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«La ragion di Stato non vale una vita umana?
Non credo. Salvare la vita di Aldo Moro non avrebbe
risolto il problema o creato una posizione di stabilità politicamente corretta».
Giulio Andreotti, che quel 16 marzo del
1978, a poche
ore dalla strage di via Fani, da capo del governo di unità nazionale incassò una
fiducia quasi plebiscitaria, non ha ripensamenti. Difende la linea della
fermezza e l´asse Dc-Pci e sottolinea che, poichè le
Br
consideravano nemici «allo stesso modo» sia
la Dc che il Pci, reo di
«aver abbandonato la linea del rigore», qualsiasi cedimento avrebbe finito per
«riconoscere che le Br si sostituivano al Pci». Così l´ex presidente del
Consiglio commenta le parole con cui il segretario dei Ds ha riaperto la
riflessione sulle drammatiche scelte che la politica si trovò a compiere davanti
al ricatto brigatista. E aggiunge che «se Fassino parla
solo adesso», lo si spiega soltanto «con le polemiche seguite alla liberazione
dei taliban per la salvezza di Daniele Mastrogiacomo».
Senatore, lei è dunque ancora convinto che non fu possibile trattare?
«Le Br ce l´avevano tanto con il Pci quanto con
la Dc e se la prendevano
con Berlinguer per aver introdotto l´eurocomunismo. La fermezza era l´unica
strada. E questa posizione era sostenuta da tutto il Pci, tranne forse dissensi
individuali. Era il Psi ad avere una linea diversa: Craxi e, soprattutto,
Claudio Signorile. Da parte mia ricordo di aver detto con chiarezza ai miei
figli: se domani succedesse a me, non voglio pressioni per la trattativa».
Anche
la Dc non fu compatta,
alcuni esponenti vicini alla famiglia Moro avevano una
posizione diversa.
«Ci sono stati pareri differenti, ma solo da parte di alcuni.
Fanfani, che aveva rapporti con la famiglia Moro, a un certo punto si
espresse in modo difforme».
Il 20 aprile ‘78, quando alla Dc arrivò un messaggio di Noretta
Moro, lei annotò nel diario: "La famiglia tiene a far sapere che è
ferma nel richiedere che venga salvata la vita di Moro.
La Dc deve dire stasera che
è favorevole alle trattative... se no domattina la famiglia dissocerà le sue
responsabilità dalla Dc».
«Era un punto di vista comprensibile, ma la nostra compattezza rimase. Non per
essere testardi; era la posizione del partito. Ed era giusta».
Non ha alcun ripensamento?
«No. Comunque fu fatto ogni possibile sforzo. Per esempio quando, tramite il
Vaticano, uscì fuori che forse attraverso un riscatto... insomma, se si fosse
trattato di danaro, da parte nostra non ci sarebbero state obiezioni e noi
saremmo stati disponibili. Invece si rivelò una falsa pista: a proporla era
stato un detenuto di Milano che, per mostrarsi credibile, aveva avvertito che se
il giorno successivo ci fosse stato il solito comunicato delle Br, quello
sarebbe stato falso. In effetti, il giorno dopo, 18 aprile, arrivò quel
messaggio firmato Br in cui si annunciava che Moro era stato ucciso e che il suo
corpo era nel Lago della Duchessa. Si scoprì invece, ed è
cosa nota, che chi aveva fatto quella proposta, era lo stesso autore del finto
messaggio. E che non aveva niente a che fare con le Br».
A
un certo punto però fu chiaro che le Br si sarebbero accontentate della
liberazione di una sola brigatista, Paola Besuschio. E il
9 maggio, nella D era attesa addirittura un´apertura sul riconoscimento
politico.
«Non è vero neanche questo. Quando si disse che
Giovanni Leone,
allora Presidente della Repubblica, aveva già "pronta la penna" per firmare
quella liberazione, non si evoca un dato reale. Quella strada non era
percorribile.
La Besuschio era in
carcere per reati che richiedevano il mandato di cattura obbligatorio; quindi,
se l´avessimo liberata, sarebbe stata solo una finzione. Era una trappola, fu
chiarissimo che sarebbe comunque rimasta in carcere. Il riconoscimento politico,
invece, era tutt´altra cosa. Non potevamo riconoscere che le Br erano un
partito. Su questo punto nella Dc non ci fu mai un vero contrasto. I dissensi
furono solo individuali, niente di più. E non è vero che fosse previsto un
Consiglio nazionale per sconfessare la direzione. Posso assicurare che questa è
un´altra leggenda metropolitana; la verità è che eravamo accasciati, ma che non
avevamo alternative».
Durante i 55 giorni della prigionia di Moro, lei ha
scritto nel suo diario tutto quello che riguardava
la Dc, il Pci e la linea
della fermezza. Annoterà anche il cambiamento di rotta di Fassino?
«Certo, ho messo da parte i ritagli di giornale con la notizia. Stasera lo farò»
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