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Intimidazioni a Minzolini e Petruni
Spari sulla tv, contro la Rai metodi da Brigate rosse
Se conosci Berlusconi, devi morire. C'è una parte della sinistra
che la pensa ancora così. Basta aver stretto la mano al presidente del Consiglio
per meritarsi una condanna a morte.
Proprio come diceva quello slogan inventato da Mao e preso in prestito dai
terroristi. Vero, sembrano - in certi casi - metodi che ricordano le Brigate
rosse. È gennaio, a Cagliari fa freddo, Silvio Berlusconi è al «T Hotel» per la
campagna elettorale. Il maltempo lo costringe a restare in albergo oltre il
previsto. E così il premier pensa di fare una piccola galanteria e invita le
giornaliste che lo stanno seguendo per un apertivo. Un pensiero simpatico.
Davanti a qualche bicchiere d'acqua tonica si parla del più e del meno,
sciocchezze. Dieci minuti in tutto. Ma tanto basta per far scatenare le voci, le
dicerie. Stavolta non a sfondo sessuale (ma ci sarà presto anche questo) ma a
sfondo televisivo: si sarà parlato delle nomine Rai, è l'indiscrezione che
circola. Non è vero ma verosimile. E allora via con il «killeraggio».
Nel mirino per ora c'è finita Susanna Petruni, conduttrice del Tg1, da due
mesi oggetto di accuse e battute e allo stesso tempo in corsa per la direzione
di RaiDue. Si comincia con il martedì successivo al terremoto. La giornalista
sta conducendo l'edizione del Tg1 del pomeriggio con le informazioni. Legge una
nota in cui lo stesso telegiornale si gloria del successo di ascolti. Senz'altro
una scelta di cattivo gusto, totalmente fuori luogo in una situazione come
quella. Ma anche i bambini sanno che il conduttore conduce, ovvero quello che
deve leggere viene scritto
Per meritarsi una bella gambizzazione, in pieno stile "colpirne uno per
educarne cento". Proprio come diceva quello slogan inventato da Mao e preso in
prestito dai terroristi. Vero, sembrano - in certi casi - metodi che ricordano
le Brigate rosse. È gennaio, a Cagliari fa freddo, Silvio Berlusconi è al «T
Hotel» per la campagna elettorale. Il maltempo lo costringe a restare in albergo
oltre il previsto. E così il premier pensa di fare una piccola galanteria e
invita le giornaliste che lo stanno seguendo per un apertivo. Un pensiero
simpatico. Davanti a qualche bicchiere d'acqua tonica si parla del più e del
meno, sciocchezze. Dieci minuti in tutto. Ma tanto basta per far scatenare le
voci, le dicerie. Stavolta non a sfondo sessuale (ma ci sarà presto anche
questo) ma a sfondo televisivo: si sarà parlato delle nomine Rai, è
l'indiscrezione che circola. Non è vero ma verosimile. E allora via con il «killeraggio».
Nel mirino per ora c'è finita Susanna Petruni, conduttrice del Tg1, da due
mesi oggetto di accuse e battute e allo stesso tempo in corsa per la direzione
di RaiDue. Si comincia con il martedì successivo al terremoto. La giornalista
sta conducendo l'edizione del Tg1 del pomeriggio con le informazioni. Legge una
nota in cui lo stesso telegiornale si gloria del successo di ascolti. Senz'altro
una scelta di cattivo gusto, totalmente fuori luogo in una situazione come
quella. Ma anche i bambini sanno che il conduttore conduce, ovvero quello che
deve leggere viene scritto da altri ed è impossibile immaginare che una scelta
editoriale di quel tipo non sia stata quanto meno voluta e vidimata dalla
direzione. Non importa. L'obiettivo è la Petruni. Quel minuto e 15 secondi
finisce su Youtube con circa 300mila visualizzazioni. Sotto una sfilza di
insulti, rimproveri e minacce senza che l'azienda abbia preso posizione.
