vuoto a perdere

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ISBN 9788867559756
Ultima versione
1.0 del 22/05/2013
Tipologia: Novità

Solo 3.99€!
 



Vuoto a perdere è il solito libro sul caso Moro?
Ascolta cosa ne pensa Giovanni Pellegrino
(Presidente della Commissione Stragi dal 1994 al 2001)


Documento inedito

 
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Quel giorno ero in via Montalcini e arrivò l’ordine di non intervenire
04/12/2013 - La Stampa - ed. Novara - Carlo Bologna  
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“Quel giorno ero in via Montalcini e arrivò l’ordine di non intervenire”

Giovanni Ladu, ex brigadiere della Finanza in pensione da un anno e mezzo, vive a Novara. Il suo nome è venuto alla ribalta in occasione della pubblicazione del libro dell’ex giudice Ferdinando Imposimato al quale Ladu si era rivolto anche con un’altra identità, quella di un fantomatico Oscar Puddu, per rafforzare la tesi del mancato blitz nel covo delle Brigate Rosse in cui era prigionieroMoro. L’ex magistrato, dopo la pubblicazione del libro, si è rivolto alla Procura di Roma sollecitando nuove indagini. C’è voluto poco per scoprire che Ladu (foto) e Puddu sono la stessa persona. Ora l’ex finanziere è indagato per calunnia.

Respinge l’etichetta di «calunniatore». Giovanni Ladu, ex brigadiere della Guardia di Finanza, parla per la prima volta accanto ai suoi difensori, gli avvocati Gianni Correnti e Giorgio Legnazzi. Nel 1978, nei giorni del sequestro Moro, era un bersagliere di leva. È indagato dalla Procura di Roma perché sostiene che lo Stato era a conoscenza della prigione dello sta- tista ed ha fatto un passo indietro due giorni prima che venisse ritrovato nella Renault rossa in via Cae- tani. Lui, con altri gruppi pronti al blitz per liberare il leader Dc, ga- rantisce che il 7 maggio era in via Montalcini. Dall’«alto» arrivò l’or- dine che l’ex giudice Imposimato, nel libro «I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia» traduce in una denuncia-bomba: la liberazione fu impedita da Cossiga e Andreotti. Imposimato solo a libro stampato si è affidato alla Procura. Ladu, la sua è una verità contestata. «Le e-mail a Imposimato sono state mandate dal 2012 a maggio di quest’anno però quei fatti del ’78 sono stati resi noti ai miei superiori, inizialmente a voce al mio comandante Alessandro Falorni. Dopo le opportune verifiche è stato contattato il giudice che si era occupato del caso Moro».

Lei ha iniziato a raccontare questi fatti nel 2008,perché solo allora? Temeva una rappresaglia? «Sì, anche perché quando finì tutto, ci era stato detto di dimenticare quello che era successo».

Ma lei chi era in quei giorni? «Avevo 19 anni, l’anno primo avevo finito il diploma. Ero in servizio di leva obbligatoria ai bersaglieri della caserma Valbella, ad Avellino».

Vi avevano preparato a questa missione? «Inizialmente no. Ci hanno imbarcato su un pullman “dovete andare a Roma”. Sulle prime ci portano alla caserma dei carabinieri vicino all’hotel Ergife».

Sapevate che c’erano altri gruppi pronti a intervenire in quella che sarebbe risultata la prigione di Moro? «Inizialmente no. Poi prendiamo possesso di un appartamento adiacente allo stabile dove, scopriremo poi, c’era Moro. Eravamo dieci militari, non in divisa. Non avevamo attrezzature di ascolto (queste attrezzature sono state poi messe in una cascina abbandonata che era di fronte al palazzo, lì c’era una postazione di controllo già predisposta prima che arrivassimo. Noi dovevamo solo verificare chi entrava e usciva, se c’erano persone sospette».

Quando avete intuito che poteva essere il covo? «Ci avevano detto che c’era un noto personaggio in quell’appartamento, messo in condizione di non uscire. Moro era stato rapito il 16 marzo, in Italia si parlava solo di quello».

E arriva il 7maggio 1978, con l’ordine di smobilitare senza liberare il «personaggio». In seguito scoprirete che là dentro c’era proprio il presidente della Dc. «Certo, leggendo i giornali. Io mi sono anche strizzato sotto. Rientrato ad Avellino sono stato desti- nato subito al reggimento, alla caserma dei bersaglieri di Persano (Salerno)».

I dieci commilitoni non li ha più sentiti? «No, non so nemmeno che fine abbia- mo fatto. Nessun contatto».

Dopo trent’anni, nel 2008, decide di parlare. Perché? «Ogni anno, in occasione dell’anniversario dell’uccisione di Moro, venivano riferite falsità».

Non ha mai cercato di «vendere» la sua verità? «Assolutamente no, all’epoca ero ancora in servizio. Non ho avuto, né cerco compensi. Ho fatto i miei passaggi rivolgendomi ai miei superiori gerarchici, loro hanno poi informato il procuratore di Novara Francesco Saluzzo al quale ho fornito un memoriale di tre pagine. Non ho fatto alcun nome, nessun riferimento ai vertici dello Stato. Ho soltanto indicato i fatti di cui sono a conoscenza. E non sono state ravvisate ipotesi di calunnia perché nel 2011 questo procedimento è stato archiviato».

Lei, in questa prima fase, è Giovanni Ladu.Poi nel 2012si ripresenta con il nome fittizio di Oscar Puddu. Al punto che Imposimato ci casca, pensa che Ladu e Puddu siano due persone distinte. Perché questo espediente? «Volevo che si riaprisse il caso, per venire a capo di questa vicenda. L’ex giudice faceva delle domande, io rispondevo. Ci siamo scambiati 84 mail, da privato a privato. Io ero in pensione dalla Finanza, Imposimato dalla magistratura».

Imposimato, anche sulla base della sue rivelazioni, arriva a scrivere che «Moro fu vittima della ferocia delle Br ma anche di un complotto ordito da Andreotti  e Cossiga». «Mai fatti quei nomi, sono conclusioni di Imposimato.. Lui mi chiese se erano al corrente dell’ipotesi di un blitz e della decisione di fermarlo».

Il figlio di Cossiga ha definito le sue ricostruzioni da «trattamento sanitario obbligatorio ». «Non sono matto, né mitomane. E non ho mai detto che Cossiga ha ordinato quel delitto».

E a chi parla di depistaggio, cosa risponde? «Nessuna intenzione di alzare polveroni o coprire qualcuno, chiedo l’opposto: che si arrivi alla verità. Non volevo nemmeno tutto questo clamore. Quando ho visto il mio nome nel libro di Imposimato mi sono pure arrabbiato. Ho fatto tutto questo anche contro il volere della mia famiglia ma sentivo che dovevo togliermi un peso. Tutti gli altri hanno seguito l’ordine di dimenticare, io non ci sono riuscito».

Carlo Bologna (4 Dicembre 2013, La Stampa ed. Novara)

 

       

 

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