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Il caso Moro e le rivelazioni del brigadiere Ladu:
“Particolari attendibili”
Il colonnello della Finanza di Novara, Alessandro Falorni,
accompagnò il finanziere a Roma: «Voleva togliersi un peso»
«Quando sentii per la prima volta parlare di questa storia rimasi perplesso,
io come altri colleghi. Ma quella iniziale titubanza venne superata con passare
dei mesi: alcuni particolari che Giovanni Ladu ci aveva raccontato non potevano
non essere veri, sembravano essere stati vissuti in prima persona. Ecco perché
ci siamo convinti della piena attendibilità del testimone».
A parlare è il colonnello Alessandro Falorni, dal 2011 capo di Stato maggiore
del comando interregionale dell’Italia Nord Occidentale. Nel 2008 era comandante
provinciale a Novara: Ladu, l’ex finanziere in pensione finito in questi giorni
alla ribalta delle cronache per le sue rivelazioni sul caso Moro, ritenute
calunniose nei confronti dei vertici della Stato, era uno dei suoi uomini.
All’epoca il brigadiere lavorava alla centrale operativa della caserma di
Novara. «Un militare che faceva il suo lavoro, con onestà. Una persona di media
cultura, che però aveva un “super io” fortissimo».
Sul merito dell’indagine per calunnia aperta dalla Procura di Roma, il
comandante Falorni non si sbilancia: «Noi abbiamo ricevuto alcune dichiarazioni,
che ci parevano verosimili. Non sappiamo poi quali valutazioni abbiamo fatto gli
inquirenti. Anzi, che sia stato indagato l’ho appreso dagli organi di stampa».
Secondo il pm Luca Palamara, l’ex brigadiere residente a Novara avrebbe
accusato i vertici istituzionali dell’epoca, pur sapendoli innocenti, di non
aver voluto liberare l’ex presidente Dc Aldo Moro nonostante i servizi segreti
conoscessero da tempo l’esistenza del covo Br di via Montalcini. Lì, nel 2008, è
stato anche Falorni per un sopralluogo: «Ricordo che compimmo alcuni viaggi a
Roma, assieme a Ladu e ad altri colleghi. Siamo stati anche in via Montalcini.
Ripeto, trovammo dei riscontri alle sue dichiarazioni, che ci avevano convinto
della sua attendibilità. Ovviamente non so se è tutto vero, non sappiamo cosa
sia successo in realtà; abbiamo solo verificato l’esattezza di alcuni
particolari che lui aveva raccontato».
Per l’ex comandante provinciale della Finanza, il caso Moro «è una cosa più
grande di tutti noi, con risvolti e implicazioni nazionali e internazionali. Le
dichiarazioni di Ladu sono un piccolissimo tassello, solo una parte di una
vicenda troppo complessa. C’è una verità giudiziaria, parziale. Condivido in
pieno quello che ha scritto l’ex giudice Ferdinando Imposimato nel libro “I 55
giorni che sconvolsero l’Italia”: siamo molto lontani dalla verità storica».
Nei ricordi di Falorni, «Ladu voleva togliersi un peso, voleva raccontare,
anche perché erano passati 30 anni dalla strage e quindi era venuto meno il
segreto di Stato». Ora, a distanza di cinque anni dalle dichiarazioni (Ladu ha
detto di aver fatto parte nel ’78, da militare, di un contingente speciale
impiegato in via Montalcini), rimangono da sciogliere molti dubbi: anche
attraverso la sua testimonianza, Imposimato aveva trovato conferme alle sue
ipotesi per cui Moro venne lasciato morire. Per lo Stato, invece, Ladu ha
raccontato «bufale»: nessuno, tra i politici o i servizi segreti, sapeva dove
era tenuto in ostaggio l’ex statista della Dc né tanto meno ha ostacolato o
ritardato un intervento per liberarlo.
Marco Benvenuti (9 novembre 2013, La Stampa)
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