E gli USA dissero basta col PCI
In un saggio di Gentiloni Silveri l’attacco di Ford a Moro che stroncò sul
nascere l’inclusione dei comunisti nel governo.
In un colloquio cruciale che si svolge ad Helsinki il primo agosto 1975 tra
la delegazione italiana e quella degli Stati Uniti ai massimi livelli (da parte
americana il presidente Gerald Ford e il segretario di Stato Henry Kissinger,da
quella italiana il presidente del Consiglio Aldo Moro e il ministro degli Esteri
Mariano Rumor)e che oggi Umberto Gentiloni Silveri è in grado di pubblicare,
perché ormai accessibile,nel suo interessante libro su L’Italia sospesa. La
crisi degli anni settanta vista da Washington (Einaudi Storia, pp.238, 28 euro)
emerge con grande chiarezza il contrasto tra la posizione del governo americano
e di quello italiano(almeno di quello guidato da Moro)su un aspetto fondamentale
della crisi politica italiana:il giudizio sul partito comunista di Enrico
Berlinguer.
Vale la pena- per un discorso nuovo e più realistico sulla crisi italiana in
quegli anni-riportare almeno in parte, traendolo da quel volume lo scambio di
battute tra Ford e Moro,come tra Kissinger e il nostro primo ministro-presidente
del Consiglio .
“Il trait-d’union-scrive l’autore-viene offerto da un giudizio sprezzante di
Ford sul leader socialista Mario Soares che avrebbe sostenuto il PCI nelle
elezioni italiane.Moro non è d’accordo e chiarisce che il sostegno era rivolto a
candidati socialisti a Roma e a Napoli. La situazione italiana non è
paragonabile agli altri paesi del continente,prosegue il primo
ministro:”Purtroppo molti elettori preferiscono guardare a Berlinguer e al PC1
piuttosto che ai socialisti.”
Aldo Moro non si fa sfuggire l’occasione:”Stanno cercando di essere moderati
(…)E molti cominciano a pensare che i comunisti italiani siano dei
socialdemocratici, anche gente di affari lo pensa. I comunisti fanno appello a
tutte le classi (…) Quello che deve ricordare,Presidente(si svolge direttamente
a Ford) è che non tutti coloro che votano comunista sono comunisti. Molti di
loro sono in favore della libertà,delle libertà.”
Ford non concorda e seccamente domanda quali siano i rapporti con Mosca.Moro
non accetta semplificazioni:”Non sembrano molto vicini al momento. Ci sono
frizioni e contrasti,chiedono con insistenza maggiore autonomia.”ma come -
interviene Kissinger - in Polonia mi hanno detto che i comunisti locali sono
molto legati al Pci”. “Questo è possibile –replica Moro(…)Non dico che non vi
siano legami,ma loro hanno autonomia”. Ford insiste sulle proprie
ragioni:”Stanno chiedendo di entrare al governo dopo le recenti elezioni? Se
fossero al governo,per noi sarebbe molto difficile spiegare come l’Italia possa
rimanere nella Nato”.”Certamente - replica Moro - loro al momento non lo
chiedono. Si dicono favorevoli alla Nato ma noi non ci crediamo.”. Ma Kissinger
rincara la dose:”Sarebbe completamente incompatibile con la permanenza nella
Nato l’ingresso dei comunisti al governo.
Moro dà loro ragione, precisando puntigliosamente che nella società italiana
la percezione del Pci è differente dagli stereotipi della guerra fredda e che
“le barriere contro i comunisti non sono grandi e resistenti come in passato”. E
ancora quasi a voler evidenziare le contraddizioni statunitensi:”Come possiamo
tenere queste rigide barriere se voi stringete la mano a Breznev e incontrate i
sovietici:” Ford replica con durezza:”Le due dinamiche non sono compatibili.
Questa è distensione e se io incontro Breznev non significa che lo voglio fare
vicepresidente.Non capisco come non si possa distinguere una mela da
un’arancia.” I toni si fanno più accesi.”
Come si può vedere dal colloquio, ma anche da altri elementi che l’autore può
trarre dagli archivi personali di Aldo Moro, che da poco sono diventati
consultabili, è proprio in quel colloquio che emerge il contrasto di fondo tra
la strategia di Moro e del partito cattolico fino a quando lo segue e il governo
americano. Ed è proprio allora che lo statista democristiano diventa l’ostacolo
principale del governo repubblicano di Ford.
Il problema centrale della situazione italiana emerge con chiarezza da
Washington:la guerra fredda nell’interpretazione di Ford e di Kissinger non
consente l’assunzione del governo da parte di una coalizione di centro-sinistra
che includa il PCI. Moro,invece,e la maggioranza democristiana che ha espresso
la segreteria Zaccagnini,ritiene che quel passo sia necessario di fronte ai
problemi gravi dell’Italia, all’espandersi del terrorismo,ai pericoli che corre
la repubblica.
Il contrasto è grave e non prevede in quel momento un accordo tra i due
alleati.L’Italia è in bilico e la soluzione politica non appare chiara.
Di fatto sarà l’intervento del terrorismo,con il rapimento e l’assassinio di
Aldo Moro,a modificare la situazione politica e a segnare la svolta che farà
fallire i governi di unità nazionale e instaurare la coalizione di pentapartito
in funzione anti-Pci.
Ma di quale terrorismo si trattò veramente? Su questo punto,a distanza di 40
anni dagli avvenimenti,esistono ancora aspetti non chiari su cui i documenti
americani come quelli personali di Aldo Moro non permettono da svelare
completamente gli interrogativi ancora aperti.
Ma il libro di Gentiloni Silveri conferma in maniera inequivocabile il
contrasto tra il governo americano e la politica di Aldo Moro con l’apertura al
PCI.
E questo è un dato di fatto che le spiegazioni semplicistiche circolate negli
ultimi anni (come: sappiamo tutto e non c’è nessun retroscena a livello
politico, non possono più mettere in discussione.)
Purtroppo alcuni testimoni e co-protagonisti, a cominciare dal senatore
Andreotti o dal senatore Cossiga, non hanno ancora dato testimonianze complete e
attendibili su quel periodo,l’archivio Vaticano è inaccessibili e molti
documenti americani sono ancora segreti per non parlare di quelli italiani,
tuttora coperti dal segreto di Stato.
C’è insomma ancora da lavorare molto per poter arrivare a una ricostruzione
attendibile degli avvenimenti e del prezzo effettivo pagato dagli italiani per
superare la crisi degli anni settanta.
Possiamo dire che stiamo ancora pagando , come si vede con chiarezza dai
difetti della nostra democrazia e dai pericoli che sicuramente ancora corre.
Le cose non accadono mai a caso e la corsa attuale al consolidamento di un
populismo autoritario nel nostro paese rivela il maggior rischio che abbiamo
davanti.
Ma la maggioranza degli italiani, stordita da un bombardamento mediatico a
senso unico e da una persistente indifferenza favorita anche dalla crisi
economica,sembra non rendersene ancora conto malgrado che in autunno sia
prevista il varo della legge sulle intercettazioni telefoniche che rappresenterà
un nuovo,forte giro di vite contro i magistrati e i giornalisti,ma in definitiva
contro tutti i cittadini che vogliono sapere quel che succede nel paese,quali
reati si commettono,come cambia la società italiana.
Nicola Tranfaglia - (Antimafia Duemila, 13 settembre 2009)
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