Ora si cambia registro. Il sito Dagospia pubblica una lettera firmata con uno
pseudonimo in cui la Petruni compare mentre conduce il telegiornale con al collo
penzolante un bel ciondolo a forma di farfalla. Seguono varie allusioni ed è
facile comprendere che il riferimento è al tipo di regalini che è solito fare
Berlusconi alle puelle. Insomma, è il dono che fece a Noemi Letizia. La Petruni
protesta, fa scrivere al suo avvocato e spiega che quel ciondolo lei non l'ha
mai posseduto, trattasi di volgare fotomontaggio. Il giorno dopo Repubblica
torna alla carica e attacca, sostenendo di aver visto varie edizioni del
telegiornale condotto dalla giornalista e di aver notato, invece, la farfallina
berlusconiana svolazzante al collo della bionda cronista. Sì, è tutto vero. Il
dibattito sull'informazione in Italia si dimena su questi temi: farfalline,
ciondoletti e cavolate del genere. Comunque la Petruni, si narra al Tg1, va su
tutte le furie e viene vista in archivio a visionare le edizioni del
telegiornale. Avrebbe scovato anche quella del 2 maggio 2006, che dimostra come
al collo avesse un normalissimo filo d'oro e posticciamente sarebbe stato
aggiunto l'insetto d'oro tanto caro a Noemi. Farfalla o farfallina, vero o falso
che sia, quel che fa impressione è l'attacco alla persona a prescindere.
Indipendentemente da quello che fa, da come lavora e da quanto vale
professionalmente. E veniamo al piatto forte. Il direttore del Tg1. Viene
nominato Augusto Minzolini. Passa indenne i primi cinque giorni, poi partono le
intimidazioni. Prima accusa: ha una rubrica su Panorama, settimanale Mondadori,
di proprietà Berlusconi. Tre giorni dopo il Tg1 ospita un'opinione di una
cronista del Corriere della Sera esperta di vicende della sinistra e il Pd
insorge. Altri due giorni e altro attacco da sinistra alla principale testata
Rai. Erano avvertimenti, come le lettere minatorie. Dopo si passa ai proiettili,
di carta s'intende. Il punto è questo, e si chiama caso D'Addario. La puttana,
pardon prostituta, pardon escort, fa ogni tipo di rivelazioni sulle notti a casa
di Berlusconi. In parte credibili, in parte incredibili. Il Tg1 prende una
decisione discutibile: non dare notizie di gossip ed evita elegantemente il
caso. Discutibile, la scelta, visto che proprio Minzolini ha fatto del gossip,
dell'indiscrezione e della frase origliata una ragione di vita. Almeno
professionale, visto che sul retroscena ha costruito la sua carriera
giornalistica. Ma discutibile anche perché ora dirige il Tg1, telegiornale del
servizio pubblico, dal quale ci si aspetta provengano notizie quantomeno certe e
verificate. Per Massimo D'Alema il telegiornale del primo canale «non ha nulla
da invidiare alla tv sovietica». Si scatena la guerra. Comincia l'Idv con Pancho
Pardi che chiede un'audizione di Minzolini. S'accoda il Pd che avanza la stessa
richiesta con Milana e Meta. Giachetti si spinge oltre e avverte il direttore
del Tg1 che sta commettendo un danno erariale. Il consigliere di amministrazione
Rai (in quota ex Margherita) Rizzo Nervo, che è stato direttore di un giornale
non di parte ma di partito (Europa), ammonisce: Minzolini rischia il
licenziamento. Di Pietro non accetta di essere scavalcato ed esige che venga
cacciato la sera stessa. Si va avanti così per dieci giorni fino a quando
l'argomento delle inchieste di Bari è Berlusconi. Ma quando diventa il Pd,
coinvolti sono uomini di D'Alema, tutti zitti. Nessuno a sinistra chiede di dare
più informazioni. L'attenzione ora sono gli ascolti. Minzolini perde ascolti, è
la nuova vulgata. Perde su sette giorni ben cinque punti contro il concorrente
Tg5 e perde, assoluta novità, anche nei giorni di una grande tragedia
(Viareggio): in questi casi il pubblico ha sempre storicamente premiato la tv
istituzionale. Ma è vedere il bicchiere mezzo vuoto. In realtà il vero problema
si chiama RaiUno, un tracollo di ascolti. Non dipende certo dal nuovo direttore
Mauro Mazza che s'è trovato il palinsesto già bell'e fatto. Ma il problema c'è.
Il 29 giugno con il film «Breach-L'infiltrato» tocca uno dei minimi storici in
prima serata: appena l'8.83%. Il giorno dopo la fiction francese «Alice Nevers»
fa appena il 13,25%. Il primo luglio «Il vento del perdono» con Redford arriva
al 16% e per la prima volta dopo molte serate si riavvicina a Canale 5. Ma
questo, ovviamente, nessuno a sinistra lo dice.
Fabrizio Dell'Orefice (Il Tempo, 06 luglio 2009)
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