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Minacce a Bagnasco, indagata la Lioce
Giampiero Giancarli
Perquisita la cella alle Costarelle
Sequestrata una busta «sospetta»
Nadia Desdemona Lioce, condannata all’ergastolo
per gli omicidi Biagi e D’Antona, rinchiusa nel carcere dell’Aquila, potrebbe
essere implicata nei messaggi e scritte minatorie contro monsignor Angelo
Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei). Lo ipotizza il
pm antimafia dell’Aquila, Alfredo Rossini, dopo il ritrovamento nella cella
della Lioce di una busta bianca con un testo di due righe: «ne do...asco ne...
religios...».
Gli agenti di polizia penitenziaria, l’11
aprile, hanno fatto un blitz nella cella dove la brigatista irriducibile è
richiusa, sotto il regime del carcere duro (il 41 bis), e hanno sequestrato la
busta bianca senza alcun timbro. Questo è un altro elemento che ha destato
sospetti visto che la posta dei detenuti sottoposti al 41 bis è controllata da
un apposito ufficio censura. Questo, secondo quanto si è appreso, ha determinato
l’iscrizione di Nadia Lioce, nel registro degli indagati per associazione con
finalità di terrorismo. Gli investigatori ipotizzano che la Lioce possa aver
mantenuto contatti con persone che agiscono in stato di libertà comunicando a
mezzo di messaggi cifrati dal carcere dove é rinchiusa.
La brigatista, però, contesta queste accuse
anche se il tribunale del riesame ha confermato il sequestro della busta.
Intanto la procura ha chiesto al giudice per le indagini preliminari la
fissazione di un incidente probatorio nel quale si potrà disporre una perizia
grafica per far luce sul caso.
Nel verbale di sequestro si legge di «una busta
bianca da lettera non utilizzata, senza timbri di censura, né in arrivo, né in
partenza, recante sulla parte superiore, quella che si ripiega per la chiusura,
una piccola striscia di carta sovrapposta alla busta stessa». La striscia
«ricopre un rettangolo annerito con un testo dattiloscritto di due righe».
«Per quello che mi riguarda», fa sapere la
Lioce tramite i legali, «il tempestivo reperimento di una frase dattiloscritta
che si vuole riferire alla campagna mediatica in corso in questi ultimi giorni,
entra a far parte di una operazione che adopera la comparsa di simboli più o
meno alludenti alle Brigate Rosse e che sfruttano le condizioni di segregazioni
imposte ai militanti Br». La stessa Lioce aveva inviato una nota ai giudici del
riesame nella quale contestava qualsiasi attribuzione del fatto. «E’ assurdo che
da un pezzo di frase incomprensibile», dicono i suoi avvocati Carla Serra e
Caterina Calia, «sia stata formulata nei confronti della nostra assistita
un’accusa parimenti assurda come quella di essere in qualche modo l’ispiratrice
di messaggi di minaccia rivolti a monsignor Angelo Bagnasco. Si tratta, invece,
di un’accusa strumentale volta soltanto a mantenere in piedi il 41 bis per la
Lioce, che, é bene si sappia, in virtù del regime carcerario duro, non può
comunicare in alcun modo con l’esterno».
(13 giugno 2007)
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