Gian Carlo Caselli: "Così 40 anni fa arrestai Curcio e
Franceschini ma dagli intellettuali troppa omertà per le Br"
Parla il giudice che coordinò il blitz: "Sapevamo già che la
battaglia non era ancora vinta perché intorno a loro si era creato un muro di
ambiguità"
L'8 settembre di quarant'anni fa i carabinieri del generale Dalla Chiesa
arrestarono a Pinerolo, vicino a Torino, i capi delle Brigate Rosse, Renato
Curcio e Alberto Franceschini. Le indagini erano coordinate dal pm Bruno Caccia
e dal giudice istruttore Gian Carlo Caselli.
Dottor Caselli, era il 1974. Avrebbe potuto essere la fine delle Br e invece
fu l'inizio della fase più drammatica della loro attività sarebbe culminata con
il delitto Moro. Come mai? "Non avevamo pensato nemmeno per un attimo che
l'arresto di un paio di capi storici avrebbe potuto segnare la fine delle Br.
Eravamo certi che avevamo a che fare con una organizzazione articolata. Il
nucleo speciale coordinato da Dalla Chiesa era stato istituito solo per indagare
sul sequestro del giudice Mario Sossi. Dalla Chiesa per i carabinieri e Santillo
per la polizia "disubbidirono" al mandato e fecero bene perché così indagarono
sull'organizzazione disarticolandola. Nel giro di due anni, dal 1974 al 1976,
tutti i capi storici delle Br erano stati arrestati".
Tutti tranne Mario Moretti, che sarebbe poi diventato il capo della colonna
romana. Perché Moretti sfuggì all'arresto? "È provato che Moretti a Pinerolo non
c'era, e mi pare che lui stesso lo abbia confermato in una autobiografia".
Eppure qualcuno lo avvisò che stavano per arrestare i capi delle Br. Chi fece
la soffiata? "Chi fu non lo so. Quel che è certo è che nelle ore precedenti
l'operazione di Pinerolo uno sconosciuto chiamò il medico Enrico Levati, l'uomo
che aveva messo in contatto Silvano Girotto, detto "frate mitra", con i capi
delle Br. La telefonata diceva: "Curcio sarà arrestato domenica a Pinerolo".
Levati chiamò Moretti ma nessuno dei due riuscì ad avvisare Curcio".
Girotto era un infiltrato? "Per sue convinzioni aveva deciso di collaborare
con i carabinieri per smantellare le Br. Diceva: "Questi sono criminali, non
possono servire a nessuna causa rivoluzionaria". Riuscì ad entrare in contatto
con l'organizzazione e fece arrestare Curcio e Franceschini".
Lei è convinto della sincerità di Girotto? "Io ho sempre verificato che le
sue testimonianze coincidevano al millimetro con le risultanze di fatto.
Dimostrò un notevole coraggio".
Quanti incontri fece con i brigatisti prima del loro arresto? "Diversi.
Quelli clandestini li vedeva a coppie. Si incontravano in montagna. A torso nudo
perché loro temevano di essere registrati".
Sono passati quarant'anni. Dottor Caselli, chi ha sconfitto le Br?
"L'attività di repressione e di indagine è stata molto importante. Ma non è
stata l'unica. Furono decisive le decine e decine di assemblee che si tennero
nelle parrocchie, nei luoghi di lavoro, nelle sedi di partito. Per spiegare che
non ci trovavamo di fronte a Robin Hood ma a un gruppo di assassini. Bisognava
rompere il muro di ambiguità dei "compagni che sbagliano", i complici silenzi di
certi intellettuali".
E funzionò? "Non fu facile ma alla fine i terroristi furono politicamente
isolati ed entrarono in crisi. Fu la fine delle contiguità e degli appoggi che
avevano portato molti a non vedere la tempesta che stava addensandosi. Pensiamo,
per fare esempi anche molto diversi, all'intellighenzia che partecipò alla
vergognosa campagna contro il commissario Calabresi che pagò con la vita quelle
menzogne. Per quanto riguarda Torino ricordo che un giorno venne assaltato a
bastonate un bar ritenuto un covo di fascisti. Mi capitò di interrogare i
testimoni, anche esponenti del mondo intellettuale della città. Incontrai
l'omertà".
La nascita del terrorismo in Italia avviene nel contesto delle lotte sociali
degli anni Sessanta e Settanta. Lei crede che oggi sarebbe possibile una
rinascita del partito armato? "Non mi preoccupa l'eventuale rinascita di un
partito catacombale e clandestino come furono le Br. Mi sembra fuori dalla
realtà e spero di non sbagliarmi. Mi preoccupa il ripetersi in certi ambienti
intellettuali di oggi delle stesse ambiguità di allora di fronte alla violenza
delle frange estreme. Mi preoccupa il ritorno, in sedicesimo, della stagione dei
compagni che sbagliano. Mi preoccupano le predicazioni di intellettuali miopi e
nostalgici che possono far credere a chi ha già pochi filtri critici che stia
riproducendosi il clima di allora".
Parla della val di Susa? "Sono in pensione".
Ha più incontrato Curcio e Franceschini? "Curcio no. Franceschini una volta a
Rebibbia ".
Che cosa le disse dopo l'arresto? "Franceschini era arrogante. Si dichiarò
rivoluzionario di professione. E mi chiese: "Dottor Caselli, lei non è di
Magistratura Democratica?". Io risposi: "Si perché?". Lui era convinto che
essere di Md significasse avere un atteggiamento di condiscendenza verso la
violenza".
Paolo Griseri (La Repubblica, 8 settembre 2014)
|