Moro: ex poliziotto, due 007 su Honda per coprire BR -
"Riscontri da accertamenti su anonimo. Uno sparò contro ingegnere.
Gli ingredienti di un giallo ci sono tutti: la confessione post mortem,
l'indagine di un poliziotto, la distruzione delle prove e la magistratura -
quella romana - che comunque indaga: fine. Ma non è così se si parla del caso
Moro. "Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall'uomo che era sul
sellino posteriore dell'Honda in via Fani. Diede riscontri per arrivare
all'altro, quello che guidava la moto".
Enrico Rossi, ispettore di Ps in pensione, racconta all'ANSA la sua inchiesta
passeggiando sulle colline di Torino, a due passi da Superga. Spiega con
puntiglio e gentilezza sabauda che, secondo colui che inviò la lettera anonima -
che si qualificava come uno dei due sulla moto - gli agenti avevano il compito
di "proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere. Dipendevano dal colonnello
del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la mattina del 16 marzo 1978".
Tutta l'inchiesta è nata da una lettera anonima inviata a un quotidiano
nell'ottobre 2009.
Eccola: "Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi
dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di
quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi
fatti. Ora è tardi,il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio
sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del
colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente
come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro
azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non
sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a
parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci
siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente...".
L'anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda: il nome
di una donna e di un negozio di Torino. "Tanto io posso dire, sta a voi decidere
se saperne di più". Il quotidiano all'epoca passò alla questura la lettera per i
dovuti riscontri. A Rossi, che ha sempre lavorato nell'antiterrorismo, la
lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011 in modo casuale. Non è protocollata
e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto
guidatore della Honda di via Fani che secondo un testimone ritenuto molto
credibile era a volto scoperto e aveva tratti del viso che ricordavano Eduardo
De Filippo.
"Non so bene perché ma questa inchiesta trova subito ostacoli. Chiedo di fare
riscontri ma non sono accontentato. L'uomo su cui indago ha, regolarmente
registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulov cecoslovacca;
pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad una
mitraglietta". "Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla predispongo un
controllo amministrativo nell'abitazione. L'uomo si è separato legalmente. Parlo
con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla
mi dice della seconda. Allora l'accertamento amministrativo diventa
perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola Drulov
poggiata accanto o sopra una copia dell'edizione straordinaria cellofanata de La
Repubblica del 16 marzo". Il titolo era: "Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse".
"Nel frattempo - continua Rossi - erano arrivati i carabinieri non si sa bene
chiamati da chi. Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di
Cuneo. Chiedo subito di interrogare l'uomo che all'epoca vive in Toscana.
Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato. Ho qualche
'incomprensione' nel mio ufficio. La situazione si 'congela' e non si fa nessun
altro passo, che io sappia".
"Capisco che è meglio che me ne vada e nell'agosto del 2012 vado in pensione
a 56 anni. Tempo dopo, una 'voce amica' di cui mi fido - dice l'ex poliziotto -
m'informa che l'uomo su cui indagavo è morto dopo l'estate del 2012 e che le due
armi sono state distrutte senza effettuare le perizie balistiche che avevo
consigliato di fare. Ho aspettato mesi. I fatti sono più importanti delle
persone e per questo decido di raccontare l'inchiesta 'incompiuta'".
Rossi ricorda, sequestrò una foto, che quell'uomo aveva un viso allungato,
simile a quello di De Filippo: "Sì, gli assomigliava". Fin qui l'ex ispettore,
che rimarca di parlare senza alcun risentimento personale ma solo perché "quella
è stata un'occasione persa. E bisogna parlare per rispetto dei morti".
Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto - ha accertato l'ANSA
- nel settembre del 2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state
effettivamente distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due
presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è
tuttora aperta un'inchiesta della magistratura sul caso Moro.
Paolo Cucchiarelli (23 marzo 2014, Dagospia)
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