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Italicus. La strage dei misteri. 35 anni dopo ancora oscuri
esecutori e mandanti
Trentacinquesimo anniversario. Una strage senza colpevoli, uno dei tanti
misteri italiani, nella quale furono sicuramente coinvolti neofascisti e la
loggia P2 di Licio Gelli. Il misterioso caso di Aldo Moro.
Gli anniversari delle stragi italiane costituiscono una buona occasione per
formularsi delle domande. Anche quella del treno Italicus, avvenuta la notte del
4 agosto 1974, non sfugge a questa regola. Perché l’attentato? A chi avrebbe
giovato? Chi ne furono gli esecutori materiali e i mandanti?
Già, perché, a differenza di quella di Bologna del 2 agosto 1980, l’attentato
al treno Italicus non ha colpevoli. Non si sa chi mise la bomba, chi la fece
esplodere, chi furono i mandanti. Interpretando la storia italiana, è quasi
sicuro che fu un attentato fascista, come quello della Banca dell’Agricoltura di
Milano (12 dicembre 1969), come Piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974).
Il neofascismo italiano, sorretto dagli apparati deviati dei servizi segreti, si
poneva come fine il sovvertimento dello Stato democratico e, soprattutto,
fermare l’avanzata del movimento dei lavoratori e dell’allora partito comunista.
Questa è la chiave di lettura ancora oggi più consistente, anche in base ai
risultati processuali e alle indagini della magistratura, sovente ostacolate
dagli stessi apparati statali.
L’attentato
La bomba scoppiò nel vagone numero 5 dell’espresso “Italicus”, negli istanti
immediatamente successivi alla sua uscita dalla galleria che porta a San
Benedetto Val di Sambro, causando 12 morti e 50 feriti. E fu una fortuna, perché
se fosse scoppiata qualche istante prima, dentro la galleria (come forse i vili
attentatori desideravano), i morti sarebbero stati centinaia. Un testimone
oculare dell’attentato ha affermato: «Il vagone dilaniato dall'esplosione sembra
friggere, gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzano su. Su tutta la zona
aleggia l'odore dolciastro e nauseabondo della morte».
Due agenti di polizia in servizio nella stazione di San Benedetto
dichiararono: «Improvvisamente il tunnel da cui doveva sbucare il treno si è
illuminato a giorno, la montagna ha tremato, poi è arrivato un boato assordante.
Il convoglio, per forza di inerzia, è arrivato fin davanti a noi. Le fiamme
erano altissime e abbaglianti. Nella vettura incendiata c'era gente che si
muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro espressioni terrorizzate, ma non
potevamo fare niente poiché le lamiere esterne erano incandescenti. Dentro
doveva già esserci una temperatura da forno crematorio. “Mettetevi in salvo”,
abbiamo gridato, senza renderci conto che si trattava di un suggerimento
ridicolo data la situazione. Qualcuno si è buttato dal finestrino con gli abiti
in fiamme. Sembravano torce. Ritto al centro della vettura un ferroviere, la
pelle nera cosparsa di orribili macchie rosse, cercava di spostare qualcosa.
Sotto doveva esserci una persona impigliata. “Vieni via da lì”, gli abbiamo
gridato, ma proprio in quel momento una vampata lo ha investito facendolo cadere
accartocciato al suolo».
Le indagini
A differenza dell’attentato bolognese di sei anni dopo, quello all’Italicus
viene immediatamente rivendicato con un volantino: «Giancarlo Esposti è stato
vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere
le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci
pare. Vi diamo appuntamento per l'autunno; seppelliremo la democrazia sotto una
montagna di morti». Lo scritto faceva riferimento all’uccisione di un militante
neo-fascista, Giancarlo Esposti, il 30 maggio 1974, a Pian del Rascino, vicino a
Rieti, durante un’operazione dei carabinieri nel campo clandestino di
esercitazioni militari che i neofascisti avevano allestito. Il giovane
neofascista, sospettato di essere coinvolto nella strage di Brescia, fu ucciso
con un colpo di pistola alla tempia dal maresciallo dei carabinieri Filippi, che
prima confessò il fatto e poi lo ritrattò.
