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Io, figlio di Br, pago per mio padre e un libro
LETTERA DAL CARCERE.
Il 18 gennaio 2010 sono stato arrestato insieme al mio amico Costantino
Virgilio. Ci accusano di far parte, cito dall'ordinanza: «(...) di
un'associazione terroristica-eversiva costituita in una banda armata denominata
'Per il comunismo Brigate Rosse', con vocazione marxista-leninista, proiettata a
coagulare in sé tutti i comunisti combattenti impegnati sul terreno della lotta
armata a livello di area europeo mediterranea meridionale». Non mi sono mai
preso troppo sul serio se, senza nemmeno accorgermene, stavo sovvertendo lo
scacchiere geopolitico dell'Europa mediterranea. Non ci viene contestato alcun
fatto specifico: rapine, attentati, possesso di armi o altro materiale illegale.
(...) Ciò che mi preme denunciare è lo scandalo della carcerazione preventiva
che stiamo subendo, senza che ci sia stato addebitato alcun fatto concreto.
(...)
Sette mesi prima del nostro arresto io e Costantino siamo stati prelevati dal
nostro posto di lavoro da agenti della Digos e portati in questura. Perquisite
le nostre case, le nostre auto, i nostri averi. Rilasciati a notte fonda,
torniamo a casa con un avviso di garanzia e la qualifica di indagati, dopo che
il giorno stesso erano stati eseguiti altri cinque arresti. Ci sono voluti altri
sette mesi prima di ricevere una nuova visita della Digos, questa volta venuta
ad arrestarci. Sull'ordinanza di arresto non ho trovato una sola nuova evidenza
o riscontro che aggiornasse l'avviso di garanzia del giugno 2009. Ma se le
accuse a nostro carico restavano le stesse, non altrettanto poteva dirsi per le
nostre vite. La visita della Digos sul posto di lavoro portò al nostro rapido
licenziamento. Ci ritrovammo così indagati, disoccupati e con dei bambini
piccoli da mantenere. Da settembre 2009 la ricerca di un nuovo impiego si fece
affannosa, quotidiana, difficile. Verso dicembre ricevemmo le prime risposte
positive, i primi colloqui e la prospettiva concreta di un nuovo lavoro. Il 18
gennaio spazza via tutto. Il mio nome è troppo ghiotto; la notizia dell'arresto
ottiene grande clamore mediatico. Manolo Morlacchi, figlio di Pietro, già
militante delle Br negli anni '70, non può che avere la sovversione nel Dna.
Anche il mio libro, che fino ad allora aveva ricevuto ben poco spazio sui media,
gode in quei giorni di nuova e insperata pubblicità. "La fuga in avanti"
rappresenta una delle ragioni per cui io mi trovo in galera. Nelle sue pagine
racconto la storia della mia numerosa famiglia. Una storia che, muovendo
dall'avvento del fascismo, racconta la progressiva presa di coscienza di dieci
fratelli, la loro adesione alla Resistenza, alle lotte operaie degli anni '50 e
'60, alle battaglie condotte nel Pci e, infine, l'adesione di alcuni di loro
all'esperienza delle prime Brigate Rosse. Un libro irresponsabile, come ha
scritto qualcuno in una delle rarissime recensioni. Un libro che non prende le
distanze. Un libro che rivendica le vicende umane e politiche di una famiglia e
dei miei genitori. Che "La fuga in avanti" mi avrebbe causato problemi l'avevo
messo in conto; non al punto, però, da farmi finire in un'inchiesta per
terrorismo. È stato un mio errore di valutazione, ma non avrei potuto fare
diversamente: quel libro andava scritto, e io ne sono orgoglioso. (...) Oggi il
Riesame deciderà sulla nostra scarcerazione. Ci apprestiamo ad affrontare la
tappa con due intenti: difendere la nostra identità di comunisti e tornare in
libertà con la stessa dignità di quando l'abbiamo perduta.
Manolo Morlacchi (17 Giugno 2010, Il Manifesto)
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