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Sofri: lo Stato mi propose un delitto
Un intervento sul «Foglio» riapre il dibattito sugli anni Settanta e il «doppio
Stato». Cossiga: «Impensabile»
MILANO — Sugli anni di piombo si è detto e
scritto moltissimo. Ma la vicenda riferita da Adriano Sofri, sul Foglio di ieri,
è del tutto inedita. Ed è davvero clamorosa: un dirigente degli apparati di
sicurezza, presumibilmente nei primi anni Settanta, avrebbe proposto al capo di
Lotta Continua di agire insieme per compiere un omicidio. La rivelazione giunge
nel mezzo di una lunga lettera aperta indirizzata dall'autore a un immaginario giovane tentato dalla violenza, con l'intento di dissuaderlo. Sofri ricorda la strategia della tensione, il caso Pinelli, il duro scontro fra l'estrema sinistra e lo Stato. Poi aggiunge: «Quello Stato era fazioso e pronto a umiliare e violentare. Lo so. Una volta uno dei suoi più alti esponenti venne a propormi un assassinio da eseguire in combutta, noi e i suoi affari riservati».
L'IPOTESI D'AMATO — Per quanto sensazionale, la notizia è generica: l'unico riferimento decifrabile è nell'espressione «affari riservati», che richiama inevitabilmente l'omonimo ufficio del Ministero dell'Interno, diretto per lunghi anni da Federico Umberto D'Amato, funzionario esperto e potente morto nel 1996, assai vicino ai servizi segreti americani, sospettato di avere gravi responsabilità nella strategia della tensione. Fu lui, dunque, a proporre il patto scellerato? Impossibile chiederlo a Sofri, che non si fa trovare. Francesco Cossiga, interpellato dal Corriere, liquida la questione con un'alzata di spalle: «Figuriamoci se D'Amato si metteva nelle mani di Lotta Continua, una banda di ragazzini il cui leader era Sofri e il cui servizio d'ordine era guidato dall'attuale sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, proveniente dal circolo dell'Azione cattolica di cui io ero presidente a Sassari. Come si può pensare che gli eredi di Mario Scelba si affidassero, addirittura per commettere un omicidio, a gente che al massimo avrà compiuto qualche esproprio proletario?». «Sono un difensore di Sofri — prosegue Cossiga — perché non credo che sia capace di ammazzare una mosca. Siamo amici e ci siamo abbracciati più volte, sconcertando i carabinieri che scortavano me e sorvegliavano lui. È un fine intellettuale parolaio: non penso proprio che l'ufficio affari riservati gli desse tanta importanza. Tenga conto che D'Amato era stimato da tutti i servizi segreti occidentali e non venne mai sfiorato da un'inchiesta, né giudiziaria né disciplinare. Il suo ufficio fu soppresso nel 1974 dal ministro Paolo Emilio Taviani, su pressione dei socialisti, ma fu un danno, perché ci trovammo ad affrontare il periodo peggiore del terrorismo senza poter contare sulla sua esperienza. In compenso si giovava della sua competenza gastronomica Carlo Caracciolo, che al suo caro amico D'Amato aveva affidato la rubrica di cucina sull'Espresso».
PARERI DISCORDI — Ritiene invece plausibile la vicenda l'ex magistrato Gerardo D'Ambrosio, oggi senatore dell'Ulivo, che condusse l'inchiesta sulla morte di Pinelli scagionando il commissario Calabresi: «Ovviamente la responsabilità della rivelazione è tutta di Sofri. Ma certamente l'ufficio di D'Amato si muoveva in modo spregiudicato e occultò le prove concernenti diversi attentati. I suoi uomini filtravano i risultati delle indagini di polizia e facevano arrivare ai magistrati solo quello che volevano. Che abbiano tentato di influenzare e manipolare l'estrema sinistra, come avevano fatto con l'estrema destra, non mi sorprenderebbe affatto». La questione divide anche gli ex dirigenti di Lotta Continua. Il direttore del settimanale Diario, Enrico Deaglio, scommette sulla credibilità di Sofri: «Non so nulla di quell'episodio e non ne ho mai sentito parlare. Ma conosco Adriano abbastanza bene da poter dire che non si tratta di un'invenzione. Evidentemente è un segreto che ha conservato per molti anni e ora ha voluto rivelare. Quanto alla notizia in sé, mi stupisce, ma non la considero inverosimile. All'epoca gli apparati dello Stato di operazioni e proposte indecenti ne facevano eccome, come dimostrano i tanti misteri irrisolti che scandiscono la storia d'Italia. Ed è importante che Sofri allora non sia caduto nella trappola, rendendosi conto della natura cinica e feroce dell'accordo che gli veniva offerto». Più scettico si mostra lo scrittore Erri De Luca, anch'egli proveniente da Lc: «Gli esponenti dello Stato si prendevano delle libertà illegali gigantesche, comprese le stragi. Ma mi sorprende che Sofri tiri fuori un'informazione del genere soltanto adesso e senza circostanziarla. Spero quindi in una seconda puntata che ci consenta di conoscere i dettagli. Non intendo criticare Sofri, perché mi risulta che è ancora prigioniero e non voglio polemizzare con una persona che si trova in una condizione di inferiorità civile rispetto a me. Però la sua rivelazione è molto strana: per come agivano gli esponenti dello Stato in quegli anni, credo avessero personale in abbondanza per sbrigare faccende sporche, senza chiedere la collaborazione di un gruppo come Lotta Continua, che peraltro operava alla luce del sole e non in clandestinità».
IL DOPPIO STATO — C'è chi poi vede nelle parole di Sofri una conferma della teoria del «doppio Stato», secondo cui gli apparati di sicurezza avrebbero condizionato la politica italiana con azioni illegali, su mandato di Washington. Ne è convinto lo storico Nicola Tranfaglia: «Da tempo sostengo che settori dello Stato siano intervenuti in modo occulto per spingere verso la lotta armata parti dell'estrema sinistra. In un saggio del 1997, compreso nella Storia dell'Italia repubblicana edita da Einaudi, ho citato un documento americano, firmato dal generale William Westmoreland, in cui si sostiene la necessità di infiltrare i movimenti sovversivi per indurli a compiere attentati. La testimonianza di Sofri potrebbe riguardare un tentativo di applicare quella dottrina. Va ricordato che D'Amato era legato strettamente alla Cia ed era stato uno degli artefici dell'accordo segreto con cui, nel 1951, i nostri servizi furono subordinati a quelli americani». Assai critico verso l'ipotesi del «doppio Stato» è un altro storico, Giovanni Sabbatucci: «Senza dubbio vi furono violazioni della legge da parte di organi dello Stato, ma contesto che quegli atti siano la chiave per rileggere e interpretare la recente storia italiana. Quanto all'episodio citato da Sofri, vorrei saperne di più: non mi sembra corretto lasciar cadere un'affermazione così grave in poche righe, nel contesto di un lungo articolo, senza alcuna precisazione. Anche il riferimento a D'Amato lascia perplessi. Un uomo così prudente si sarebbe esposto a quel modo? Sarebbe andato lui dal capo di Lotta Continua per proporgli un accordo delittuoso? O ci furono degli intermediari? Sofri deve chiarire meglio che cosa avvenne, oppure diventa impossibile discuterne».
Antonio Carioti
27 maggio 2007
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