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Stato e Brigate Rosse, occhi negli occhi 40 anni dopo
Incontro storico a Verona tra il generale dei Carabinieri in
pensione Mario Mori e l’ex brigatista Alberto Franceschini, intervistati da
Giovanni Fasanella
“Forse la nostra nascita e la nostra azione erano necessarie”.
“Forse anche le nostre. Come se avessimo bisogno di esistere l’uno per
l’altro”.
Un incontro storico, nel senso letterale del termine. Un pezzo di storia del
nostro Paese che deflagra e dopo 40 anni esatti prova a ricomporre il puzzle di
una storia complicata. Senza nessun intento di salire in cattedra, senza nessuna
concessione al talk show, ma solo con la voglia e probabilmente anche il
bisogno, di raccontare. E magari capire. Era il settembre del 1974 quando il
generale dei Carabinieri Mario Mori, una leggenda dell’ordine pubblico italiano,
allora agli ordini del nucleo antiterrorismo comandato dal generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa, arrestò Alberto Franceschini, uno dei componenti del
nucleo storico delle Brigate Rosse. Oggi, moderati dal giornalista di Panorama
Giovanni Fasanella, Stato e Antistato si sono guardati negli occhi per la prima
volta da allora, rievocando quei giorni in cui “guerra civile”, per l’Italia,
non era una frase scritta sui libri di scuola ma qualcosa che si respirava, ogni
giorno, lasciandoti stomaco e testa pesanti come blocchi di ghisa e domande
ancora oggi prive di risposta. Ecco come due dei maggiori protagonisti di quegli
anni bui hanno ripercorso il loro, e nostro, tratto di strada più difficile e
intenso.
Franceschini contribuì a fondare le Br con Renato Curcio e Mario Moretti e fu
incarcerato dagli uomini di Mori prima di macchiarsi di fatti di sangue. Di quei
primi, caotici anni di terrorismo rosso ricorda “la frenesia, la necessità che
sentivamo dentro di sovvertire un certo ordine, la convinzione che studenti e
operai, soprattutto i secondi, si sarebbero schierati senza esitazioni dalla
nostra parte, anche se a quell’ordine erano già organici. Io sono nato a Reggio
Emilia, vivevo sotto gli effetti di quella che definisco la resistenza
partigiana tradita. L’idea di provare a rifare la rivoluzione, in un momento
storico come quello – le rivolte di piazza, la morte di Giangiacomo Feltrinelli,
la crisi di identità del movimento operaio – per me aveva un suo fondamento
politico. E se mi lasciai suggestionare io, che avevo trent’anni, pensiamo a chi
era molto più giovane”. Dello stesso periodo Mori rievoca invece “i continui
cambi di direzione investigativi, la fatica, l’idea di avere a che fare con un
nemico nuovo che andasse affrontato con armi nuove”.
Le immagini dell’incontro:
La discussione si protrae toccando molti dei temi chiave di quel periodo. La
figura investigativa del generale Dalla Chiesa, i suoi metodi investigativi
straordinari e il suo utilizzo talvolta spregiudicato di infiltrati e pentiti;
il sequestro Moro con i suoi enigmi irrisolti che hanno alimentato decenni di
dibattiti e dietrologie; le teorie complottiste sul blitz che nel 1975 uccise
Mara Cagol, la compagna di Curcio, e quelle sui legami brigatisti con i servizi
segreti di mezzo mondo; la fine ideologica e militare della lotta armata; i
pentimenti; la memoria fallace che troppe valte infanga chi indagò e perdona chi
uccise; il filo rosso che dall’Italia a Parigi accomuna il terrorismo rosso di
ieri e di oggi, fino alla vicenda di Cesare Battisti e al suo mancato arresto. E
molte altre cose che potrete leggere prossimamente su Panorama.
“Penso che avremmo potuto continuare per un’altra ora”.
“Anche di più”.
Gianluca Ferraris (12 settembre 2014, Panorama d'Italia)
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