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Giorgiana Masi, si cerca la pistola
L’arma del delitto potrebbe confermare che ad uccidere la ragazza
fu l’autonomo Fabrizio Nanni
ROMA - Si chiamava Fabrizio Nanni e il 12 maggio ’77 aveva 22 anni. Potrebbe
essere stato lui, quel giorno di guerriglia urbana al centro di Roma, ad
esplodere il colpo di pistola che colpì e uccise Giorgiana Masi. E’ questa
l’ultima ipotesi investigativa intorno alla quale stanno lavorando gli agenti
della Digos e il sostituto procuratore di Roma, Giovanni Salvi. Fabrizio Nanni
non potrà testimoniare: è morto il 7 gennaio ’79, per arresto cardiaco; quattro
mesi prima si era sposato dopo un lungo fidanzamento. E quando morì, per
piangere sulla tomba tornò a casa anche sua sorella Maria, detta Mara,
brigatista rossa, che era entrata in clandestinità alcuni mesi prima. Mara Nanni
sarà arrestata qualche mese dopo, a settembre ’79, insieme a Prospero Gallinari.
A suggerire, dopo 21 anni, la nuova pista investigativa, sarebbero state
alcune testimonianze raccolte dalla Digos nell’ambiente dei vecchi aderenti ad
Autonomia Operaia, dei quali sembra facesse parte anche Fabrizio Nanni. Gli
investigatori stanno adesso cercando di individuare la pistola calibro 22 che
colpì Giorgiana Masi. L’arma potrebbe essere già nell’Ufficio corpi di reato
della Procura, insieme alle altre sequestrate negli ultimi anni; in particolare,
magistrati e investigatori stanno aspettando di sapere se la pistola possa
essere quella che, avvolta in un berretto di lana, fu ritrovata casualmente
qualche mese a all’interno di un’intercapedine, durante i lavori di
smantellamento di un bagno all’università La Sapienza di Roma. Dopo quel
ritrovamento si pensò che quella fosse la pistola che aveva ucciso la giovane
Marta Russo, ma una prima perizia escluse questa circostanza. Un secondo
accertamento stabilirà ora se fu utilizzata per uccidere Giorgiana Masi.
Sulla nuova pista investigativa che porta agli ambienti dell’Autonomia, sono
fioccate le reazioni politiche. Il verde Athos De Luca chiede che il magistrato
inquirente, Giovanni Salvi, sia ascoltato dalla Commissione Stragi, mentre il
suo collega di partito, Paolo Cento, chiede rispetto per Giorgiana Masi:
«Indaghiamo a 360 gradi ma non uccidiamola due volte».
Intanto, sul fronte delle indagini sulla strage di via Fani, dove fu sequestrato
Aldo Moro e uccisa tutta la sua scorta, il pm Antonio Marini e Franco Ionta si
preparano ad interrogare gli ex leader delle Brigate rosse per accertare il
ruolo che ebbero i fantomatici Peppe e Peppa, i due estremisti di sinistra
identificati dalla Digos nei giorni scorsi che sarebbero stati presenti a via
Fani a bordo di una moto Honda. Secondo il brigatista Raimondo Etro, i due
potrebbero essere responsabili di un altro delitto degli anni di piombo, quello
di Mauro Amato, ucciso per errore al posto dell’agente Domenico Velluto,
diventato un obbiettivo per aver ucciso durante una manifestazione un giovane
simpatizzante di sinistra, Mario Salvi. I magistrati stanno cercando di capire
se Peppe e Peppa si presentarono a via Fani perché sapevano del progetto di
sequestro ma non erano stati coinvolti nell’operazione dai vertici delle Brigate
rosse.
M. Mart. (23 aprile 1998, Il Messaggero)
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