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«Tutti sapevano di via Gradoli». Francesco Fonti, il pentito della '
ndrangheta che ha permesso di individuare le "navi dei veleni" nei fondali della
Calabria, fa nuove clamorose rivelazioni. Stavolta sul caso Moro, l' ex
presidente della Dc sequestrato e ucciso dalle Br nel 1978. Una testimonianza
raccolta da Riccardo Bocca de L' espresso, registrata con un video, che
accompagna un lungo articolo pubblicato sul sito del settimanale. Fonti racconta
di essere stato inviato dalla ' ndrangheta a Roma nel marzo del ' 78, chiamato
da Riccardo Misasi, ex braccio destro di De Mita, e dall' onorevole Vito Napoli.
Il suo boss, Sebastiano Romeo, gli dice che bisogna dare una mano per scoprire
il covo delle Br e di mettersi in contatto con «l' amico» dei Servizi. Il
pentito riferisce di un incontro con l' ex segretario della Dc Benigno
Zaccagnini, sostiene di aver presto capito che diversi personaggi della banda
della Magliana sanno che Aldo Moro e i suoi rapitori stanno in via Gradoli,
sulla Cassia. «Come è possibile, mi domando, che tutta la malavita di Roma
sappia dove si trova il covo delle Br?». Fonti - scrive L' Espresso - ha
riscontri anche dai rappresentanti della ' ndrangheta nella capitale, dove
incontra la sua fonte nel Sismi, un certo Pino. È lui che lo porta dall' allora
direttore del Servizio, Giuseppe Santovito, il 4 aprile 1978. «Pino mi porta dal
capo a Forte Braschi. Santovito mi chiede se ho notizie su un appartamento in
via Gradoli 96. Gli rispondo che ho sentito questo indirizzo da amici. E lui
commenta: "Tutto vero, Fonti: è giunto il momento di liberare Moro"». Ma tornato
in Calabria, il suo boss lo gela: «A Roma i politici hanno cambiato idea. Dicono
che dobbiamo soltanto farci i cazzi nostri». Fonti decide di chiamare la
questura capitolina: «Via Gradoli 96, lì troverete i carcerieri di Moro». Pochi
giorni dopo il covo di via Gradoli viene scoperto per una "strana" perdita d'
acqua. Dei brigatisti non c' è traccia. «Non c' è stata la volontà di agire»,
afferma il pentito. Una conferma l' uomo ritiene di averla avuta nel 1990,
quando stava nel carcere di Opera con Mario Moretti: il capo delle Br riceveva
ogni mese una busta con un assegno circolare. «Qualche tempo dopo un brigadiere
che credo si chiami Lombardo mi confida che, per recapitare i soldi (del
ministero dell' Interno), lo hanno fatto risultare come un insegnante di
informatica, e in quanto tale Moretti viene retribuito. L' ennesimo mistero tra
i misteri». Il Pdci chiede una verifica. Cautela in procura a Roma: il video
sarà visionato, tra oggi e domani si deciderà che fare.
e. v. (Repubblica — 23 settembre 2009 pagina 27)
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