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Cena a Managua con Camillo l'ultimo latitante di via Fani
Candannato a sei ergastoli e mai incarcerato: farò un film a Hollywood
C’ è il Papa, c’è suo padre con il Pontefice, c’è lui bambino che gioca con
una palla nei Giardini Vaticani. Poi altre foto di una Roma in bianco e nero, e
poco più in là, sulla parete, le mandibole di grossi squali toro. «Alcune
persone sono già morte quando nascono, la loro è una vita in attesa della morte.
Io invece ho avuto molte vite». Sei ergastoli sulle spalle e mai un giorno di
galera: lo immagineresti deciso e imperioso l’uomo che da 28 anni è uno dei più
grandi ricercati d’Italia. E invece eccolo qui, Alessio Casimirri, 59 anni,
basso e ben piazzato, capelli neri e maglietta rossa aderentissima infilata nei
pantaloni. La voce esce stridula, esitante: «Siete italiani? Anche io lo ero».
Casimirri ne ha avute tante, di vite. In quella di adesso fa il ristoratore,
sospeso tra il suo locale storico a Managua, La Cueva del Buzo, e le battute di
caccia subacquea a San Juan Del Sur, dove da poche settimane ha aperto il suo
secondo ristorante, il Dona Ines.
Nella vita precedente era «Camillo», nome di battaglia dell’unico brigatista
ancora latitante che fece parte del commando Moro. Prima ancora, un bambino
cresciuto tra i palazzi papalini, dove il padre è stato per trent’anni il
potentissimo capo dell’ufficio stampa della Sala Vaticana. «Scrivere un libro
sulla mia vita? Ci ho pensato più volte. Ma vorrei andare oltre: pensavo a un
film a Hollywood, come mio padre». Ci sarebbe materiale per Freud, se non fosse
imbarazzante. Nel suo locale in Nicaragua, mentre infila un Dvd nel registratore
per mostrare le sue imprese di pescatore subacqueo, Casimirri racconta: «Il film
del mandolino del capitano Corelli (quello con Nicholas Cage protagonista, ndr)
è la storia di mio padre. Mi raccontava fin da piccolo della sua campagna a
Cefalonia. Tutti gli episodi sono veri, anche la ragazza, solo che non era
greca, era croata. Si chiamava Nada, mio padre andò a prenderla in Grecia dopo
la guerra e la portò in Italia. Poi però si lasciarono».
Casimirri non ha più i baffi come nella foto che campeggia sul menù del suo
locale, quella in cui in posa plastica e muta mimetica esibisce orgoglioso due
prede ancora gocciolanti. Sa tutto della pesca subacquea e delle prede: come si
spostano, cosa mangiano, quando. Ma non appena si tocca l’argomento Moro, si
chiude a riccio. Nel libro, o nel film, ci sarà un capitolo anche sul rapimento?
«Non mi toccare questo tasto» dice facendo intuire che smetterà di parlare.
L’Italia ha chiesto più volte la sua estradizione ma il Nicaragua dei sandinisti
si è sempre opposto: sebbene entrato nel Paese sotto falso nome, Casimirri si è
sposato con una nicaraguense, ha avuto tre figli ed è diventato cittadino del
Nicaragua a tutti gli effetti. Niente da fare. Nel 2006 un italiano lo ha
riconosciuto in Costarica, a El Ostional, cittadina a un passo dal confine.
Ci andava spesso, aveva aperto un altro locale. L’italiano ha fatto una
soffiata ai Servizi, è stata organizzata una trappola per catturarlo. Ma
qualcuno, forse, lo ha avvertito: «Vedo persone strane che girano nel mio
locale, l’Italia vuole per forza arrestarmi. Ma io il giorno del rapimento Moro
insegnavo educazione fisica in una scuola» ha dichiarato a El Nuevo Diario,
giornale di Managua, nell’unica intervista che abbia mai rilasciato. A El
Ostional non si è fatto più vedere. L’allora ministro della Giustizia Roberto
Castelli è andato su tutte le furie: «Così non lo prenderemo mai». È l’ultimo
rimasto. Rita Algranati, la sua ex moglie, è stata catturata nel 2004 in Egitto
con il suo nuovo compagno. Casimirri, nel suo locale dove si cena con 50 dollari
in un Paese dove un taxista ne guadagna 400 al mese, invece parla di pesci e di
gare subacquee.
Su un tavolino, le coppe: campione nazionale di pesca subacquea del
Nicaragua, più altre due della gara a El Ostional del 2009. Ci ha messo solo tre
anni a ritornarci. Al tavolo affianco siede l’anziana madre. «Da quando è morto
mio padre, tutti le chiedono i documenti del suo archivio personale - spiega
Casimirri - ma lei non li dà». Al momento di pagare fa 49 dollari. Carta di
credito? «Eh, così fa di più». Qualcosa di italiano pare gli sia rimasto.
Nonostante le numerose richieste italiane, il governo nicaraguense si è sempre
opposto all’estradizione di Alessio Casimirri. L’ultimo rifiuto è arrivato dalla
Corte Suprema di Managua nel 2005. I primi tentativi risalgono all’inizio degli
anni Novanta, ovvero dopo la sconfitta elettorale dei sandinisti che avevano
offerto ospitalità alla primula romana. Di fatto si arenano subito. Casimirri,
che è arrivato in Nicaragua nel 1982 sotto falso nome, nel 1986 sposa Raquel
Garcia Jarquin, cittadina nicaraguense, e diventa nicaraguense anche lui. La
cittadinanza gli viene revocata però nel 1993, quando si scopre che si è sposato
con falsi documenti. Casimirri affronta un periodo di latitanza, che però
termina dopo poco, quando la sua posizione tornerà legale. Viene bocciata anche
un’ulteriore richiesta del 1999.
Andrea Colombari, Raphael Zanotti (La Stampa.it 8 marzo 2010)
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