tra poliziotti e carabinieri.
Morte che mai è stata definita, anche nei processi, quello che fu davvero: una
strage. E’ questo il dado che si fa rotolare qui e lì dalla roulette a ogni
strigliata di alcuni deputati e senatori contro la mancata volontà di andare
avanti sul caso Moro.
«Posso confermare che visito periodicamente l’Archivio storico del Senato per
fare ricerche di storia contemporanea – ha detto Turone a Lettera35 -, anche
consultando atti delle Commissioni parlamentari d’inchiesta. E in effetti tra
gli atti di alcune commissioni parlamentari incontro abbastanza spesso atti
“classificati” e non consultabili. Solo alcuni sono relativi alle commissioni,
peraltro: infatti non ho mai incontrato atti secretati nel materiale della
Commissione P2 o della Commissione antimafia. Tuttavia, ne ho incontrati nel
materiale della Commissione terrorismo e stragi e della Commissione Moro. Di
tutto ciò – aggiunge l’ex magistrato – ho ritenuto di informare, in particolare,
l’onorevole Paolo Bolognesi, sia per la sua veste istituzionale, sia quale
presidente dell’Associazione dei Famigliari delle vittime delle Stragi. La cosa
mi è sembrata opportuna, tenuto conto anche dell’annuncio dato abbastanza
recentemente dal presidente del Consiglio, circa la sua decisione di promuovere
una cospicua opera di “declassificazione”».
I due documenti ancora secretati richiesti dall’ex pm, come abbiamo appurato
andando direttamente presso l’Archivio storico del Senato, riguardano (così si
legge nella descrizione) diverse informative: una lettera del 15 gennaio 1999
dell’allora Sisde indirizzata alla Commissione stragi, alla quale sono allegate
due informative su due ex brigatisti, Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono;
l’altra documentazione relativa al caso Moro ancora classificata come
“riservata” riguarda invece un altro affaire scottante, la strage di Ustica del
27 giugno 1980, la cui apposizione di riserva dal Sisde è del 4 marzo 1999 su
un’audizione fornita dal Servizio segreto civile in Commissione stragi nel 1998,
a sua volta riferita a un “appunto” del 26 aprile 1982. Vi è poi un altro
documento allegato a questa serie definito con la descrizione “Quesiti oggetto
di riserva espressa dal direttore del Sisde”. Sono tutti dati da cui è possibile
almeno trarre delle informazioni in più: ossia i riferimenti dei contenuti
riservati.
E’ bene rilevare che su Casimirri esiste una strana storia di latitanza e
protezione; Lojacono, residente in Svizzera e anche lui come Casimirri nel
commando di via Fani, nel 2000 dichiarò che la sua fuga era stata protetta dal
Pci. Qui in calce due documenti presenti sul web (documento 1 – documento 2) che
riportano l’interrogazione per incriminazione da parte del partito dell’Unione
Democratica di Centro ticinese di Alvaro Lojacono Baragiola (questo il suo nome
per intero) paese in cui è a tutti gli effetti ora cittadino naturalizzato. Al
tempo dell’interrogazione la richiesta di estradizione da parte dell’Italia era
ancora in stallo; successivamente la richiesta fu rifiutata.
L’onorevole Bolognesi (il quale è stato promotore della legge sul depistaggio
passata alla Camera il 24 settembre scorso con 351 sì, 50 no e 26 astenuti) ha
ripetuto la sua indignazione anche a Lettera35 sulla contraddizione fra la
normativa adottata dal premier e l’attuale insistente secretazione sui documenti
relativi al caso Moro, ora però speriamo possa addurre più elementi per
sottolineare quest’anomalia. Anomalia che di fatto, se vista dal lato puramente
logico e burocratico, non c’è: via Fani non è considerata giuridicamente una
strage, quindi ad essa e a tutto ciò che vi ruota intorno si può apporre il
segreto. Intanto consegnare ai fatti la giusta definizione per far fermare quel
gioco sarebbe un buon inizio. Rapimento e strage, la strage di via Fani in cui
morirono i cinque agenti della scorta: Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco
Zizzi, Raffaele Iozzino e Oreste Leopardi.
Simona Zecchi (25 settembre 2014, Lettera35.it)
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