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Un'eroina discreta che tentò disperatamente di salvare la vita del marito
Addio a Noretta Moro, in silenzio contro il Moloch
In molte struggenti lettere dalla “prigione del popolo” era semplicemente
Noretta, amatissima compagna di una vita. E trentadue anni dopo Eleonora
Chiavarelli Moro, vedova del presidente della Democrazia Cristiana ucciso dalla
Brigate Rosse, oggi si ricongiunge idealmente al marito, quell'Aldo Moro vittima
eccellente degli anni di piombo. Era una donna decisa, schiva, riservata.
Nessuno la conosceva pubblicamente fino a quando il presidente della Dc venne
sequestrato nella strage di via Fani. Eppure Nora Moro al fianco del marito
c'era eccome, silenziosa e salda, porto sicuro di un uomo complesso, complicato
nell'eloquio e nei tratti caratteriali, protagonista di quella svolta epocale
che fu il compromesso storico, in anni terribili, i più bui dell'Italia
repubblicana. Nei cinquantacinque giorni del sequestro, Eleonora Moro tentò
disperatamente di salvare la vita del marito, facendo appello al senso di
umanità di una classe politica che si trincerò dietro il comodo paravento della
fermezza a tutti i costi. E lei quella ragion di Stato non la capì mai fino in
fondo, non poteva e non voleva capirla. Le provò tutte, scontrandosi contro un
partito, la Democrazia Cristiana, che inspiegabilmente abbandonava a se stesso
il suo uomo di punta, il suo uomo migliore. Solo pochi, nel panorama politico
italiano, diedero ascolto al disperato ma composto grido di dolore di una
moglie, di una madre: Amintore Fanfani, innanzitutto, che tentava di aprire
spiragli difficili tra le maglie strettissime del colosso democristiano, e poi
Bettino Craxi, artefice di uno sparigliamento del blocco
democristiano-comunista, assertore della fermezza senza se e senza ma.
Tutti tentativi inutili, così come il piccolo successo della lettera pubblica
di Paolo VI ai brigatisti, quella lettera che doveva aprire la trattativa e che
invece, per colpa di una semplice frase (“senza condizioni”), voluta
dall'establishment democristiano, non ottenne il risultato sperato.
Quell'impegno incessante di una donna fortissima non ebbe successo. Aldo Moro
venne ucciso in un garage e trovato nel bagagliaio di una automobile a via
Caetani.
Da quel giorno, Eleonora Moro si chiuse ancora più in se stessa, vittima del
dolore rabbioso di chi sentiva il peso di non esser riuscita a salvare il
compagno di una vita. Non perdonò mai la Dc, così come non perdonò mai
l'immobilismo di quel Benigno Zaccagnini, segretario democristiano, che era un
uomo di Moro, che grazie a Moro era arrivato al vertice di piazza del Gesù. La
sconfitta di quella donna fu la sconfitta dell'Italia migliore, che voleva
uscire dagli anni di piombo, che non poteva più sopportare di vivere tra bombe e
scontri di piazza, odio e opposti estremismi. E la ricerca incessante di una via
d'uscita, ci fa pensare ad Eleonora Moro come a una novella Edda Ciano, anche
lei disperatamente sola contro un intero sistema (in entrambi i casi complicato
e colpevole) per salvare la vita del proprio uomo. La parabola della vedova Moro
è l'esempio di una sconfitta gloriosa, di un fallimento dignitoso e onorevole.
Ha tentato di fare ciò che era oggettivamente quasi impossibile: sconfiggere da
sola, o quasi, un Moloch plumbeo di intrighi e morte, di interessi politici
(nazionali e internazionali) troppo più grandi di lei.
L'Italia oggi perde una donna semplice, schiva e avvelenata dal dolore. Ma
perde anche un'eroina normale, una anziana signora dall'aspetto ordinario e
quasi dimesso che nel momento più difficile della sua vita tirò fuori le unghie.
Aldo Moro, in una lettera dalla prigione mai consegnata dai brigatisti e
ritrovata solo anni dopo, così si rivolgeva alla moglie: «Ti abbraccio forte,
Noretta mia, morirei felice se avessi il segno della vostra presenza, sono certo
che esiste, ma come sarebbe bello vederla». Dopo una pausa forzata di trentadue
anni, oggi quell'amore puro e totalizzante ricomincerà a vivere. E non ci
saranno brigatisti, né uomini politici, a spezzarlo di nuovo.
Domenico Naso (www.ffwebmagazine.it, 19 luglio 2010)
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