Il perdono (e la civiltà)
“Un gesto di civiltà. Nel nostro paese nessuna pena può essere a vita e io
stessa mi sono spesa per il rispetto di questo principio di democrazia. Credo
che 31 anni di carcere siano sufficienti anche per chi è condannato
all'ergastolo”.
A parlare è Sabina Rossa, figlia di Guido, ucciso dalle Brigate Rosse il 24
gennaio 1979. Sindacalista, colpevole di aver denunciato un “compagno” che
volantinava per le Br. Sabina (il Bartali di oggi) sta commentando la notizia
della liberazione di Vincenzo Guagliardo, l'uomo che ha ucciso suo padre. La
cosa sarebbe già un incredibile esempio di capacità di perdono e di fiducia
nella legge e nella Costituzione che prevede (giova sempre ricordarlo) al terzo
comma dell'articolo 27 che “Le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Assume però un valore ancora maggiore perché Sabina si è spesa in prima
persona perché l'assassino di suo padre potesse ottenere la libertà. Dopo che i
giudici avevano bocciato la richiesta, ha riunito altri familiari di persone
assassinate da Vincenzo Guagliardo e ha fatto loro firmare una lettera in cui
testimoniavano la sua volontà, se non di pentirsi, almeno di voler spiegare i
motivi delle sue azioni.
Al terzo tentativo i giudici hanno acconsentito alla liberazione di
Guagliardo.
Sfido chiunque a mettersi nei suoi panni e a solamente pensare di agire allo
stesso modo. La sua lucidità sulla questione terrorismo è impressionante.
“Spero che la posizione mia e delle altre persone che hanno accettato di
scrivere ai giudici sia servita a far capire che la questione del perdono non
può essere una discriminante, e che la memoria del terrorismo non è una
questione privata tra vittime e colpevoli, ma riguarda tutta la società».
Pensare che in un mondo pieno di vendette e violenze ci si possa comportare in
questo modo riconcilia, anche se solo per un attimo, con la civiltà.
di Massimo Franchi (27 aprile 2011, L'Unità)
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