Ma le indagini segnano il passo fino a quando un extraparlamentare di
sinistra, Aurelio Fianchini, dopo essere evaso dal carcere di Arezzo, diffonde
alla stampa uno scritto nel quale si dice che l’esecutore materiale della strage
è Mario Tuti per ordine del Fronte nazionale rivoluzionario e di Ordine nero.
Avrebbero materialmente agito Piero Malentacchi, che ha piazzato l'esplosivo
alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, Luciano Franci, che gli ha fatto
da palo, e la donna di quest'ultimo, Margherita Luddi.
Mario Tuti, oggi un tranquillo ergastolano cinquantasettenne, in regime di
semilibertà, che si dice completamente pentito per tutto quello che ha combinato
nella vita, a metà degli anni Settanta era forse la più pericolosa testa calda
fascista, insieme a Pierluigi Concutelli (l’assassino del giudice Vittorio
Occorsio). La magistratura emette un ordine di cattura ma lui vende cara la
pelle; i tre carabinieri che lo vanno a prelevare sono freddati sull’uscio di
casa (uno si salva) nel 1975. Tuti è toscano di Empoli e, almeno nella provincia
di Arezzo, dove alloggia Licio Gelli con la sua organizzazione massonica
“Propaganda 2”, trova protezione insieme ad altri pericolosi bombaroli
dell’eversione di destra.
Dopo il suo arresto in Francia, i magistrati lo mettono alla sbarra anche per
questo attentato ma la Corte di Appello di Bologna (aprile 1991), con una
sentenza confermata dalla Cassazione (maggio 1992) assolvono tutti gli imputati
neo-fascisti. Per i giudici, a loro carico, esistono solo «indizi, tesi e
illazioni non suffragati da certezze e fatti concreti».
Il mistero di Aldo Moro
In un libro pubblicato dalla figlia Maria Fida nel 2005, “La nebulosa del
caso Moro”, con l’apporto di numerosi giornalisti, si racconta un episodio
significativo e misterioso. Sul treno “Italicus”, quel giorno, avrebbe dovuto
esserci anche lo statista di Maglie (allora Ministro degli Esteri in un governo
presieduto da Mariano Rumor) per raggiungere la famiglia in vacanza in Trentino.
Ma, proprio pochi istanti prima della partenza, fu fatto scendere con la scusa
di firmare alcune importanti carte, perdendo il treno. L’episodio non fu mai
divulgato da Moro, ma raccontato soltanto nell’ambito familiare. Significativo
anche questo suo silenzio, tipico dell’èra democristiana. Se lo avesse confidato
ai magistrati, forse le indagini avrebbero potuto aggiungere un tassello in più,
soprattutto per quanto riguardava un possibile coinvolgimento dei servizi
segreti deviati.
Le responsabilità dei neofascisti
Nonostante l’inesistenza di una verità giudiziaria, oggi appare chiaro che
l’attentato al treno Italicus fu organizzato da elementi neofascisti con
l’appoggio della loggia massonica P2, che proprio in quegli anni assolveva al
compito di tenere unite le forze antidemocratiche, con l’appoggio di settori
democristiani e dei servizi segreti. Questa convinzione è stata espressa anche
dalla Commissione parlamentare sulla P2, presieduta da Tina Anselmi che, nella
relazione di maggioranza, scrisse: “La strage dell'Italicus è ascrivibile ad una
organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in
Toscana. La Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di
finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana ed
è quindi gravemente coinvolta nella strage dell'Italicus».
Una strage legata alla P2; non è l’unica, perché questa famigerata
organizzazione eversiva fu una sorta di “longa manus” dei poteri deviati
finalizzati all’abbattimento del sistema parlamentare in Italia. E pensare che
il suo capo, Licio Gelli, è gioiosamente libero e si diletta scrivendo volumoni
di illeggibili poesie.
Fulvio Lo Cicero (www.dazebao.org, 04 Agosto 2009)
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