La legge c’è, la commissione no A chi fa
paura lo statista Dc?
A chi fa ancora paura il fantasma di Aldo
Moro? La domanda è d'obbligo
A chi fa ancora paura il fantasma di Aldo Moro? La domanda è dobbligo, perché
a trentasei anni dall’assassinio dello statista democristiano da parte delle
Brigate Rosse non sembra che la politica voglia davvero fare chiarezza e andare
fino in fondo. Oppure, dopo tanto tempo, l’argomento non interessa più tanto al
Palazzo, i temi in agenda sono del resto altri.
Quanto avvenuto negli ultimi mesi sull’argomento è emblematico. Il Parlamento
ha approvato la legge - primo firmatario il deputato Pd Giuseppe Fioroni - che
istituisce una nuova commissione d’inchiesta sui 55 giorni che sconvolsero
l’Italia tra il 16 marzo - strage di via Fani e rapimento di Moro - e il 9
maggio del 1978 - quando il cadavere del presidente della Dc fu ritrovato nel
bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, a metà strada tra la
sede della Dc e quella del Pci, nel giorno in cui il governo formato da Giulio
Andreotti doveva presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia con l’appoggio
esterno dei comunisti, il «compromesso storico». La legge è stata pubblicata in
Gazzetta Ufficiale il 26 maggio scorso, ma a un mese esatto dall’entrata in
vigore nulla ancora si è mosso. I gruppi parlamentari a Palazzo Madama e a
Montecitorio non hanno ancora comunicato le designazioni dei membri, né sono mai
stati sollecitati a farlo dal presidente del Senato Pietro Grasso e dalla
presidentessa della Camera Laura Boldrini.
La stessa genesi della commissione è stata travagliata. L’obiettivo era
approvare la legge per la ricorrenza di via Fani, ma tutto è slittato di oltre
due mesi. Approvata in principio dall’Aula di Montecitorio come monocamerale, la
commissione è stata «raddoppiata» dal Senato che ne ha approvata una seconda,
sempre monocamerale. Tra scetticismo e resistenze, è infine divenuta bicamerale.
A dimostrare un certo disinteresse nei confronti del caso Moro c’è anche
l’atteggiamento del governo nei confronti dell’istituzione della commissione
d’inchiesta: l’esecutivo - spalleggiato anche da un fronte parlamentare
bipartisan - l’ha sempre ritenuta inutile. Sui tempi di costituzione non v’è
alcuna certezza. «L’impressione è che i partiti stiano facendo melina - si
spiffera in Transatlantico - Fannno finta di discutere sui nomi dei componenti
per portare la vicenda a settembre e poi, magari con la scusa dei provvedimenti
economici, rinviare tutto alla fine dell’anno. Il clima è tutt’altro che sereno.
La cosa curiosa è che ci era scettico e reputava la commissione inutile, oggi si
adopera per sabotarla. A chi fa paura una commissione inutile?».
C’è poi il capitolo relativo al segreto di Stato. Ospite di Bruno Vespa a
Porta a Porta , il premier Renzi ne annunciò l’eliminazione anche sugli atti del
caso Moro. Ad oggi si ha avuto notizia della desecretazione di tanti dossier, ma
nessuna comunicazione su quello relativo al presidente Dc. Ci sono ancora oltre
15mila documenti segreti nell’archivio del Senato. Circostanza confermata dal
deputato Pd Gero Grassi, che con Marco Carra ha presentato in febbraio
un’interrogazione al presidente del Consiglio per procedere alla «totale
declassificazione» dei documenti relativi al caso Moro: su un totale di 54.792
pagine presso l’archivio storico del Senato, 15.343 (il 30%) sono attualmente
classificate.
Gero Grassi è anche l’autore di un dossier ragionato sui «buchi neri» del
caso, che raccoglie quattrocento pagine di citazioni tratte da audizioni,
documenti, relazioni per il Parlamento e sentenze. Tutto pubblicato col titolo
«Il Pd vuole la verità sul caso Moro» e scaricabile sul sito dei deputati Dem.
Il dossier raccoglie, in collocazione sinottica, le testimonianze dei principali
protagonisti che esprimono dubbi, mancanze e falsità sui principali nodi della
vicenda: il ruolo di Moretti o di Casimirri, le prigioni, l’assalto di via Fani,
le carte di Moro, il mancato assalto al covo brigatista.
La prima commissione parlamentare d’inchiesta fu istituita nel 1979. I lavori
delle commissioni che si sono succedute hanno prodotto una trentina di relazioni
e oltre 150 volumi, cui si aggiunge il materiale dei cinque processi istruiti.
Quelle commissioni - alcune si sono protratte negli anni, altre sono durate
pochissimo - hanno operato in regime di segreto di Stato e senza poter appurare
quei coinvolgimenti dei servizi segreti di Paesi esteri oggi acclarati. Quelle
commissioni d’inchiesta non hanno così potuto dare risposte a ripetuti
interrogativi che oggi meriterebbero approfondimenti, anche alla luce di nuovi
scoop giornalistici - veri o presunti - di indagini ancora in corso e di nuovi
fascicoli d’inchiesta aperti sulle notizie nel frattempo venute a galla.
Il gruppo del Pd dice di «volere la verità». Ma anche nominare i membri della
commissione è un’impresa.
Daniele Di Mario (26 giugno 2014, Il Tempo)
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