Caso Moro: «In via Fani sulla moto due agenti dei servizi proteggevano le Br»
Il colonnello della Finanza di Novara, Alessandro Falorni,
accompagnò il finanziere a Roma: «Voleva togliersi un peso»
Gli ingredienti di un giallo ci sono tutti: la confessione post mortem,
l'indagine di un poliziotto, la distruzione delle prove e la magistratura -
quella romana - che comunque indaga: fine. Ma non è così se si parla del caso
Moro. «Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall'uomo che era sul
sellino posteriore dell'Honda in via Fani. Diede riscontri per arrivare
all'altro, quello che guidava la moto». Enrico Rossi, ispettore di Ps in
pensione, racconta all'Ansa la sua inchiesta passeggiando sulle colline di
Torino, a due passi da Superga.
Spiega con puntiglio e gentilezza sabauda che, secondo colui che inviò la
lettera anonima - che si qualificava come uno dei due sulla moto - gli agenti
avevano il compito di «proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere.
Dipendevano dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la
mattina del 16 marzo 1978».
Tutta l'inchiesta è nata da una lettera anonima inviata a un quotidiano
nell'ottobre 2009. Eccola: «Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi
almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel
rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità
su certi fatti. Ora è tardi,il cancro mi sta divorando e non voglio che mio
figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle
dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo
proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br
nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi
giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così,
provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da
allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo
ultimamente...».
L'anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda: il nome
di una donna e di un negozio di Torino. «Tanto io posso dire, sta a voi decidere
se saperne di più». Il quotidiano all'epoca passò alla questura la lettera per i
dovuti riscontri. A Rossi, che ha sempre lavorato nell'antiterrorismo, la
lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011 in modo casuale. Non è protocollata
e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto
guidatore della Honda di via Fani che secondo un testimone ritenuto molto
credibile era a volto scoperto e aveva tratti del viso che ricordavano Eduardo
De Filippo. «Non so bene perché ma questa inchiesta trova subito ostacoli.
Chiedo di fare riscontri ma non sono accontentato. L'uomo su cui indago ha,
regolarmente registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulov
cecoslovacca; pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione.
Assomiglia ad una mitraglietta». «Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla
predispongo un controllo amministrativo nell'abitazione. L'uomo si è separato
legalmente. Parlo con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una
Beretta, ma nulla mi dice della seconda. Allora l'accertamento amministrativo
diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola
Drulov poggiata accanto o sopra una copia dell'edizione straordinaria
cellofanata de La Repubblica del 16 marzo». Il titolo era: "Aldo Moro rapito
dalle Brigate Rosse".
«Nel frattempo - continua Rossi - erano arrivati i carabinieri non si sa bene
chiamati da chi. Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di
Cuneo. Chiedo subito di interrogare l'uomo che all'epoca vive in Toscana.
Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato. Ho qualche
"incomprensione" nel mio ufficio. La situazione si "congela" e non si fa nessun
altro passo, che io sappia».
«Capisco che è meglio che me ne vada e nell'agosto del 2012 vado in pensione
a 56 anni. Tempo dopo, una "voce amica" di cui mi fido - dice l'ex poliziotto -
m'informa che l'uomo su cui indagavo è morto dopo l'estate del 2012 e che le due
armi sono state distrutte senza effettuare le perizie balistiche che avevo
consigliato di fare. Ho aspettato mesi. I fatti sono più importanti delle
persone e per questo decido di raccontare l'inchiesta "incompiuta"».
Rossi ricorda, sequestrò una foto, che quell'uomo aveva un viso allungato,
simile a quello di De Filippo: «Sì, gli assomigliava».
Fin qui l'ex ispettore, che rimarca di parlare senza alcun risentimento
personale ma solo perché «quella è stata un'occasione persa. E bisogna parlare
per rispetto dei morti».
Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto - ha accertato l'Ansa
- nel settembre del 2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state
effettivamente distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due
presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è
tuttora aperta un'inchiesta della magistratura sul caso Moro.
Redazione (23 marzo 2014, Il Sole 24Ore)
|